AMY FOREVER - IL REGISTA DEL DOCUMENTARIO SU AMY WINEHOUSE PRESENTATO A CANNES: “HA VISSUTO UNA DISCESA STRAZIANTE CHE HA SPINTO LA GENTE A DETESTARLA MA A DISTRUGGERLA È STATO ANCHE IL LINCIAGGIO MEDIATICO, INTERCETTAZIONI, PAPARAZZI”
Arianna Finos per “la Repubblica”
Il sorriso di Amy dodicenne che canta Happy birthday con voce matura, le canzoni scritte a mano, calligrafia infantile tra cuori e cancellature. Immagini intime e inedite di una creatura piena di vita e di soul diventata simbolo della parabola del successo: l’amore tossico, il linciaggio mediatico, la fine. Colpisce e commuove Amy il documentario di Asif Kapadia sulla cantante inglese, presentato fuori concorso e preceduto dalla presa di distanza polemica della famiglia. In Italia Amy sarà in sala il 15,16 e 17 settembre per Nexo Digitale e Good Films.
Asif Kapadia, cosa sapeva della Winehouse prima del film?
« Sono londinese, avevo i suoi dischi e come molti, conoscevo le cose brutte, gli scandali. Poi ho letto i testi delle sue canzoni, ho visto i primi filmati, ho parlato con i suoi amici. E ho capito quanto fosse divertente, intelligente, sarcastica. La vera Amy, la ragazza che c’era prima e oltre la fama».
Prima di Amy ha girato Senna .
« Winehouse era dolce, una persona che avrebbe dovuto essere protetta. Senna era un dio, morto in un incidente. Quella di Amy è stata una discesa straziante che ha spinto la gente a detestarla. Ora spero che, chi vedrà il film, alla fine provi qualcosa per lei».
La forza del documentario è nel materiale girato dagli amici più intimi.
«Dopo la morte c’era gente che vendeva storie ai giornali, speculava. I suoi amici hanno promesso che non avrebbero parlato. C’è voluto un anno per ottenere la loro fiducia. Il primo è stato colui che la scoprì, Nick Shymansky: aveva visto Senna, per questo mi ha consegnato i suoi filmati, quelli con lei giovanissima e piena di vita».
Parlando sentivano di togliersi un peso dal cuore.
«Le interviste sono state addirittura terapeutiche: erano arrabbiati, si sentivano colpevoli. Gli amici avevano capito che ad Amy stava succedendo qualcosa di brutto: temevano che potesse morire. Ma qualcun altro decise che doveva continuare a esibirsi. Persone diverse in momenti diversi hanno provato a salvarla. Purtroppo qualcuno ha detto: “Va tutto bene, lei sta bene”, e la macchina è andata avanti».
Quel qualcuno è il padre, che nel film sembra approfittare del successo della figlia, arrivò a portarle le telecamere di un reality mentre si disintossicava. E l’ex marito, che l’aveva iniziata alla droga.
«Ho intervistato tutti. La madre, due volte il padre, due volte l’ex marito. Tutti sono venuti nello stesso studio a Londra. Soli nella stanza, il registratore sul tavolo. Ognuno ha detto quel che voleva».
Eppure la famiglia non ha preso bene il film...
« Ai genitori alcune cose sono piaciute, altre no. Il mio lavoro è dire la verità. Chi teneva davvero a Amy sa che le dobbiamo la verità. La sua è stata una vita complicata. Chi ha preso certe decisioni non pensava certo a lei».
Il padre Mitch, nel libro Amy, mia figlia , dà un’altra versione.
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«Non l’ho letto. Non lo faccio mai. Parto dalla pagina bianca, dalle persone che mi raccontano, dalle immagini. Solo perché qualcosa è scritto in un libro non significa che sia successo».
Amy è accostata a Kurt Cobain e agli artisti morti giovani.
«La storia di Amy appartiene solo a lei. Non credo ci sia niente di cool nel morire giovani».
A una premiazione Amy dice all’amica: “È tutto così noioso senza la droga”.
«Era adulta, responsabile delle proprie decisioni, ma era complicata. Pensava in modo diverso da noi, faceva parte del suo talento. A distruggerla è stato anche il linciaggio mediatico: era il periodo delle intercettazioni, dell’assalto dei paparazzi. Un abuso legalizzato».
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