“IL FOTOGRAFO È UNO CHE AMMAZZA I VIVI E RESUSCITA I MORTI” - IL MAESTRO SCIANNA IN VISTI&SCRITTI RIPERCORRE LA SUA CARRIERA - DALL’AYATOLLAH KHOMEINI AGLI STILISTI, IL MONDO È FATTO PER ESSERE CATTURATO
Marco Belpoliti per "La Stampa"
La prima fotografia del libro di Ferdinando Scianna, Visti&Scritti (Contrasto, pp. 431, € 24,90) raffigura il bisnonno Giacinto ritratto dal fotografo di Bagheria, il mitico paese natale dall’autore, tale Coglitore. Faceva ritratti, soprattutto ai vecchi, e spesso gli capitava di farli ai morti, prima della sepoltura, per avere un’immagine dello scomparso, o della scomparsa, da custodire in famiglia quale ricordo.
Giacinto era stato probabilmente fissato da morto, così che quando Ferdinando dice al padre che vuole fare il fotografo, il genitore ci rimane male e definisce all’istante il mestiere che il figlio s’appresta a fare: «Uno che ammazza i vivi e resuscita i morti».
Con questo viatico Scianna, uno dei più importanti fotografi italiani contemporanei, inizia il racconto, scatto per scatto, della propria vita di uomo che ha guardato dentro l’obiettivo della macchina, una vita che include le persone che ha frequentato e amato, uomini e donne famosi e umili, i luoghi visitati, i mestieri incontrati, i sogni e le immaginazioni intraviste. È una memoria istantanea, che mescola insieme parole e immagini, considerazioni sulle cose e le persone a discorsi su quel mestiere che uccide e resuscita al medesimo tempo.
Chi ha ascoltato almeno una volta Scianna parlare in pubblico, sa con quanta forza e persuasione, con che vis narrativa, esponga le sue idee sulla fotografia, e più in generale sul mondo, accumulando passato e presente, tanto da farci pensare che in lui la parola preceda e segua gli scatti che ha fatto, e che ancora fa, come qualcosa che avvolge il mondo alla pari di un tessuto sottile e compatto, mentre le sue fotografie appartengono alla parte silenziosa della sua personalità, tutta concentrata nell’occhio che guarda e nel dito che scatta; qualcosa che è più implacabile e insieme sinuoso delle sue stesse parole.
Visto&Scritto ha alle spalle la carriera di giornalista di Scianna. Per alcuni decisivi anni il fotografo siciliano è stato giornalista del settimanale «L’Europeo», corrispondente da Parigi, dove ha intervistato personaggi come Foucault e Barthes, Kundera e Martinez, passando dalla letteratura all’arte, dalla fotografia alla poesia, in una divorante vitalità di storie e persone, attenta a fissare ritratti con la macchina per scrivere, e con quella fotografica.
Scianna possiede una doppia tastiera, e per quanto debba la sua notorietà al primo mestiere, quello di fotogiornalista della Magnum, fondata sullo scatto con pellicola, gli piace moltissimo scrivere, anzi ne è innamorato, perché il secondo mestiere, come capita a molti, rivela l’altra parte di sé, quella che sarebbe potuta essere, ma non è stata: scrittore.
Eppure la vocazione all’immagine è in Scianna fortissima, anche quando, come in questo libro, racconta. Lo si vede nel modo con cui narra le sue storie, con efficacia icastica, e piacere dell’indugio. Sono tutti ritratti vivissimi quelli che vediamo in queste pagine, dall’austero Ayatollah Khomeini fissato mentre prega (aveva gli occhi castani, non i metallici occhi azzurri attribuitigli dai giornalisti!, scrive Scianna) a un bellissimo ritratto adolescenziale di Paola Capriolo diciassettenne, con la testa tra le mani, opposto e simmetrico alla durezza del capo iraniano.
A ogni pagina ci si sofferma sullo scatto proposto e sulle parole, e si passa alternativamente dall’uno all’altro con crescente piacere. Le fotografie hanno una forza e un’evidenza che le parole in generale non sembrano possedere: sono immediate. Ci interrogano, spesso con maggior impellenza delle parole stesse, anche se poi le parole lavorano nella nostra memoria in modo continuo e assai misterioso.
Ecco la pagina in cui compare un Armani impettito, in posa e abito da direttore d’orchestra, qual in effetti è; poi Dolce e Gabbana, che si sostengono a vicenda, giovanotti speranzosi in camicia bianca: Stefano con il collo slacciato, Domenico invece allacciato. Ogni immagine è una storia, e di queste storie le parole raccontano l’altro lato, parlano del fotografo stesso e della sua vita, componendo una sorta di autoritratto per immagini e commenti.
Sono tutte cose e persone viste, diventate memorabili nel corso degli anni. Ma di cosa parla in definitiva il libro? Del tentativo compiuto da Scianna di catturare quello che ha visto. Un diario, una galleria, un quaderno di appunti, memoria ribattuta. Su tutto domina la passione per la bellezza, femminile in particolare, e poi, più sottile e certo durevole, la nostalgia, il rimpianto, quella particolare malinconia che solo i siciliani possiedono in modo così disincantato, distante e a un tempo così bruciante.
L’ultima immagine del libro ci mostra in primissimo piano Edoardo, il portiere dello stabile dove Scianna ha lo studio, che comunica una verità attuale e fondamentale del nostro fotografo: la felicità di diventare vecchi e di essere ancora qui a guardare il mondo.