IL CINEMA DEI GIUSTI - ‘HAPPY END’ DI MICHAEL HANEKE È UNA LUCIDA E CHIRURGICA DESCRIZIONE DEL CROLLO DELLA BORGHESIA EUROPEA A CALAIS, DI FRONTE A PROBLEMI CHE NON SA RISOLVERE, COME GLI IMMIGRATI O LA FINE DEL CAPITALISMO TRADIZIONALE RISPETTO A QUELLO DELLE BANCHE. ATTORI STREPITOSI, A PARTIRE DA JEAN-LOUIS TRINTIGNANT E ISABELLE HUPPERT
Marco Giusti per Dagospia
Happy End di Michael Haneke
Oh, i bei tempi della borghesia di Calais! Impossibile non pensare, non io, ma chi conosce bene l’arte (cioè mia moglie), ai sei borghesi di Calais, celebre scultura di Rodin che celebrava il sacrificio di tutta una classe per salvare la città al tempo della guerra dei Centanni. Anche i borghesi di Calais descritti in Happy End, l’ultimo film di Michael Haneke, non meno bello di Amour e non meno duro di Il nastro bianco, ma forse più sgradevole di entrambi, si immolano o cercano di immolarsi vedendo il loro potere economico e sociale scomparire, ma non lo fanno per salvare qualcosa, tanto meno la loro città.
happy end jean louis trintignant
E’ una sorta di suicidio collettivo, quasi da laboratorio, vedendosi privi di sbocchi e di futuro. La fine di un potere. Lo spiega bene il vecchio patriarca Georges, Jean-Louis Trintignant, al suo barbiere personale chiedendogli una pistola per uccidersi. Non c’è, purtroppo, un Rodin pronto a immortalarli in una scultura, ma il cellulare di un ragazzina di tredici anni, che freddamente ha già ripreso, all’inizio del film, la madre in bagno prima che finisse all’ospedale da dove non uscirà viva.
Come ha ripreso gli effetti di certe pillole della madre su un criceto o un fratellino che è stato fatto nascere per compensare la morte di un fratello maggiore. Nessuno dei personaggi raccontati da Haneke in una serie di sketch e situazioni che solo messi assieme ci offriranno il vero quadro d’insieme, si può dire simpatico, anzi…, anche se in ogni scena si sente tangibile una sorta di humour nero, quasi un’ombra della vecchia borghesia bunueliana (ma Haneke non ci casca nella trappola di farci ridere), che avvolge la disfatta della borghesia dell’epoca Macron-Merkel di fronte a problemi che non sa risolvere, come gli immigrati o la fine del capitalismo tradizionale rispetto a quello delle banche.
Sono di scena i ricchi e potenti Laurent, borghesi di Calais. Il vecchio Georges, mal ridotto sulla carrozzella, che alterna momenti di lucidità a momenti di demenza. Sua figlia Anne, Isabelle Huppert, gelida donna d’affari che ha ereditato l’attività immobiliare dal padre, ma dovrà vendere agli inglesi, tramite il suo fidanzato banchiere Lawrence, Toby Jones. Il figlio di lei, Pierre, Franz Rogowski, sul quale non può fare grande affidamento, visto che ha combinato un guai serio in cantiere, e come risposta porterà alle nozze della madre, come ospiti non proprio graditi, una massa di africani spiaggiati proprio a Calais.
Poi c’è Thomas, Matthieu Kassovitz, l’altro figlio di Georges, non meno freddo della sorella, con una prima moglie in ospedale, morente, una seconda moglie, Anais, Laura Verlinden, che gli ha dato da poco un figlioletto e che tradisce, visto che ha pure un’amante musicista, Claire, che gli scrive messaggini focosi. Il tutto sotto gli occhi della figlioletta, Eve, Fantine Harduin, tredici anni, che va a vivere da lui quando la mamma, prima moglie di Thomas, finisce all’ospedale. Eve non solo filma tutto col cellulare, vede tutto.
E si rende conto che il padre non ama né la prima moglie, né la seconda, né l’amante né lei. Sarà quindi Eve, come abbiamo detto, a vedere e a riprendere al cellulare, a imoortalare come Rodin, la fine della famiglia Laurent, la fine della borghesia di Calais, sotterrata dalla propria indifferenza e impotenza nei confronti del mondo. In sala da giovedì.
Guardate come i Laurent trattano i due camerieri, Rachid e Jamila, Hassam Ghancy e Nabiha Akkari. O come trattano i sottoposti. O i profughi. Haneke alterna modernissime riprese col cellulare o le chat di Thomas con l’amante a grandi inquadrature luminosissime del suo solito direttore della fotografia, Christian Berger, così chiare per contrastare, magari, il cupo del cuore dei personaggi. Nel finale, Haneke ci mostra il mare di Calais da dove dovrebbero partire o arrivare i profughi e dove vorrebbe sprofondare, come un profugo, il vecchio patriarca.
jean louis trintignant happy end
E’ un’immagine fortissima che conclude un’opera difficile e molto ragionata. Non a caso Haneke la usa anche come manifesto. Difficile pensare a qualcosa di più lucido e di più chirurgico che la descrizione del crollo della borghesia europea a Calais fatto da Haneke. Come se oltre, col mare che ci porta nell’Inghilterra della Brexit, non si potesse più andare. Attori, a cominciare da Jean-Louis Trintignant e Isabelle Huppert, strepitosi.