SI PUÒ FARE PEGGIO DI ‘’MISSION’’? IMPOSSIBLE. È L’ASCOLTO PIÙ BASSO PER RAI 1 – LEONE SUL DOCU-REALITY UMANITARIO AUSPICATO DALLA BOLDRINOVA: ‘LO SHARE? NON CI INTERESSAVA’ (CONTENTO LUI)

Elisabetta Ambrosi per "Il Fatto Quotidiano"

Il dato Auditel relativo alla prima puntata di Mission, il docu-reality su Rai Uno andato in onda mercoledì sera, parla chiaro: 8,16%, il programma non è piaciuto al pubblico. E la Rai resta intrappolata in una contraddizione espressa dalle parole del direttore di rete Giancarlo Leone, nella diretta streaming di ieri del Il fattoquotidiano.it : da un lato, rispettare un presunto pubblico di Rai Uno, che non sopporta un linguaggio complesso e chiede solo fiction e intrattenimento; dall'altro evitare tv spazzatura, senza curarsi degli ascolti - "non ci interessava, c'era un'altra finalità", ha detto sempre Leone durante l'intervista al Fatto.it  .

La cronaca del programma, e delle relative polemiche, parte da lontano. Già quest'estate deputati del Pd e di Sel avevano chiesto al presidente della Commissione di Vigilanza Rai che si evitassero spettacolarizzazioni, mentre lo stesso Fico domandava in un'interrogazione ai vertici Rai informazioni sui modi di produzione e cachet. Critiche erano state avanzate anche da alcune associazioni per i rifugiati e Ong, da riviste come Famiglia Cristiana e Vita . La stessa Boldrini si era mostrata perplessa sulla scelta del reality. La protesta è poi montata in rete, sia con le critiche sui social network sia con la raccolta di firme su change.org   contro la trasmissione - oltre centomila - portata avanti da Andrea Casale.

Mercoledì sera, alla fine, il programma è andato in onda: i due imbarazzati conduttori Michele Cucuzza e Rula Jebreal ripetevano ai partecipanti poche e povere domande - "Che cosa avete provato?"; "Come vi ha cambiato questa esperienza?" - ricevendo risposte ovvie e incolori ("È stata l'esperienza più sconvolgente della mia vita"). Ma il programma era fatto soprattutto da filmati: quello con Albano e le sue due figlie nel campo profughi giordano di Zaatari, e quello con Morvillo e Pannofino dal Mali.

Nessuna spiegazione sui motivi del conflitto - la guerra come un meteorite caduto dal cielo, le parti rivali identiche e innominate - solo constatazioni autoevidenti ("Questa povera gente disperata senza aiuti sarebbe morta"), accompagnate da musiche atrocemente tristi. Disperazione e impotenza travolgevano lo spettatore, e a nulla servivano le poche coperte portate in aiuto a un pugno di famiglie, o il rifacimento del tetto di una casa. Come in un reality dove il fortunato vince il restyling del ristorante o dell'abitazione.

Per questo Mission è un'occasione persa. No, il problema non è il cachet dei vip (ma le cifre vanno date, l'ambiguità del servizio pubblico sull'essere "azienda" sul mercato liberalizzato è inaccettabile), né se si vede, come chiesto da Tobagi o Todini, perché dovrebbero darlo in beneficienza: anche il volontariato è una professione, ipocrita pensare il contrario, (su questo Leone ha ragione). Non sono colpevoli i vip che hanno partecipato.

Il problema nel programma è che, pur avendo raccolto fondi per l'Unhcr - ma si poteva fare altrimenti - non riesce nel suo obiettivo: spiegare un conflitto, coinvolgendo emotivamente, ma in senso trasformativo. In poche parole dando speranza, come hanno saputo fare altri (per esempio Saviano con il racconto dei morti della Casa dello Studente, o Marco Paolini in Vajont). Invece si punta su un'emotività insopportabile che tra l'altro mai dovrebbe essere mostrata - i volti dei bambini traumatizzati dappertutto, quando la Carta di Treviso lo vieterebbe - lasciando lo spettatore solo di fronte a immagini scioccanti (altro che "visi amici", quelli dei vip). Più terrorizzato e paralizzato, nella propria crisi e in quella altrui.

Insomma la convinzione resta quella espressa dalla stessa Morvillo sul suo blog: "Se per far conoscere il dramma dei rifugiati al grande pubblico devi mandare Al Bano in Giordania ed Emanuele Filiberto nella Repubblica Democratica del Congo, questo è un problema del Paese e non della Rai". Peccato che la premessa non sia dimostrata, e il resto sia tautologia. Se le emozioni sono universali, universalmente possono essere raccontate, ai laureati come alle casalinghe. Ma bisogna saperlo fare. In maniera intelligente, coraggiosa e soprattutto visionaria.

 

MISSION PANNOFINO E CANDIDA MORVILLO AL BANO CON UN BIMBO PROFUGO A MISSION LAURA BOLDRINI E AUNG SAN SUU KYIIntervento di Giancarlo Leone CUCUZZA IN UN CAMPO PROFUGHI

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