LA VENEZIA DEI GIUSTI - ‘COME FOSSERO PALLOTTOLE TU SCHIVI I SENTIMENTI…’: ‘AMMORE E MALAVITA’ DEI MANETTI BROS CON LE COREOGRAFIE DI LUCA TOMMASSINI È IL FILM PIÙ RIUSCITO E PIÙ ORIGINALE DEGLI ITALIANI IN CONCORSO. DOPO TANTI CHE CI HANNO STESI E LASCIATO SULLE POLTRONE MEZZI ADDORMENTATI, UN FILM LIBERATORIO, FESTOSO E COLORATISSIMO, CON UN CARLO BUCCIROSSO DA COPPA VOLPI IMMEDIATA
Ammore e malavita dei Manetti bros
Venezia. “Come fossero pallottole tu schivi i sentimenti…”. Dopo tanti film, anche importanti, che ci hanno lasciati stesi sulle poltrone mezzi addormentati, dopo tante storie di martirii femminili, raro vedere una serie di opere così misogine, è assolutamente liberatorio il festoso e coloratissimo arrivo in concorso del nuovo noir-action-musicarello dei Manetti bros, Ammore e malavita, naturalmente girato interamente a Napoli.
Diciamo subito che è un trionfo di battute e di attori napoletani, capeggiati da un Carlo Buccirosso da Coppa Volpi immediata e dal trio canterino Serena Rossi-Giampaolo Morelli-Raiz, questo già stracult Ammore e malavita che vede arrivare Marco e Antonio Manetti per la prima volta al concorso veneziano, dopo qualche fugace apparizione all’epoca di Muller. Meglio così, anche se sarebbe stato meglio portarli venti anni fa, ai tempi di Zora la vampira, diciamo, che cercai invano di segnalare.
Magari era troppo presto allora e troppo acerbo il film, mentre ora i Manetti sono certamente più maturi e la loro cultura tra videoclip e cinema di genere è stata sdoganata e digerita anche dalla critica più bacchettona. Pur con qualche difettuccio, qualche lunghezza a metà della seconda parte, meno compatta della prima, non solo si ride parecchio vedendo il film, ma è un piacere assistere a questa celebrazione sia del cinema dei Manetti che dei tanti genere sceneggiata, poliziottesco, action, che hanno riunito qui come nel precedente Song'e Napule.
Spingere sulla sceneggiata, c'è pure il mitico Pino Mauro, salutato in sala con grandi applausi, è la grande trovata dei Manetti che, proprio ai tempi di Zora, non osarono fino in fondo costruire un musicarello horror-rap con un film che ben si prestava a questo stravolgimento.
Qua arrivano finalmente dove avevano intenzione di arrivare, cioè a confondere i generi e a spingere i loro attori in una zona tra action e comedy che non è volutamente facile decifrare. Un qualcosa che il cinema contemporaneo, asiatico e americano che sia, fa ormai da anni ma che il nostro cinema arrugginito si rifiuta di accettare, quando proprio dalle commistioni fra generi ha ottenuto grandi risultati nel passato.
Nel film il boss Don Vincenzo, un Carlo Buccirosso strepitoso, è convinto dalla moglie, Donna Maria, Claudia Gerini, a fingere di morire per potersi godere in pace la sua ricchezza. Al suo posto troveremo nella bara il suo sfortunato sosia, uno scarparo, morto stecchito che già nella prima scena del film, apre però gli occhi e cantando ci spiega che non è il morto che la vedova e i parenti stanno piangendo.
La storia si sposta poi sullo scontro tra i due killer del boss, Giampaolo Morelli e Raiz, cresciuti assieme come macchine di morte, che cercheranno di uccidersi quando Morelli si mette contro l’intera famiglia. La ragazza che doveva eliminare, Serena Rossi, l’infermiera testimone del fatto che Don Vincenzo è vivo, si rivela essere il grande amore del killer.
la gerini in ammore e malavita
Cercando di salvarla diventerà immediatamente un traditore. La storia è poco più di un racconto da Merola movie alla Alfonso Brescia, ma il fatto che tutti gli attori, anche i più piccoli cantino e ballino, con coreografie di Luca Tommassini, rende il film estremamente insolito e divertente. Inoltre quasi tutti gli attori coinvolti sanno cantare benissimo, da Buccirosso a Serena Rossi, e la sceneggiata, così, trionfa su tutto.
Grandi applausi alla fine delle proiezioni. Finora il più riuscito e il più originale degli italiani in concorso.
Sweet Country
L’altro film in concorso presentato stamane è il western australiano Sweet Country, diretto dal vero aborigeno Warwick Thornton, già regista del premiatissimo a Cannes Samson and Dalilah. Anche qui siamo di fronte a una storia western che abbiamo già sentito molte volte, la fuga nella natura selvaggia di un nativo, Sam, interpretato da Hamilton Morris, accusato di omicidio inseguito da una posse di bianchi, capeggiata da un sergente con dei problemi, Bryan Brown, che lo vogliono riportare in città per processarlo e, probabilmente, impiccarlo.
Solo che Sam ha buone cause per fare quello che ha fatto, visto che il bianco stecchito, il pessimo e razzista Harry March, aveva anche abusato di sua moglie, e sa muoversi fra le rocce e nel deserto molto meglio dei bianchi. Sam Neil interpreta invece il bianco buono che difende Sam. Sweet Country è un solidissimo western dove l’eroe non è più il bianco, ma l’aborigeno che si ribella alle umiliazioni.
Non solo. Cerca anche di difendere la propria cultura rispetto alla prepotenza dei bianchi. Thronton costruisce il suo racconto con grandi inquadrature di una natura meravigliosa che tanti altri western australiani ci hanno mostrato. Non è però che sia, alla fine, un film così innovativo, anche se la galleria dei suoi protagonisti è notevole e l’imponente outback asutraliano è davvero spettacolare.