IL NECROLOGIO DEI GIUSTI - “LA VITA ME LA SONO GIOCATA, ME LA SO’ SCOPATA, ME LA SO’ BEVUTA…”. TOMAS MILIAN ADORAVA PARLARE DI ROMA, DI MONNEZZA, DELL’ACTOR’S STUDIO, JAMES DEAN, LUCHINO VISCONTI, SOLLIMA, ANTONIONI, LENZI E CORBUCCI CHE LO RESERO UN’ICONA, SPIELBERG E SODERBERGH CHE LO RISCOPRIRONO. MA SOPRATTUTTO VOLEVA PARLARE DI CUBA: ECCO LE SUE STORIE…
Marco Giusti per Dagospia
“La vita me la sono giocata, me la so’ scopata, me la so’ bevuta…”. Tomas Milian adorava parlare di Roma, di Monnezza, il suo alter ego, della sua carriera di attore, dell’Actor’s Studio, di James Dean, che adorava, di Luchino Visconti che gli preferì Alain Delon, di Sergio Sollima con cui ha girato tre western che hanno scaldato tutta la sinistra rivoluzionaria del tempo, di Michelangelo Antonioni che lo vide come probabilmente era, di Umberto Lenzi e di Bruno Corbucci che lo resero un’icona, di Steven Spielberg e di Stephen Sodenbergh, che lo riscoprirono a Hollywood quando dopo tanti anni tornò, di Dennis Hopper, con cui girò il film più fuori di testa di ogni tempo, perfino di Fabio Mauri e Barbara Steele coi quale provò una commedia che non fece mai, ma soprattutto, almeno con me, voleva parlare di Cuba.
Dei tempi meravigliosi della Cuba di Bola de Nieve, grande pianista e cantante nero come il carbone ma dolcissimo. Ay amor, si me dejas la vida, déjame también el alma sentir… Si era perfino portato i suoi dischi quando venne a Roma la prima volta, dischi che prestò, mi disse a Alberto De Martino e non tornarono più indietro (ma De Martino negava). Gliene regalai un paio, di dischi di Bola de Nieve, perché se li risentisse a Miami, la città dove viveva da tanto tempo. Sognando di ritornare a Cuba, ci ritornò un paio d’anni fa, prima della morte di Fidel per un piccolo documentario.
Sognando di ritornare a Roma, dove tornò più volte, anche per fare un film incredibile diretto da Giuseppe Ferrara con Franco Califano, Roma nuda. Un film riscaldato dalla sua presenza. “Guarda che Giuseppe Ferrara è come Abel Ferrara”, mi diceva. Insomma… Con Abel Ferrara, Tomas aveva fatto un film dove, per la prima volta, credo, si mostrava nudo e grasso, addirittura brutto. Lui che era bellissimo, da giovane, ne sapeva qualcosa il nostro cinema, da Bolognini a Visconti a Pasolini, che se innamorarono subito, ne sapevano qualcosa molte signore e signori, che persero la testa, al punto che Giuseppe Patroni Griffi scrisse una piéce su di lui senza rivelarlo,
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D’amore si muore. Tomas Milian ha vissuto la propria bellezza come qualcosa da nascondere, da mascherare, quasi vergognandosene, mentre il cinema italiano lo esaltava come un nuovo bello e bellissimo. Ma più che diventava un peone lesto di coltello, Cuchillo, un bandito disperato con baffoni e capelli lunghi, più che lo amavamo anche noi piccoli spettatori che vedevamo in lui, almeno nei suoi primi grandi western diretto da Sergio Sollima, il ribaltamento dei ruoli canonici del western americano.
TOMAS MILIAN FOTO ANDREA ARRIGA
Cuchillo era il peone, lo straccione che prende coscienza e diventa il nuovo eroe. Eravamo tutti per Cuchillo e per il suo coltello. Per non parlare di Vamos a matar, companeros, il film più amato dalla gioventù rivoluzionaria del tempo. Monnezza verrà dopo. Versione comedy dei poliziotti e dei cattivi dei suoi film polizieschi e polizotteschi. Un filone che aveva seguito fin dall’inizio, fin da La banda Casaroli o dal geniale Banditi a Milano di Carlo Lizzani, dove era il commissario buono che dà la caccia a Gian Maria Volonté. Quando avevamo un cinema rivoluzionario.
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Strano che proprio Tomas, nato a Cuba, figlio di un generale durissimo e anticomunista che si era suicidato davanti a lui (“Lo sparo ha ammazzato lui ma è stato il segnale del mio inizio…”) segnandolo per sempre, dovesse incarnare gli eroi più alternativi del nostro cinema. Il bandito-eroe, il poliziotto-bandito sboccato. Tomas aveva con la Cuba di Fidel castro un rapporto ambiguo. Non perdonava a Fidel il fatto di aver ucciso suo fratello, bodyguard di gangster americani più per stupidità che altro.
E non gli perdonava di avergli ucciso una giovinezza dorata che lo aveva fatto sognare. Ma è grazie alla rivoluzione che Tomas si decide a diventare attore e a partire per New York, per studiare, per diventare come James Dean. Una carriera che lo porterà a Roma, ma soprattutto lo porterà di fronte ai nostri schermi di ragazzini per farci sognare. Anche se non si riconoscerà mai troppo in questi ruoli. Per colpa del doppiaggio, diceva, che gli toglieva qualsiasi credibilità. Eppure anche Monnezza, personaggio che lui amava, era doppiato. Solo Cuchillo aveva la sua bella voce. E la adorammo da subito.