“LIBERO” FA LE PULCI AL “FATTO” - IL SEGUGIO BECHIS SCOPRE IL PRIMO FINANZIAMENTO PUBBLICO: 162 MILA EURO (UN CREDITO DI IMPOSTA DEL 10% SULLA CARTA ACQUISTATA E UTILIZZATA) - SENZA IL BANANA A PALAZZO CHIGI PERDE IL 25% DELLE COPIE E E VANNO A PICCO I TITOLI BANCARI IN CUI HANNO INVESTITO GLI AMMINISTRATORI DEL GIORNALE ANTI-BANCHE - MEGASCAZZO TRA I SOCI INDUSTRIALI E IL DUO TRAVAGLIO-PADELLARO: LA SPUNTANO I PRIMI CHE INCASSANO DIVIDENDI PER 3,1 MILIONI DI EURO….

Fosca Bincher per "Libero"

La data è di quelle da ricordare: 13 febbraio 2012. È stato quel giorno che Giorgio Poidomani, all'epoca presidente del consiglio di amministrazione del Fatto quotidiano ha preso carta e penna e chiesto al governo di Mario Monti il suo primo finanziamento pubblico ammesso dai diretti interessati: 162 mila euro. L'opportunità è arrivata da una legge del governo di Silvio Berlusconi, la n. 220 del 13 dicembre 2010 (art. 1, comma 40), che riconosceva a domanda delle imprese editoriali interessate un credito di imposta del 10% sulla carta acquistata e utilizzata.

In teoria un finanziamento diretto a tutti. In pratica no: perché in tempi di crisi il plafond a disposizione non basta per tutti, quindi ottiene i soldi solo chi arriva prima degli altri. Il Fatto quotidiano non ha perso tempo, ed è stato fra i primi a fare domanda, anche se in attesa della risposta non ha inserito prudentemente l'importo del finanziamento pubblico in bilancio. La prima volta però non si scorda mai.

E un po' di imbarazzo chi ha chiesto doveva sentirlo (sulla prima pagina sotto la testata è strombazzato "non riceve alcun finanziamento pubblico", che non sarà più vero), visto che quasi se ne scusa nella relazione che accompagna il bilancio 2011 dell'Editoriale Il Fatto, società che edita la testata diretta da Antonio Padellaro e Marco Travaglio. Un bilancio in utile di 4,5 milioni di euro (e non è affatto poco, anche se l'anno prima erano 5,8), ma pieno di sorprese.

La prima spiega anche quella richiesta di finanziamento pubblico: l'era delle vacche grasse è finita, e da quando Silvio Berlusconi è andato via da palazzo Chigi sono iniziati problemi economici impensabili anche nella vita de Il Fatto. Che quasi-quasi rimpiange l'era d'oro del Cav. Da quel giorno infatti i giornali hanno iniziato a perdere il 10% di copie vendute. Per Padellaro e Travaglio è andata decisamente peggio, travolgendo il balzo delle vendite in edicola pure registrato nella media 2011 (71.109 copie, crescita dell'11% sul 2010).

«Nei primi tre mesi del 2012», spiega la relazione ancora firmata Poidomani, «le vendite in edicola sono state in media pari a 52.849 copie al giorno, con un decremento del 24% rispetto al corrispondente periodo dell'anno precedente». È andata male anche con la pubblicità, e in modo disastroso da marzo in poi. Il 29 marzo infatti Poidomani sembra ancora ottimista su risultati: «la raccolta pubblicitaria, tanto per l'edizione su carta che per quella on line è stata in linea con il budget e in miglioramento rispetto all'esercizio precedente».

Poco più di un mese dopo nel verbale di assemblea è scritto l'esatto opposto: «Giorgio Poidomani mette in evidenza il non soddisfacente risultato che emerge ad aprile, caratterizzato oltre che dalla prevista flessione delle vendite in edicola, anche da una preoccupante contrazione della raccolta pubblicitaria sulla carta: meno 25% rispetto al primo quadrimestre del 2011».

