TOY-BOWIE – È USCITO “TOY”, L’ALBUM DI DAVID BOWIE INCISO NEL 2000 MA MAI PUBBLICATO – UN DISCO CHE RACCONTA L’ARTISTA QUANDO IL PUBBLICO E LA CRITICA NON L’AVEVANO ANCORA MESSO NELL’OLIMPO DEL ROCK – L’ALBUM RIPRENDE I SUONI “PRE BOWIE” DEL POP ANNI ’60 - LA SUA CIFRA STILISTICA? I MEDIOCRI COPIANO, I GENI RUBANO. E COSI' HA FATTO...
Carlo Massarini per “la Stampa”
Cosa c'è nella testa di un genio quando non lo è ancora? O meglio, quando il pubblico e la critica e la storia non l'ha ancora decretato, e quando nella sua stessa testa -anche se è intimamente convinto di esserlo, magari... forse, chissà...- non ce n'è ancora la sicurezza? Toy potrebbe essere una parziale, ipotetica risposta.
Bowie, a cui idee e progetti non sono mai mancati, nel 2000, reduce del trionfale Festival di Glastonbury con una delle sue memorabili band live, decide di ripercorrere le sue stesse tracce - operazione citazionista che l'ha sempre accompagnato - tornando all'indietro, ai primissimi tempi. Quando nessuno avrebbe scommesso una sterlina sul fatto che sarebbe diventato uno degli artisti che avrebbe più influenzato musica, arte concettuale, mode e tendenze della fine del secolo.
DAVID BOWIE BRILLIANT ADVENTURE
Al virar del millennio, pur avendo perso la forza rivoluzionaria di quei tre lustri fra il Maggiore Tom e la sua ode alla danza, Bowie continuava a creare, a fare, a cogliere gli umori e i suoni nell'aria, a farli suoi e a produrre album che forse non erano capolavori, ma non erano mai banali, scontati, ordinari. Era sempre stata la sua cifra, quella del talentuosissimo ladro. I mediocri copiano, si diceva, i geni rubano, e così era stato.
Bisogna saper prendere, parafrasando i Rokes: i riff degli Stones e le maschere di Lindsay Kemp, gli abiti di Sakamoto e la redingote-Union Jack di Alexander McQueen, il sound teutonico dei Neu e dei Kraftwerk e il funk degli Chic, il glam di Marc Bolan e il r' n'r ossessivo e dronico dei Velvet Underground, il teatro di Jean Genet e il cinema fantascientifico di Nicholas Roeg, il pop orchestrale e il drum' n'bass di fine millennio, e tanti ma tanti altri elementi ancora: Bowie è stato un pastiche di creatività altrui che ha riassunto e sublimato ogni volta, mai copiato banalizzando ma sempre aggiungendo a quello che c'era prima.
Ricordate il principio del grande massmediologo Marshall McLuhan, per cui ogni medium non cancella il precedente, ma crea una nuova stratificazione sopra? Ecco, Bowie a poco a poco ha costruito un corpus artistico monumentale. Geniale. Fatto di tasselli, come i pezzi di un puzzle, e questo rifare il Bowie-non-di-successo degli esordi gli deve esser sembrato un piccolo gioco auto-celebrativo.
Il disco lì per lì, a parte l'immancabile bootleg, rimane inedito (con alcuni brani che entreranno nella sua mega-compilation del 2014 Nothing Has Changed) perchè Bowie e la band si dedicano a plasmare materiale nuovo, quello di Heathen del 2002. Quindi Toy esce solo adesso, parte dell'ennesimo cofanettone quintuplo Brilliant Adventure 1992-2001 che raccoglie un suo periodo discontinuo, alcune cose brillanti e altre meno riuscite.
