"I PINK FLOYD? UN MARCHIO" - ROGER WATERS GRAFFIA: "AVREI FERMATO LA BAND NEL 1995". POI ATTACCA RADIOHEAD E NICK CAVE PERCHE’ SUONANO IN ISRAELE - AL MACRO DI ROMA DA VENERDI’ I PINK FLOYD IN MOSTRA. ASSANTE: ''UN'ESPOSIZIONE FANTASTICA. SI VIAGGIA TRA LA STORIA E IL FUTURO, POMPEI E LA BATTERSEA POWER STATION, LA PSICHEDELIA E LA GUERRA, LA LONDRA DEL BEAT E L' INGHILTERRA DELLA THATCHER" - VIDEO
Carlo Moretti per la Repubblica
Non so perché la nostra eredità sia considerata così importante, sono 32 anni che non sto più nei Pink Floyd: abbiamo fatto un lavoro importante ma ci sono molte cose più importanti da fare nel mondo che preoccuparsi di cosa è stato fatto nel passato».
Le parole di Roger Waters gelano la platea riunita per ascoltare la presentazione della mostra The Pink Floyd Exhibition - Their mortal remains, al Macro di Roma da venerdì prossimo. Waters, che sarà a Milano e Bologna per sei concerti nelle arene ad aprile e poi in estate in versione da stadio con lo show Us & Them, l' 11 luglio alle Mura storiche di Lucca e il 14 al Circo Massimo di Roma, sembra una nota stonata rispetto al batterista dei Pink Floyd Nick Mason, consulente della mostra, che ascoltandolo abbozza un sorriso a mezza bocca.
Waters, avrebbe mai immaginato, 50 anni fa, che la band potesse un giorno finire in un museo?
«No, troppo difficile. Ed è il motivo per il quale ho scelto il titolo Their mortal remains: è divertente e invita a non prenderla troppo sul serio. Sui Pink Floyd c' è un' attenzione esagerata. Ma non ci si può fare nulla. E allora eccoci qui».
Almeno i fan potranno cogliere meglio la vostra storia.
«Non ne ho idea, bisognerebbe chiederlo a loro. Io la vedo per la prima volta qui a Roma: mi è chiaro il percorso che inizia con The piper at the gates of dawn e continua fino a The final cut. Poi ci sono queste tre piccole stanze che proseguono il racconto ma non hanno nulla a che fare con me, non mi interessano. Lì non c' è accuratezza, ma lasciamo perdere: la gente deve pure poter fare ciò che vuole».
Ci sono tre diverse formazioni chiamate Pink Floyd: la band di Syd Barrett, la band con David Gilmour, la band senza Waters: è noto che lei volesse chiudere la storia del gruppo, fu sbagliato da parte loro continuare?
«Certo che avrei fermato la band nel 1995, e secondo i miei avvocati avrei avuto ottime chances di vincere la causa perché gran parte della musica era stata scritta da me. Però il nome della band è un marchio registrato e ha un valore notevole, secondo la giurisprudenza inglese non avrei potuto impedirne l' uso».
The Pink Floyd Exhibition waters raggi mason
Che ricordo ha di Syd Barrett?
«Ci incontrammo a Cambridge al liceo. Era destino che stringessimo amicizia, ci legava l' amore per la musica, l' arte, la curiosità per quanto stava accadendo negli Usa, la cultura hippy, insieme leggevamo Kerouac».
Potevate fare di più quando manifestò i suoi problemi?
«Feci tutto ciò che mi fu possibile, andai dalla sua famiglia, parlai con i migliori medici. Ricordo che presi un appuntamento con un famoso psichiatra scozzese, Ronald David Laing, che solo più tardi scoprimmo pazzo a sua volta, ma Syd si rifiutò di andarci e scappò dalla mia auto».
Lei licenziò Richard Wright.
«La registrazione di The Wall segnò un nuovo inizio, fu un cambio nelle dinamiche interne al gruppo. Rick insistette fino allo sfinimento per produrre con me e David, ma non contribuiva in nulla, se non criticare gli altri. Passarono mesi, diventò schiavo dei suoi eccessi, non restava altra soluzione che licenziarlo».
Il nuovo album "Is this the life we really want?" ricorda molto le atmosfere di "The wall".
«Se mi guardo indietro, questi 50 anni sono nulla, un nanosecondo.
Non mi sorprende che io mi ripeta, perché non è cambiato poi molto.
