CIAK, MI GIRA! LA RUOTA DELLA MOTO (BRANDO TROPPO BASSO PER ARRIVARE AI PEDALI DI UNA HARLEY DAVIDSON!)

Franco Giubilei per "La Stampa"

Nel 1947 una banda di motociclisti invase la pacifica cittadina californiana di Hollister, seminando il panico fra la popolazione. Pochi anni dopo, alla proiezione del Selvaggio, che a quella vicenda era ispirato, un Hell's Angels commentava così: «Al Fox Theatre eravamo una cinquantina, con bocce di vino e giubbotti neri di pelle: ci sedemmo in balconata a fumare sigari, bere e a fare il tifo. Eravamo proprio noi quelli che vedevamo sullo schermo, tutti eravamo Marlon Brando. Mi sa che me lo sono visto quattro o cinque volte».

Comincia così, dal film capostipite di un genere esploso in almeno un centinaio di produzioni negli anni a venire, il viaggio del critico Alberto Morsiani lungo la strada che unisce cinema e moto. Tutto questo in nome di un mito duro a morire, se è vero che a inizio aprile uscirà Come un tuono con Ryan Gosling, storia di uno stuntman che si mette a fare rapine per poi scappare - indovinate come? - in sella al suo cavallo d'acciaio.

Ribelli on the road - Moto e bikers del cinema, di prossima pubblicazione per Gremese, per la prima volta esplora il mondo dei centauri attraverso la lente della macchina da presa, andando a scavare fra generi, sottogeneri e film mainstream in cui la moto fa la parte del leone.

Per scoprire, per restare al Selvaggio, che siccome Brando era un po' troppo basso per arrivare ai pedali di una Harley Davidson, durante le riprese gli diedero una più maneggevole Triumph: «I puristi di moto storsero un po' il naso - spiega l'autore del volume -. Invece Lee Marvin, che nella vita era un biker scatenato, nel film guida sempre un'Harley».

Nel 1966 usciva nelle sale un'altra pellicola destinata a fare storia: I Selvaggi, con Peter Fonda, richiamava a sua volta un'immagine tratta dalla cronaca vera di quegli anni, con una fila di motociclisti incolonnati dietro al feretro di un compagno durante un funerale. A firmarla era Roger Corman, maestro di b-movie.

La sequenza iniziale, col bambino sul triciclo che fugge dalla madre per andare a sbattere contro la ruota anteriore di un chopper, secondo Morsiani salda «un filo rosso diretto di ribellione e di fuga fra i primi conati di emancipazione di un bambino e la sua futura vita selvaggia e vagabonda di biker».

Da allora, era il 1966, fu un diluvio di film di genere, con ibridazioni attente ai gusti dell'audience: motociclisti di colore per la gente nera, donne motocicliste energiche e cattive che strizzavano l'occhio al neonato movimento femminista, horror biker movie per gli amanti del cinema di paura, fino al porno vero e proprio.

Tarantino, che in queste cose ci ha sempre sguazzato con immenso piacere, ci è tornato sopra in Pulp Fiction , non solo nell'episodio in cui Bruce Willis precisa a più riprese alla fidanzata che quello che sta guidando è un chopper, ma omaggiando un film di motociclisti del passato, Un mucchio di bastardi, da cui ha preso spunto anche Stallone per Rambo.

Fra rimandi e citazioni un capitolo speciale se lo prende Steve Mc Queen: lui in moto correva sul serio, anche in gare ufficiali, e per uno scherzo del destino si ritrovò a riparare il «ferro» di un'altra icona come James Dean, quando ancora lavorava in un'officina per mantenersi al cinema.

Nella Grande fuga la produzione gli impose la controfigura dopo che era caduto nella prima prova della scena in cui vola oltre il filo spinato. E Jack Nicholson allora? Il primo ruolo che lo impose fu un byker movie del '67, Angeli dell'inferno sulle ruote , prima ancora di vestire i panni dell'avvocato alcolizzato che monta in sella dietro Peter Fonda in quell'altro monumento ai centauri che è Easy Rider.

Poi il filone si è esaurito un po' com'è accaduto al western, di cui in un certo senso è degno erede, ma spesso la moto rispunta: un po' perché fa figo e dà lustro al divo di turno, da Richard Gere in Ufficiale e Gentiluomo a Tom Cruise in Mission Impossible , fino a Mickey Rourke, il «motorcycle boy» di Rusty il Selvaggio di Coppola.

Il marketing fa la sua parte, e così i film Usa sono zeppi di Ducati, per cui gli americani vanno matti. L'Italietta nostra si accoda, facendo i conti con le mille curve del suo paesaggio accidentato: su tutti svetta Il federale con Tognazzi, ma si ricorda anche Bolidi sull'asfalto con Giacomo Agostini.

 

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