Nel frattempo anche gli abbonamenti sono scesi a quota 21.900, di cui il 20% per via postale e l'80% on line in formato pdf. Tutta colpa - dicono al Fatto - dei siti pirati che consentono di scaricare il giornale senza pagare. Come se non bastasse lo scherzetto che Berlusconi ha combinato ai ragazzacci de Il Fatto andandosene via da palazzo Chigi e facendo perdere loro il bersaglio preferito dai lettori, anche Mario Monti (che va indigesto), ha aggiunto guaio a guaio.

Gli amministratori de Il Fatto avevano pensato bene di non leggere il proprio quotidiano (fra i protagonisti della battaglia contro le grandi banche del paese) e investire la liquidità accumulata negli anni precedenti proprio in obbligazioni bancarie. Hanno comprato titoli di Banca Intesa, Unicredit, Monte dei Paschi e Banca di credito cooperativo di Roma. Ed è andata male: nel bilancio 2011 li hanno dovuti svalutare di 234.905 euro, perché le quotazioni erano scese.

Dopo deve essere andata peggio. E con i primi guai all'orizzonte è finita anche la pace fra i soci. Al momento di scegliere quanti dividendi incassare, i soci industriali hanno fatto la proposta: dateci 3,1 milioni di euro. Si è alzato in piedi Travaglio, appoggiato da Padellaro e dai giornalisti e detto: «avete visto come sta andando? No, massimo 1,3 milioni di euro». Hanno vinto i primi, che volevano portare a casa i soldi.

Il povero Poidomani ha tentato di limitare i danni: «aspettato almeno il 19 luglio, che scadono pronti contro termine da 3,2 milioni, altrimenti dobbiamo smobilizzare prima del tempo perdendo altri soldi». A vuoto: i famelici soci industriali hanno messo in pagamento il dividendo dal primo di giugno.

Ah, visto che i guai non vengono mai da soli, nel bilancio 2011 è registrato anche il successo dell'ingresso de Il Fatto nella Zerostudio's di Michele Santoro (che produce Servizio pubblico): ha investito 350 mila euro per avere nei primi tre mesi perdite di 203.605 euro. Santoro ha detto: «non preoccupatevi, per il secondo semestre mi invento qualcosa». Aveva ragione, se l'è inventata. Lì ci mette un tampone La7...

 

ANTONIO PADELLARO E MARCO TRAVAGLIO POIDOMANI bechis LORENZO FAZIObruno tinti lapfrancesco alibertiMICHELE SANTORO CINZIA MONTEVERDE

Ultimi Dagoreport

turicchi, giorgetti, sala

FLASH! - IL DILEMMA DI GIORGETTI: IL CAPO DELLE PARTECIPATE DEL TESORO E SUO FEDELISSIMO, MARCELLO SALA, NON HA INTENZIONE DI TRASLOCARE ALLA PRESIDENZA DI NEXI PER FARE POSTO AD ANTONINO TURICCHI, CHE VANTA PERO’ UN ‘’CREDITO’’ NEI CONFRONTI DEL MINISTRO DEL MEF PER AVER CONDOTTO IN PORTO LE TRATTATIVE ITA-LUFTANSA. MA ALLA PRESIDENZA DI ITA, INVECE DI TURICCHI, MELONI & C. HANNO IMPOSTO SANDRO PAPPALARDO, UN PILOTA PENSIONATO LEGATO AL CLAN SICULO DI MUSUMECI – ORA GIORGETTI SPERA CHE VENGA APPLICATA LA LEGGE CHE VIETA AI PENSIONATI DI STATO DI RICOPRIRE INCARICHI RETRIBUITI)…