Sono d' accordo, l' album ricorda The wall ma la domanda mi permette di tornare sulla mostra: non sono più nei Pink Floyd dunque questo disco non compare nell' esposizione eppure è la continuazione di quella storia. E non è nella mostra perché questa mostra è sulla proprietà di un marchio. Dunque, avete domande? Chiedete a Nick Mason e a David Gilmour, appartiene a loro».
Nell' album attacca Trump: le ha creato problemi negli Usa?
«Assolutamente sì, quando uscì il film-concerto The wall ebbi molti incontri con Netflix: lo vogliamo, mi dissero. La lobby Usa che lavora contro di me ha fatto in modo che cambiassero idea dal giorno alla notte, e così mi hanno comunicato che non è più nel loro interesse».
Lei sostiene il movimento di boicottaggio di Israele: pensa che i Radiohead e Nick Cave sbaglino a suonare lì?
«Vogliono ripulire il volto di un regime genocidario che sostiene l' apartheid e l' occupazione della terra palestinese dal 1948. Quando i Rolling Stones o McCartney suonano lì appoggiano il governo israeliano. E ciò dà spinta alla sua propaganda. Ma le cose stanno cambiando, il movimento di boicottaggio Bds conquista consensi anche nella comunità ebraica in America».
2. LA MUSICA E IL MITO: QUEL CHE RESTA DEI PINK FLOYD
Ernesto Assante per la Repubblica - Roma
Si può vivere senza conoscere i Pink Floyd?
Probabilmente si, ma sicuramente si vive peggio. Perché la musica, l' arte dei Pink Floyd parla a noi di noi stessi, perché Roger Waters, David Gilmour, Rick Wright e Nick Mason hanno indagato i temi dell' esistenza umana meglio di chiunque altro nel mondo della musica contemporanea, perché hanno influenzato profondamente l' immaginario collettivo, perché hanno creato opere immortali che, senza alcun dubbio, ancora restano attuali e emozionanti.
Vederli dal vivo oggi è impossibile, ascoltare la loro musica invece lo è ancora, con i concerti di Roger Waters e il suo tour, intitolato non a caso "Us + Them", che arriverà tra breve in Italia e questa estate al Circo Massimo nella Capitale, il prossimo 14 luglio.
Ma, visto che la loro arte non è fatta solo di musica, per conoscere meglio i Pink Floyd è bene andare al Macro per vedere "Their Mortal Remains", la magnifica mostra che, dopo essere stata inaugurata al Victoria & Albert Museum, inizia da Roma il suo giro planetario. È una mostra fantastica, che permette sia a chi ama la band sia a chi la conosce solo casualmente, di scoprire il loro l' universo, di immergersi in una proposta multisensoriale che consente di viaggiare nel tempo, partendo dagli esordi dei Floyd (con la replica del pulmino con il quale la band andava a fare I primi concerti) e arrivando fino ai nostri giorni.
Si viaggia tra ipotesi e rappresentazioni diverse e affascinanti nelle quali si mescolano la storia e il futuro, Pompei e la Battersea Power Station, la psichedelia e la guerra, la Londra del beat e l' Inghilterra della Thatcher, ascoltando la musica della band (la qualità dell' audio è garantito da Sennheiser), ricordando i loro album, i loro concerti, perdendosi nelle copertine dello studio Hipgnosis e negli artefatti dei concerti. Perdersi nell' oscurità e nelle luci della mostra è facile, la bellezza e la spettacolarità del percorso sono estremamente coinvolgenti, ma allo stesso tempo allo spettatore attento non sfuggiranno i particolari, quelli che visti nell' insieme, come ha detto Nick Mason, fanno pensare che tutte le loro opere fossero iscritte in un unico grande progetto. Così si può restare colpiti dall' incombere dei grandi pupazzi di The Wall, o restare interdetti dal doppio volto di The Division Bell, si può restare senza fiato vedendo i manoscritti dei testi di canzoni che conosciamo a memoria, o farsi commuovere da oggetti di vita quotidiana come le camicie indossate da Syd Barrett.
Si possono apprezzare i bozzetti delle scene e degli album (leggendario quello della copertina di Dark Side Of The Moon, peraltro ricostruita in ologramma) o vedere decine e decine di strumenti musicali usati dai componenti della band negli anni, si può leggere la storia, ma anche semplicemente divertirsi con gli oltre 350 oggetti che la mostra propone, o con gli spazi multimediali e interattivi. C' è tutto quello che I Pink Floyd hanno fatto, c' è tutto quello per cui sono diventati importanti nella cultura del secolo scorso e continuano ad esserlo oggi.
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