
IL CINEMA DEI GIUSTI - BANG! BANG! MAI VISTO UN WESTERN DANESE GIRATO NEL DESERTO DELLA NAMIBIA, PRODOTTO DA LARS VON TRIER E DIRETTO DA UNO DEI MAESTRI DEL 'DOGMA', CIOÈ KRISTIAN LEVRING? ECCOLO: 'THE SALVATION'
Marco Giusti per Dagospia
The Salvation di Kristian Levring.
Bang! Bang! Mai visto un western danese girato nel deserto della Namibia in Sud Africa, prodotto dalla Zentropa di Lars Von Trier e diretto da uno dei maestri del Dogma, cioè Kristian Levring? Eccolo. Malgrado la benedizione del Dogma, The Salvation, scritto e diretto appunto da Kristian Levring e presentato l’anno scorso a Cannes con ottima accoglienza critica, è un tipico revenge western molto spaghetti e poco fordiano di buona complessità visiva, con meravigliosi set africani di deserti rossastri alla Mad Max: Fury Road, e un bel cast di protagonisti capitanati da un Mads Mikkelsen freddo e vendicatore alla Clint Eastwood e da un’Eva Green muta e feroce.
Rispetto a un’operazione simile, lo spaghetti western polacco iper artistico Summer Love di Piotr Uklanski, piccolo disastro con l’idea di dar vita un western polacco autoriale ma alla Miles Deem-Demofilo Fidani, The Salvation è prima di tutto diretto da un vero regista. Kristian Levring è infatti qui al suo quarto film, e torna in Namibia dove aveva girato il notevole The King Is Alive con Jennifer Jason Leigh, oggi musa del nuovo Tarantino, The Hateful Eight, e il cattivissimo Brion James, sorta di western moderno dove l’ambientazione aveva com qui un forte peso.
Proprio la conoscenza del posto, e l’uso che fa Levring di questo folle deserto rosso e dei suoi tre set western, la stazione ferroviaria, la città dove vivono un branco di miserabili dopo la Guerra Civile, e la città fantasma mezzo bruciata, dove regna il cattivo con la sua banda, spingono il regista ben oltre lo spaghetti movie-saggio o omaggio al genere. Ovvio che si rivedono qui temi leoniani o del revenge movie più classico, ma proprio la costruzione meticolosa dei set e dei personaggi e il loro inserimento nel panorama africano fanno di The Salvation un dalla forte identità autoriale, senza estetismo inutili alla Sorrentino.
Magari è più vicino a Tarantino, almeno per questo tentativo di superamento del meta-western grazie a una scrittura personale. Sempre dalle parti del Dogma, siamo. L’azione si svolge nell’America selvaggia del 1870, dove il danese Jon, Mads Mikkelsen, è andato a vivere assieme al fratello Peter, Mikael Persbrandt, dopo la guerra con la Germania. Dopo sette anni di attesa, recupera finalmente la bella moglie bionda, Nanna Oland Fabricius, e il figlioletto. Mentre il fratello rimane in città, Jon decide di portare a casa la famiglia con una diligenza. Sarà un tragico errore. Perché con loro viaggiano due brutti ceffi appena usciti di galera, che scaraventeranno in pieno deserto lui, uccideranno il bambino e la donna, dopo averla violentata.
Inutilmente Jon ucciderà i due non potendo più salvare la sua donna né suo figlio. Quello che non poteva sapere è che uno dei due brutti ceffi che ha ucciso è il fratello di un boss locale ex-ufficiale nordista, Delarue, Jeffrey Dean Morgan, che domina con la violenza la piccola cittadina, depreda gli agricolti rubando loro la terra per passarla ai capitalisti, visto che è piena di petrolio, e ha come socio l’ambiguo sindaco e becchino del posto, Keane, Jonathan Pryce. Scoprendo che il fratello è morto, Delarue scatena la sua ira e se la prende con i cittadini vigliacchi uccidendone tre sul colpo. Altri ne ucciderà se non gli consegneranno il vero assassino.
Lo faranno, e Jon finirà legato a un palo pronto a essere torturato dagli uomini di Delarue, come il cattivo Corso di Eric Cantona. Della banda fa parte pure la vedova del fratello morto, la bella Madelaine, cioè Eva Green, muta da quando gli indiani le hanno tagliato la lingua, ma non così fedele al cattivo Delarue.
Da qui in poi, come in molti spaghetti western, cito solo il fondamentale The Bounty Killer di Eugenio Martin con Tomas Milian, sarà un susseguirsi di cambiamenti di fronte e di alleanze. Mads Mikkelsen è un ottimo protagonista da western, come lo era il danese americano Viggo Mortensen in Appaloosa, funziona benissimo anche Mikaek Persbrandt, già in luce in The Hobbit e in Un mondo migliore, a Eva Green basta una sguardo per farci capire chi è e cosa vuole, mentre Jonathan Pryce è ambiguo quanto basta.
Funziona un po’ meno il cattivo Delarue di Jeffrey Dean Morgan, che non ha lo stesso status di Mikkelsen. Se set, scenografie e costumi, bellissimi, funzionano, la banda dei cattivi insomma è un po’ lacunosa e Lavring non può vantare le gallerie di comprimari italiani e spagnoli degli spaghetti anni ’60. Questi sono i tempi. Ma va benissimo così. In uscita l’11 giugno.