Il 7 gennaio (l'8 avrebbe compiuto 75 anni, mentre il 10 saranno 6 anni dalla sua morte) uscirà in un'edizione Deluxe a se stante, con una copertina un po' inquietante, con il gioco - già usato sul video di Where Are We Now?- di inserire il suo volto da anziano nella sagoma di un bambolotto. Se vogliamo, questo è il compagno non dichiarato di un disco ormai dimenticato nella sua vastissima discografia, quel Pinups del 1973, fra aladdin sane e Diamond Dogs.
Ricordate? Lui con volto da Ziggy al fianco di Twiggy, l'icona pop della moda di Carnaby Street anni 60, occhioni e e magrezza iconica che - con la rivale Jean Shrimpton - aveva reso immortale le minigonne di Mary Quant. In quell'album, lo starman rendeva omaggio alla musica con cui era cresciuto, chicche dell'Inghilterra degli anni 60 rivisitati con suono anni 70 (oltrechè instant monetizzazione di un fenomeno esploso all'improvviso).
Un disco carino, più una pausa sul percorso o un vezzo che uno statement. Siamo nel 2000, quindi, e l'idea è di fare il Pinups di se stesso, riprendere quei brani pre-Space Oddity, in alcuni casi addirittura pre-David Bowie, il suo primissimo album per la Deram. Siamo per la massima parte negli anni 1964-67, e Toy è un mix di brani usciti su quel primo album, singoli, facciate B, e un paio di cose più recenti. Il pre-prequel, insomma, ma reinterpretato dalle mani sapienti di un regista al pieno delle sue possibilità: nuovi arrangiamenti, nuovo suono, come una minigonna nuova di zecca.
Perlopiù ballate, brani pop tipici da anni 60 che non sono certo capolavori ma non sono neanche male, anche perché la band li suona benissimo e lui li canta non con la voce e le intenzioni acerbe del ventenne, ma con la consumata sicurezza della star che non deve chiedere mai. Le cose migliori sono Can't Help Thinking About Me, un classico pezzo beat del '65 che avrebbe potuto essere un brano dei Kinks o degli Who, con gli Stones e Beatles le forze dominanti nella prima Cool Britannia, e altri due in pieno stile mod, You' ve Got A Habit Of Leaving e Let Me Sleep Beside You, passato inosservato allora ma melodico e vigoroso, bel ritornello.
Quelle che hanno più visualizzazioni su Spotify sono Karma Man, dal tono un po' cantilenante-con-coretti che era la sua cifra giovanile, e Silly Boy Blue, che viene ripresa con tono sobrio e melanconico. Conversation Piece era la facciata B di Space Oddity, qui è più lenta, introspettiva e plumbea: «Le mie mani tremano, la testa duole/La voce mi si blocca in gola/sono invisibile e anestetizzato, e nessuno di ricorderà di me», dai David non fare così.
The London Boys è una fotografia della 17enne che scappa di casa e si impasticca pur di vivere la vita della nuova generazione della Londra notturna che Bowie amava descrivere ai suoi inizi. Dalle session di Ziggy del 1971 viene Shadow Man, riflessiva, quasi struggente: «Guarda il suo sorriso/fatto di nulla se non solitudine...Ma l'Uomo Ombra in realtà sei tu/Guarda nei suoi occhi e vedi il tuo riflesso».
Chiude l'album Toy (Your Turn To Drive), composto per l'occasione e si sente: non è anni 60, piuttosto nel canone bowiano più moderno, testo sintetico e fratturato, non narrativo, e una bellissima linea melodica. Vien da chiedersi se questo mining negli archivi di Bowie, che dopo la sua morte compete con le infinite riedizioni di Dylan e Neil Young, sia finito o ci siano ancora sorprese.
Per esempio, quei provini sui quali pochi giorni prima di morire aveva detto al suo produttore Tony Visconti che stava lavorando, il seguito di Blackstar, li sentiremo mai? Considerando che quest' ultimo - uscito il giorno del suo 69esimo compleanno e due giorni prima della morte- è stato il disco più innovativo dei suoi ultimi 30 anni, per i fan sarebbero, per quanto incompiuti, ancora più interessanti e rivelatori dei suoi inizi, per quanto ben rifatti.
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