cappellani cannes

“L’ERA DEI FESTIVAL È FINITA”. OTTAVIO CAPPELLANI: "C’È TROPPO CINEMA, SIAMO IN UNA TORRE DI BABELE DOVE È ORAMAI IMPOSSIBILE VEDERE O FILMARE QUALCOSA DI RILEVANTE. I FESTIVAL SERVONO AI RISTORATORI, AI BAR, SERVONO PER MANGIARE, DEFECARE E RUTTARE. E PERÒ MI PIACEREBBE VEDERLI, DEI FILM DI PROPAGANDA, CONTE E CASALINO COME DUE SCIPPATORI IN VESPINO TRUCCATO CHE CERCANO DI SCIPPARE LA BORSETTA ALLA SIGNORA PEPPINA GRILLO, OPPURE UN BEL FILMONE SOVRANISTA..."

Ottavio Cappellani per la Sicilia

 

spike lee cannes

Forse sto andando fuori di testa per il caldo, ma mi manca il grande cinema di propaganda, il cinema in grado di smuovere le masse. Il cinema in grado di aprire il dibattito tra gli interventisti e i contrari all’impegno militare americano in Europa contro il nazismo, ma mi manca persino la censura democristiana del dopoguerra, quando la scrittura di un film doveva farsi largo tra le maglie della guerra fredda.

 

ottavio cappellani

Ci pensavo perché è tempo di festival, la schiuma della reminiscenza del ricordo sbiadito di estati più umane (vogliamo continuare a fare la vita di sempre ma il cambiamento climatico ha già cominciato a bruciarci culo e cervello), quando d’estate, nei festival, si vedevano in anteprima i film che sarebbero arrivati in autunno e i cosiddetti film “da festival”, questo piccolo imbroglio da “wannabe”, questo vorrei ma non posso a causa di mancanza di soldi o di incapacità di scrittura che ha dato la stura al cosiddetto “cineasta indipendente”.

 

spike lee cannes 19

Nessuno vuole essere indipendente, nessuno vuole che il proprio cinema sia considerato “di nicchia”, o ancora meglio “di micchia”, secondo la geniale definizione di Checco Zalone. La “micchia” è qualcosa della quale ci si accontenta in mancanza di altro, e che poi l’autostima, o il delirio narcisistico, trasforma in una scelta: ma essere “indipendenti” è sempre la scelta di qualcun altro, mai la tua (la storia è piena di “indipendenti” di talento che hanno fatto il salto verso i blockbuster, e se resti indipente è demerito, non merito tuo).

 

zalone furgone atleti con disabilità

L’era dei festival è finita. C’è troppa offerta, troppo cinema, scomparso il supporto materiale della pellicola e lo spazio materiale della sala di proiezione, siamo in una torre di babele dove è oramai impossibile vedere o filmare qualcosa di rilevante. I festival servono ai ristoratori, ai bar, servono per mangiare, defecare e ruttare.

 

E però, sragionando per il caldo, mi piacerebbe vederli, dei film di propaganda, non so, Conte e Casalino come due scippatori in vespino truccato che cercano di scippare la borsetta alla signora Peppina Grillo, oppure  un bel filmone sovranista capace di spargere odio sugli immigrati, sui vicini di casa spacciatori, un inno alla delazione, alla paura e all’odio, e di contro film di resistenza sottoforma di musicarelli sulle note di “Io sono Giorgia, Genitore 1, Genitore 2”.

 

fear street

Oggi, per capire qualcosa sullo shitstorm, queste valanghe d’odio cieche e sloganiste, devo andarmi a rivedere gli zombie di George Romero, che almeno aprirono un dibattito, mentre la meravigliosa trilogia di “Fear Street”, su Netflix, in cui lo shitstorm viene rappresentato da un processo per stregoneria, passa sotto silenzio.

 

E siamo dunque in stagione di Festival, alcuni rinomati, altri passerella di attori di fiction, di registi autoproducentesi (e autoreplicantesi) che fanno il paio agli scrittori autopubblicantesi. A prendere caldo con l’illusione di assistere a uno spettacolo mentre è solo la schiuma della reminiscenza di un ricordo sbiadito in estati disumane e invivibili, tra caldo e alluvioni.

Ottavio CappellaniCAPPELLANI

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