
IN “SYMPATHY FOR THE DEVIL”, MICHAEL MEWSHAW RACCONTA I 40 ANNI DI AMICIZIA CON IL GRANDE ROMANZIERE, POLEMISTA E INTELLETTUALE GORE VIDAL - MEMORABILI GLI SCAZZO CON WILLIAM F. BUCKLEY: “FROCIO, LA SMETTA DI CHIAMARMI CRIPTO-NAZI SE NO LA SPIACCICO AL MURO!”
Anselma Dell’Olio per “il Foglio”
“SYMPATHY FOR THE DEVIL” - LIBRO DI MICHAEL MEWSHAW SU GORE VIDAL
Michael Mewshaw, in “Sympathy for the Devil”, ha scritto la storia della sua quarantennale amicizia con Gore Vidal, in gran parte vissuta in Italia. Saggista, romanziere, commediografo, sceneggiatore, polemista, il public intellectual americano ultra- progressista suscita simpatie o antipatie a seconda delle inclinazioni politiche dei suoi lettori e conoscitori.
Figura arcinota per oltre cinquant’anni nei più seguiti talk show tv – è morto a 86 anni nel 2012 – grazie a YouTube e ai tanti libri pubblicati, volendo si può cogliere ancor oggi la sua fulminea, duttile, magistrale manipolazione della lingua inglese per iscritto e in tv. Lo spirito delle sue ferine freddure può essere gustato ampiamente nei duelli televisivi ingaggiati con celebri personalità della cultura e della letteratura: Truman Capote, Norman Mailer e sopra tutto il più arguto, eloquente conservatore-libertario nell’arena del commento politico, William F. Buckley.
Nel 1968, la Abc tv assunse Buckley e Vidal come analisti politici per le convention democratica e repubblicana, quella resa celebre dai disordini a Chicago. E’ stato un momento d’oro della tv americana. Tanto il fiero uomo di destra era anti-comunista, cattolico, patriota, tanto il suo antagonista era in linea con il giudizio ostile dell’Urss e di Noam Chomsky sugli Stati Uniti, e pagano dichiarato.
Il nipote del Senatore Thomas Gore dell’Oklahoma chiamava la patria “L’impero americano” e “il National Security State pronto per la dittatura”, definendolo paese corrotto, guerresco, ingiusto e con due partiti gemelli sostanziali nel “tradire la Costituzione”.
Lo scontro tra i due è stato epico, con scambio di insulti anche sulla stampa tra il colto e il demotico, e cause per diffamazione durate anni. (Alla fine ha avuto qualche soddisfazione Buckley: $150.000 per le ingenti spese legali e $10,000 per l’offesa subita). Vidal aveva scritto su Esquire che il conservatore era “razzista, antisemita e guerrafondaio”, e che insieme con alcuni suoi fratelli aveva profanato una chiesa protestante nel Connecticut, perché il pastore aveva venduto una casa a una famiglia ebrea.
ravello gore vidal alla rondinaia
Vidal fa una contro-causa perché Buckley aveva definito Myra Breckinridge “un romanzo pornografico”, ma la sua la perde. Il più sanguigno, però, era Vidal, che sapeva far saltare i nervi all’altro. Provenire dalla classe dirigente istruita e privilegiata non impediva ai due di degenerare nell’insulto demotico al vetriolo.
Se Buckley riferiva ai riottosi manifestanti di Chicago che sventolavano la bandiera dei Viet Cong come “pro-Nazi”, Vidal ribatteva che “l’unico pro-cripto-Nazi che mi viene in mente è lei stesso”. Furibondo, Buckley deborda: “Senta un po’, frocio. La smetta di chiamarmi cripto-nazi se no la spiaccico al muro”.
Più tardi dice che gli rincresce di aver usato la parola “queer”, e la riformula con “evangelista della bisessualità” e “ufficio stampa dell’omosessualità”. Oggi Buckley andrebbe protetto dal Wwf. Nel 1971, prima di andare in scena al Dick Cavett Show, tra Vidal e Norman Mailer, a modo suo cantore progressista che aveva raccontato l’epica di Chicago nel suo Le armate della notte, interviene un insolito permale.
Vidal aveva scritto una recensione stroncatoria del popolarissimo pamphlet di Mailer sul femminismo, in cui scriveva che l’autore de Il prigioniero del sesso, chissà da quale pulpito pontificava sul movimento delle donne, ricordando il notorio episodio in cui Mailer aveva pugnalato la moglie, e lo dichiarava pronto per diventare “il prossimo Charles Manson”.
Mailer, sul bicchiere, non la prende bene, e sferra una capocciata (headbutt) a Vidal. Interrogato sull’accaduto, Gore non esita: “Ancora una volta, a Mailer mancano le parole”. Su Truman Capote vomitava insulti, tanto da far pensare alla gelosia; l’unico altro omosessuale “out” dell’epoca era uno scrittore più bravo di lui nel creare personaggi a più dimensioni che suscitano emozioni, cosa di cui il fieramente arido Vidal era incapace.
“Cosa pensa di Capote?”, gli chiede un intervistatore: “Lo detesto come si detesta un animale lercio che s’intrufola in casa”. Alla domanda “Cos’è che non le piace di lui?” Vidal urla, “la menzogna. La cosa che detesto di più al mondo. E’ la ragione per cui non ho un rapporto amichevole con la stampa”. “Sympathy for the Devil” si legge di un fiato, e si capisce perché l’autorevole Kirkus Review definisce Mewshaw “il miglior romanziere americano che nessuno conosce”.
Racconta con prosa impeccabile cascate di aneddoti gustosi sulla vita degli espatriati di lusso in Italia; più che correggere le idee ricevute su Vidal, le completa con l’affetto disincantato di qualcuno che lo ha conosciuto bene. Lo scrittore più anziano amava irrobustire la propria immagine di uomo distaccato, ironico, sempre pronto a gambizzare con una boutade. “Sono esattamente come appaio”, diceva. “Sotto la mia superficie glaciale, rotto il ghiaccio, trovi l’acqua gelida”.
L’uomo permaloso e scorbutico ha spesso messo a dura prova la pazienza dell’amico più giovane, che non evita di raccontare i molti episodi snervanti inflitti a lui e la paziente moglie Linda da questo amico alcolizzato. Ma racconta anche la generosa ospitalità vidaliana, la genialità letteraria, la lealtà nell’amicizia, gli aiuti economici e professionali ad altri, e la sua sbalorditiva produttività.
Malgrado bevute e mangiate omeriche che stroncherebbero un rinoceronte, Vidal si alzava sempre presto, e lucido, e si metteva a scrivere, come testimonia la prolifica produzione letteraria. Se il biografo non edulcora comportamenti crudeli, arroganti e meschini dell’amico, sopra tutto la superba autoreferenzialità, svela anche le bestie nere che avevano forgiato la corazza di superiorità olimpica che affettava: l’egoriferita madre alcolizzata e anaffettiva che ha odiato fino alla fine, vecchi rancori covati dalla fiamma eterna, ipersensibilità alle offese.
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Mewshaw racconta tutto con spirito, imparzialità e vera riconoscenza, con ottima scrittura e divertendo il lettore. Manca solo una delle più tremende (perché ficcante) boutade di Vidal. Il suo partner Howard Austen, rimirando l’inebriante vista sul mare dei Monti Lattari dalla loro incantevole villa La Rondinaia a Ravello, dice a Gore: “Dopo la tua morte, tutto questo sarà mio”. “Dopo la mia morte”, mormora laconico il compagno di cinquant’anni, “nessuno ti inviterà più a cena”.