JOHN LURIE È VIVO E VIVE AI CARAIBI: “NEW YORK PURTROPPO NON È PIÙ PERICOLOSA COME UNA VOLTA. PRIMA CI VOLEVA CARATTERE PER VIVERCI, ORA È UNO SHOPPING MALL PER GENTE CHE SI FA PAGARE L’AFFITTO DAI GENITORI”
Angelo Aquaro per “la Repubblica”
Il dipinto è bello e agghiacciante , fantasma bianco su campo verde, e il titolo colpisce anche di più: Ho bisogno di sapere se dopo la morte c’è vita e ho bisogno di saperlo piuttosto in fretta.
tom waits john lurie roberto benigni
Ha ricevuto qualche risposta?
«Sì».
Sarebbe?
«No, guardi, non glielo posso proprio spiegare. Cioè, potrei anche: ma non ho nessuna intenzione di farlo qui».
Ecco, se pensate di essere finiti nel bel mezzo di un dialogo surreale di un film di Jim Jarmush con John Lurie, beh, vi sbagliate: ma solo a metà. Perché quello che parla è proprio John Lurie, l’uomo che visse più volte — il musicista dei Lounge Lizards, l’attore di Jarmush, il pittore che oggi vale decine di migliaia di dollari — e ormai da più di quindici anni lotta contro quel violentissimo virus di Lyme che l’ha costretto a mollare il sassofono e scomparire dalle scene. Ma questo non è un film: è un’intervista. Rara come tutte le perle di Lurie e concessa rigorosamente via email: «Mi scusi ma dopo quell’articolo del New Yorker mi sono ripromesso di farle soltanto così: non posso continuare a essere distrutto da citazioni sbagliate».
Già, quell’articolo che fin da allora — quattro anni fa — si domandava: che fine ha fatto John Lurie? E poi si rispondeva: “John Lurie è malato, John Lurie si nasconde da uno stalker”. Ok, il settimanale celebre per il Reparto Verifica dei Fatti è stato sconfessato, fatto per fatto, dallo stesso Lurie, con tanto di petizione di solidarietà online, primo firmatario l’amico Steve Buscemi.
Ma il mistero si è solo infittito: come sta davvero Lurie? «La mia salute oggi è piuttosto buona», ha confessato al Los Angeles Times, «poi di punto in bianco mi butta giù: per un’ora o un giorno o tre settimane. E comunque va molto meglio di prima». E comunque se gli chiedi di parlarne, ora, comprensibilmente si ritrae. Fino a cassare cortesemente una domanda sui tempi d’oro con Tom Waits & Co.: «No, guardi, non sono proprio nello spirito per parlare di droghe».
Cominciamo allora da lì? Che fine aveva fatto John Lurie?
«Oggi vivo per la maggior parte del tempo in una piccola isola dei Caraibi. A New York torno di tanto in tanto».
Lou Reed diceva, prima di morire, di non riconoscerla più.
«New York ha certamente perso qualcosa. Per esempio: non è più pericolosa come una volta. Male».
Male?
«Prima dovevi essere un duro: ci voleva carattere per viverci. Adesso sembra un grande shopping mall per gente che si fa pagare l’affitto da papà e mamma. Oppure chissà che lurido lavoro fa per campare».
Questa città l’ha celebrata il mese scorso con una storica reunion dei Lounge Lizards diretta da suo fratello Evan. “Che triste suonare la sua musica senza John” ha detto lì sul palco. E poi ridendo: “Però è più facile..”. Lei era un boss così esigente?
«Ero in un ristorante e suonavano un live di Tito Puente. La band così affiatata: che emozione. Cambi di tempo perfetti. Mi giro verso la persona che era con me e dico: “Tito Puente doveva essere un vero stronzo”».
Scusi?
«Questo è l’unico modo per tenere insieme i musicisti. E allo stesso tempo tirargli fuori l’anima. Con i Lizards era così: c’era il momento in cui dovevano suonare con abbandono — e due battute dopo essere precisissimi. In una piccola band puoi anche affidarti a loro. Ma in un’orchestra più grande devi essere un dittatore. Provate ad ascoltare James Brown o Duke Ellington… Devi essere un mostro per riuscire a far suonare i musicisti così. O quantomeno: io un altro modo non l’ho mai trovato. Essì che mi piacerebbe essere più amato: ma la musica per me è molto più importante della gente».
A proposito: “Jim Jarmush, David Byrne, Keith Haring: solo i peggio sono andati avanti. Quelli davvero grandi hanno quel senso di follia che non li tiene insieme: e ci hanno lasciati. Degli artisti di allora solo io sono quello ancora vivo: e col mio fegato ancora intero”. Lo dice lei, in quel famoso articolo del New Yorker.
«E come faccio a commentare qualcosa che non ho mai detto? Si tratta di frasi — riportate intenzionalmente male — tratte da diverse conversazioni e messe insieme al solo scopo di imbastirci sopra un orribile casino: quell’articolo del New Yorker era grottesco. Vuole forse riformulare la domanda?».
