
“HO PERSO LA LIBERTA’ DUE VOLTE. DOPO L'ASSOLUZIONE HO GIURATO A ME STESSA CHE NESSUNO POTRÀ PIÙ SPEZZARMI” – L’IMPRENDITRICE GIULIA LIGRESTI RACCONTA IN UN LIBRO LA SUA ODISSEA, DALLA FONDIARIA SAI ALL’ARRESTO NEL 2013: “ERO UN FANTASMA CHE CAMMINAVA” (NEL 2018 TORNÒ IN CARCERE PER SCONTARE LA PENA PATTEGGIATA DI 2 ANNI E 8 MESI SALVO USCIRE 3 SETTIMANE DOPO ED ESSERE, INFINE, ASSOLTA) – “IO SAPEVO DI ESSERE INNOCENTE MA MI HANNO FATTO CAPIRE CHE, SE NON AVESSI PATTEGGIATO, SAREI RIMASTA RINCHIUSA A LUNGO. PER ANDARE A CASA, AVREI AMMESSO DI AVER UCCISO GIULIO CESARE” – IL RAPPORTO COL PADRE SALVATORE LIGRESTI E IL CAMBIO DI VITA: “ORA SONO UNA DESIGNER”
Candida Morvillo per il “Corriere della Sera” - Estratti
Giulia Ligresti scorre i messaggi sul suo telefono: 26 agosto 2021, scrive a Roya, a Kabul, di disegnarsi una «P» sulla mano, il segno di riconoscimento per salire su un volo che la porterà in salvo in Italia; poi le invia la posizione del volontario che la sta aspettando. Ecco il selfie sorridente di Roya e del volontario: è fatta. Anzi, no. Proprio lì, all’Abbey Gate, un kamikaze si fa saltare in aria. I morti saranno 183.
Roya è viva, ma terrorizzata: i suoi vocali fanno rabbrividire anche solo a riascoltarli adesso.
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Lei l’ha persa due volte, la libertà, arrestata con i fratelli e il padre in un’inchiesta su presunte false riserve sinistri della Fondiaria Sai di famiglia. Nel 2013, finì in custodia cautelare; nel 2018, tornò in carcere per scontare la pena patteggiata di due anni e 8 mesi. Salvo uscire tre settimane dopo con un clamoroso colpo di scena ed essere poi assolta, «perché il fatto non sussiste».
Stasera a Milano, Giulia presenta la sua autobiografia, Niente è come sembra , edita da Piemme. Gli occhi blu saettano, i bicipiti sono torniti dallo yoga, è sempre la bellezza per cui la celebravano le copertine delle riviste finanziarie.
Se la sente di tornare a un’altra sua immagine più tristemente celebre, quella del luglio 2013?
«Quella con la maglietta da ginnastica grigia, al tribunale di Torino?».
Magrissima, pallida, spaventata, scortata dagli agenti mentre va all’interrogatorio dove si deciderà il patteggiamento.
«Ero un fantasma che cammina, non ero più io. Quel giorno, ho giurato a me stessa che non sarei mai più stata così e che nessuno avrebbe più avuto il potere di spezzarmi. Provavo terrore misto a stupore.
Da un momento all’altro, ero stata strappata ai miei tre figli, messa in una cella sorvegliata a vista, senza che ci fosse ancora stato un processo. La cosa che mi faceva più male era pensare che tutto questo era volutamente causato da un essere umano come me, non da un tiranno, un dittatore. Non riuscivo a capacitarmi che, in un Paese civile, una persona coi nostri valori, qualcuno che poteva avere famiglia e figli, potesse volontariamente causare tutto quel dolore».
Gli inquirenti la sospettavano di falso in bilancio aggravato, false comunicazioni sociali, manipolazioni del mercato.
«Io sapevo di essere innocente e resto convinta che lo sapessero già anche loro. Il carcere preventivo andrebbe applicato solo con oggettivi pericolo di fuga, reiterazione del reato, inquinamento delle prove. Io dove potevo scappare con tre figli? Ormai, penso che dovrebbe esserci un’intelligenza artificiale applicata alla giustizia, senza interpretazione umana. Metti dentro i fatti, le norme e hai il verdetto».
Perché quel giorno decise di patteggiare?
«Lo scambio era chiaro e necessario: mi hanno fatto capire che, se non avessi patteggiato, sarei rimasta rinchiusa a lungo. Io volevo tornare dai miei figli. Il piccolo aveva undici anni. Per andare a casa, avrei ammesso di aver ucciso Giulio Cesare».
Scrive che per un momento si è odiata per la sua fragilità.