donald trump

DAGOREPORT - LA DIPLOMAZIA MUSCOLARE DI TRUMP È PIENA DI "EFFETTI COLLATERALI" - L'INCEDERE DA BULLDOZER DEL TYCOON HA PROVOCATO UNA SERIE DI CONSEGUENZE INATTESE: HA RIAVVICINATO IL REGNO UNITO ALL'UE, HA RILANCIATO L'IMMAGINE DI TRUDEAU E ZELENSKY, HA RIACCESO IL SENTIMENT ANTI-RUSSO NEGLI USA - LA MOSSA DA VOLPONE DI ERDOGAN E IL TRACOLLO NEI SONDAGGI DI NETANYAHU (SE SALTA "BIBI", SALTA ANCHE IL PIANO DI TRUMP PER IL MEDIO ORIENTE) - I POTENTATI ECONOMICI A STELLE E STRISCE SI MUOVONO: ATTIVATO UN "CANALE" CON LE CONTROPARTI BRITANNICHE PER PREVENIRE ALTRI CHOC TRUMPIANI...

giorgia arianna meloni maria grazia manuela cacciamani gennaro coppola cinecitta francesco rocca

DAGOREPORT - MENTRE LE MULTINAZIONALI STRANIERE CHE VENIVANO A GIRARE IN ITALIA OGGI PREFERISCONO LA SPAGNA, GLI STUDIOS DI CINECITTÀ SONO VUOTI - SONDARE I PRODUTTORI PER FAVORIRE UNA MAGGIORE OCCUPAZIONE DEGLI STUDIOS È UN’IMPRESA NON FACILE SOPRATTUTTO SE A PALAZZO CHIGI VIENE L’IDEA DI NOMINARE AL VERTICE DI CINECITTÀ SPA, CARDINE DEL SISTEMA AUDIOVISIVO ITALIANO, MANUELA CACCIAMANI, LEGATA ALLE SORELLE MELONI, IN PARTICOLARE ARIANNA, MA DOTATA DI UN CURRICULUM DI PRODUTTRICE DI FILM “FANTASMA” E DOCUMENTARI “IGNOTI” – FORSE PER IL GOVERNO MELONI È STATA PIÙ DECISIVA LA FEDE POLITICA CHE IL POSSESSO DI COMPETENZE. INFATTI, CHI RITROVIAMO NELLA SEGRETERIA DI FRANCESCO ROCCA ALLA REGIONE LAZIO? LA SORELLA DI MANUELA, MARIA GRAZIA CACCIAMANI, CHE FU CANDIDATA AL SENATO NEL 2018 NELLE LISTE DI FRATELLI D’ITALIA - QUANDO DIVENTA AD DI CINECITTÀ, CACCIAMANI HA LASCIATO LA GESTIONE DELLE SUE SOCIETÀ NELLE MANI DI GENNARO COPPOLA, IL SUO COMPAGNO E SOCIO D'AFFARI. QUINDI LEI È AL COMANDO DI UNA SOCIETÀ PUBBLICA CHE RICEVE 25 MILIONI L'ANNO, LUI AL TIMONE DELL’AZIENDA DI FAMIGLIA CHE OPERA NELLO STESSO SETTORE…

consiglio europeo giorgia meloni viktor orban ucraina zelensky ursula von der leyen

LE DECISIONI ALL’UNANIMITÀ IN EUROPA SONO FINITE: IERI AL CONSIGLIO EUROPEO IL PRIMO PASSO PER IL SUPERAMENTO DEL VETO, CON L’ISOLAMENTO DEL PUTINIANO VIKTOR ORBAN SUL PIANO IN CINQUE PUNTI PER L’UCRAINA – GIORGIA MELONI NON POTEVA SFILARSI ED È RIUSCITA A RIGIRARE LA FRITTATA CON MATTEO SALVINI: NON ERA UN DESIDERIO DI TRUMP CHE I PAESI EUROPEI AUMENTASSERO FINALMENTE LE SPESE PER LA DIFESA? DI CHE TI LAMENTI? - ANCHE LA POLEMICA DEL LEGHISTA E DI CONTE SUI “SOLDI DEGLI ASILI CHE FINISCONO IN ARMAMENTI” È STATA AGILMENTE NEUTRALIZZATA DALLA SORA GIORGIA, CHE HA FATTO “VERBALIZZARE” LA CONTRARIETÀ DELL’ITALIA ALL’UTILIZZO DEI FONDI DI COESIONE…