GLORIA AL CALIFFO INCAPACE, COME ROMA, DI ESSERE UNA COSA SOLA

Alberto Infelise per "La Stampa"

Roma sceglie i suoi eroi. E quasi mai li ama di un amore unico e condiviso. Quant'è diverso il funerale di Franco Califano da quello di Enzo Jannacci. A partire dal paradosso di una Milano assolata per l'addio all'Enzo e una Roma livida di pioggia fredda per quello al Califfo.

A Milano un ecumenico saluto a un simbolo condiviso, a Roma lo strazio di chi ha amato un artista tanto popolare quanto frainteso e misconosciuto. In quanti pensano a Califano come una vittima sacrificale della giustizia? Eppure lo sono stati Walter Chiari ed Enzo Tortora, finiti «al gabbio» proprio come Califano, per le stesse indagini, poi riabilitati come simboli dell'ingiusto martirio. Califano no.

Un esempio raro in cui l'immagine pubblica, quella dello sciupafemmine cinico e spregiudicato, ha fatto a cazzotti (seppellendola) con quella dell'autore di canzoni di un romanticismo esasperato: La nevicata del '56, Minuetto, Gente de borgata erano sue, manifesti indiscussi di quella scrittura struggente che solo Roma può generare. «Se potrebbe sta pure mejo, ma che voi fa», cantavano Edoardo Vianello e Wilma Goich: e pure se «de borgata», in quella frase c'è tutta Roma.

La Roma che ne ha viste di tutti i colori nei suoi millenni e sempre sopravvive e va avanti, che, come dice il Marchese del Grillo (Califfo ante litteram) «morto un Papa se ne fa sempre un altro».
La maschera di dolore accanto al feretro è quella impersonata da Maurizio Mattioli, amico del maestro, attore popolarissimo del teatro e del cinema all'interno del Gra, fuori meno. Ma per Roma quel che accade fuori dal Raccordo Anulare conta poco.

C'era il sindaco Alemanno a salutare il Califfo, c'era Renata Polverini, completamente assente la sinistra pariola che il Maestro l'ha sempre schifato (per il presunto maschilismo, per la sua capacità di essere popolare anche a sinistra, per esser stato eroe di quella destra popolana che l'uomo forte ancora lo ama). C'era, tra le prime file della chiesa degli Artisti a piazza del Popolo, Renato Zero, uno che quando - tra millenni - sarà il giorno verrà giù il Campidoglio.

Pure in morte, come in vita, non ha unito il Califfo, ma diviso. Del resto mai per un secondo unire era stato tra le sue priorità. Troppo impegnato a vivere tutto quello che c'era da vivere, secondo regole proprie, che tengono insieme opposti che per altri sarebbero inconciliabili.

L'ostentata capacità di seduttore di femmine che non si tira indietro di fronte a una «Avventura con un travestito». Il cinismo del killer sentimentale che dopo il primo appuntamento desiderato tanto da lavare la macchina per far bella figura, ottenuto quel che voleva ottenere ammette con sé stesso e con il mondo che «Tutto il resto (quello che viene dopo il primo appuntamento) è noia»: ma poi si strugge e scrive in Minuetto «continuo ad aspettarti nelle sere per elemosinare amore».

Elemosinare? Il Califfo? Viene il dubbio che certe poesie siano state scritte per la sua epica capacità di parlare «con» le donne e di dire la cosa giusta al momento giusto. Come un Rugantino, come un Pasquino: come la sua Roma, incapace di essere una cosa sola, nato per essere tutto. E il suo contrario.

 

Messa Funebre per Franco Califano Vianello saluta Califano Il popolo di Califano Il Feretro di Franco Califano I fan di Califano Maurizio Mattioli renato zeroLando Fiorini

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