«È successo ripensando a un interrogatorio in cui ho percepito che chi mi interrogava era anche l’unica persona col potere di salvarmi. Non è stata proprio una sindrome di Stoccolma, ma ho sentito che non avevo alcun potere di ribellarmi. Invece, la seconda volta, quando sono venuti a prendermi per scontare la condanna a San Vittore, ero preparata, mi sentivo come Louis Zamperini in Unbroken ».
Vale a dire?
«È un film su un americano prigioniero in un campo giapponese, dove cercano di spezzarlo in tutti i modi, ma lui resiste, non si rompe mai. È stato il mio modello, con Nelson Mandela. Mi ripetevo: se Mandela è riuscito a resistere in prigione per 27 anni, quello che vivo io è nulla in confronto
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La svolta arriva quando suo fratello Paolo viene invece assolto. Da lì, nel 2019, lei riesce a ottenere l’assoluzione con la revisione del processo. Avendo patteggiato, non aveva perso le speranze?
«Mai. Neanche quando, con mio fratello già assolto, mi hanno negato l’affidamento ai servizi sociali. So che l’universo, alla fine, rimette sempre a posto le cose».
Lei è stata nei consigli di amministrazione di Sai, Pirelli, Telecom, Ieo, vicepresidente di Fondiaria Sai e presidente e Ad di Premafin...Ora cosa fa?
«Ora sono una designer. Ho sempre avuto questa passione, era un mio sogno e ora è la mia professione. Il mio esordio è stato una panca con scritto “love” sullo schienale, l’ho portata alla gallerista Rossana Orlandi, è piaciuta. Ne è nato un marchio e, adesso, mi rappresenta una galleria con sede a New York. Credo che tutti viviamo tante vite, questa ora è la mia e spero non sia l’ultima».
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Suo padre è mancato nel 2018. Com’era il Salvatore Ligresti che ha conosciuto lei?
«La persona più geniale che abbia mai incontrato, con una grandissima capacità di entrare in connessione con le persone. Passava la metà della giornata ad ascoltare e aiutare chi aveva bisogno, amici e sconosciuti. Era un ingegnere innamorato dei grattacieli e la sua visione, il suo lavoro, sono presenti in tutti i progetti che hanno cambiato il volto di Milano, da City Life a Porta Nuova».
Era un padre affettuoso?
«Moltissimo. Pranzavamo sempre insieme, il mio ufficio era accanto al suo. In vacanza, ci raggiungeva per vedere i nipoti. I miei figli hanno preso da lui la concretezza di avere sogni e realizzarli. Ginevra ha fondato Riding Safari Club: crea esperienze a cavallo nei luoghi più incredibili del mondo. Federico è stato tanto all’estero, ora lavora nell’immobiliare a Milano. Sono straordinari, nei giorni peggiori si sono ribaltati i ruoli, hanno dimostrato una forza incredibile, si sono occupati del piccolo, Leonardo. Ginevra e Federico, a soli 21 e 22 anni, hanno coordinato legali e amici».
Una cosa che suo padre ha insegnato a lei?
«A non avere timore di dire la verità. E che una stretta di mano ha veramente un valore».
L’ha lasciata libera di scegliere cosa fare?
«Totalmente. Anche quando mi sono sposata a 19 anni prima che finissi il liceo. Mi fa: “Sei sicura? Amore, sicura? Allora, va bene”. Ma ero già molto matura e mio padre non faceva mai pesare il suo giudizio. Metteva in atto il detto indiano: prima di giudicarmi, devi camminare mille anni nelle mie scarpe. Ho vissuto una vita piena di amore e la vivo tuttora».
ALBERTO NAGEL SALVATORE LIGRESTI
Com’è fatta una vita piena di amore?
«Bellissima. Piena dell’amore dei miei figli, della mia famiglia, dei miei amici. In carcere ricevevo anche 50 lettere al giorno. La mia amica Rossella mi mandava sempre lettere piene di glitter e cuoricini. Sono uscita con un sacco zeppo di lettere, tipo Babbo Natale, 42 erano proposte di fidanzamento, a dire il vero.
Di detenuti che mi avevano vista in tv».
Quante vite s’immagina ancora davanti?
«Almeno un paio. E, se la mia vita dovesse finire domani, ho lasciato tracce d’amore importanti: i miei figli».
francesco micheli salvatore ligresti
JONELLA E SALVATORE LIGRESTI
GIULIA LIGRESTI
GIULIA LIGRESTI IN INDIA
arturo artom giulia ligresti chiara boni
GIULIA LIGRESTI
giulia salvatore ligresti