È rimasto in contatto con Jarmush e Byrne? Crede davvero — come sempre quell’articolo riportava — che Jarmush non le riconoscesse abbastanza credito?
«Guardi, io potrei rispondere, per esempio, che con David Byrne e Jim Jarmush ci sono stati dei problemi. Ma quando cerchi di essere onesto con un certo tipo di giornalisti, beh, quelli ignorano le cose buone che dici e si attaccano alla peggiore: per poi distorcerla esagerandola. Ok?».
Lei non è andato al college ma fa musica coltissima: jazz e classica, Charlie Mingus & Fela Kuti. Come s’è formato?
«Potrei elencarle qualche migliaio di cose ».
Facciamo un paio di nomi tra romanzieri e registi…
john lurie con i lounge lizards
«...J. D. Salinger, Harper Lee, Cassavetes, Beckett, Paul Bowles, Elmore Leonard, Scorsese, Fassbinder, i fratelli Coen, Camus, Richard Wright, Nabokov, Jack Kerouac, Mikhail Bulgakov, Henry Miller, Sergio Leone, James Joyce, Fellini, Ken Kesey, Orson Welles, Heinrich Boll, Hitchcock, John Huston, Kubrick, Joyce Carol Oates, Baldwin…È solo una breve lista».
Che meraviglia per noi italiani vedere nella stessa lista Salinger e Sergio Leone.
«Salinger e Leone dovrebbero essere nella lista di tutti».
Ha esposto dall’Armory di New York alla Fiera di Basilea. Dipinti molto più brillanti, nei colori, della sua musica: blu, gialli, rossi. La sua musica è sempre sembrata più cupa.
«In qualche modo è vero. C’è sempre stata molta cupezza, ci sono molte dissonanze nella mia musica: ma sempre funzionali al distendersi in un momento di bellezza».
Dice Joni Mitchell: “Sono una pittrice diventa musicista per caso: canto la mia pena e dipingo la mia gioia”.
«Dipingere è un po’ come metterti a suonare da solo. Solo che quando suoni, e ti viene un’idea, senti il bisogno di aggiungere, metti, una linea di basso: e quando scrivi una frase per un altro strumento, beh, subito ti allontana da quell’aura speciale appena creata. Nella pittura, invece, puoi raggiungere quell’attimo e subito dopo aggiungerne un altro, sopra quello... Poi, certo, alla fine può sempre uscirne un pasticcio orribile».
Basquiat era un suo grande amico.
«Io e Jean-Michel dipingevamo spesso insieme e poi, magari, io mi esercitavo al sax e lui tornava a dipingere. C’era una meravigliosa, quasi bambinesca libertà nel modo in cui lavoravamo. A volte passava qualcuno e si metteva a camminare sulla tela su cui stava lavorando: a Jean-Michel non poteva fregarne di meno. È quello che mi piaceva di lui — anche se io non sono mai riuscito a raggiungere quel suo livello di abbandono. Se qualcuno mi cammina sulla tela, dico...».
Oggi quali artisti la ispirano di più?
«Pesco dovunque. Ogni dipinto può avere qualcosa che ho preso da Bruegel o da Pollock. Ma non lo chiamerei ispirarsi».
Nella sua musica ha riconosciuto l’influenza di compositori di cinema italiani: Ennio Morricone, Nino Rota.
«Due giganti».
Poi c’è Roberto Benigni: avete recitato in Daunbailò. Mai pensato che un giorno avrebbe potuto vincere l’Oscar?
«Se devo dire di avere mai incontrato un genio, quello è Roberto. E incredibilmente coraggioso. E se qualcuno sembrava capace o meritevole di un Oscar, beh, quello era lui. Andrebbe piuttosto detto che raramente l’Oscar va alla persona giusta».
Tornerà a suonare? L’ultimo cd, The Invention of Animals , uscito proprio quest’anno come John Lurie National Orchestra, è un live che era rimasto inedito. Ma per l’ultima produzione bisogna risalire a Marvin Pontiac , quindici anni fa, in cui si fingeva un bluesman pazzoide... È tornato a sorpresa sul palco, solo voce e armonica, per un blitz nella reunion dei Lounge Lizards: tornerete a incidere insieme?
jim jarmusch, nicoletta braschi, roberto begnini john lurie
«Ho in testa un altro disco di Marvin Pontiac, ho diverse idee di canzoni. Ma oggi sono completamente preso dalla pittura. La cosa vergognosa è che in ogni attività creativa ormai conta così tanto il business. E nella musica e nel cinema c’è così tanta disonestà e schifo che in ogni nuovo progetto spendi cinque volte di più del tuo tempo a discutere di business».
Musicista, attore, pittore. Anni fa ha confessato di aver cominciato a buttar giù le sue memorie. Di John Lurie dobbiamo aspettarci anche un libro?
«Ragazzi… Spero proprio di sì».
L’antidivo bello e ribelle oggi ha 62 anni: si sente anziano?
«No».
Ma che idea ha del futuro? Perdoni la domanda invadente: non è che la sua malattia...
«Ribadisco la prima risposta che le ho dato. Semplice, una sillaba sola: è no. Le posso chiedere di tenere quella?».