IL CINEMA DEI GIUSTI - “L’IMMAGINE MANCANTE” E’ UN FILM SULLA TRAGEDIA DEL POPOLO CAMBOGIANO SOTTO POL POT RICOSTRUITA CON I RACCONTI DEI SOPRAVVISSUTI, VISTO CHE LA DITTATURA HA ELIMINATO OGNI TRACCIA DELL’ORRORE
Marco Giusti per Dagospia
Si può raccontare la tragedia di un popolo senza le immagini giuste, visto che la dittatura al potere ha eliminato ogni traccia o quasi dell’orrore che ha provocato? Sembra assurdo oggi che si vive in una società dove si documenta qualsiasi piccola azione della nostra giornata, ma non esistono davvero le immagini della tragedia cambogiana, solo la memoria di chi l’ha vissuta e di chi ha sentito i racconti dei sopravvissuti.
Proprio partendo da questo, il cambogiano Rithy Panh ha costruito, grazie alla memoria collettiva di un popolo, un intero film L’immagine mancante, presentato due anni fa a Cannes, dove ha vinto la sezione Un certain regard, e è stato candidato all’Oscar, un incredibile racconto della sua infanzia e del delirio della rivoluzione di Pol Pot e degli Khmer Rossi.
Tutto è descritto da una voce narrante in prima persona e da immagini, tratte da documentari, film di propaganda e film d'epoca, uniti, proprio nelle immagini mancanti, da quelle ricostruite dal regista con dei meravigliosi pupazzetti in plastilina colorati a mano che fanno rivivere la sua vita e quella di milioni di disperati che fuggirono da Phnom Pem nel 1977.
Rithy Panhn spinge molto sul doppio binario del suo film, il diario personale della tragedia della sua famiglia, il padre che rifiuta di mangiare, il fratello rockettaro che trova la morte in città, la sorella che muore di stenti e di fame nei campi di riso, e il diario della ricostruzione delle immagini mancanti, nella memoria e nelle cineteche.
Pellicole che ci arrivano come dal nulla, un operatore di Pol Pot che ci lascia in eredità terribili scene di carestie e per questo viene punito con la morte. Non si tratta solo di raccontare il male provocato dall'ideologia e, prima, dal capitalismo, quanto di viaggiare nella memoria per fissare la visione del quotidiano mancante, degli anni della infanzia che ci ritornano in mente con i loro colori.
E proprio il colore è una delle parti mancanti della costruzione visiva della Cambogia di Pol Pot, tutta in bianco e nero e tutta osannante il “Fratello Numero Uno”. E' dal colore di un brandello di un vecchio film anni '60 e da quelli della mano che dipinge i pupazzi che parte Rithy Panh, che si muove il film alla ricerca di una realtà perduta e da lì racconterà una tragedia e l'odissea di un popolo. Un film che andrebbe visto assieme ai due bellissimi documentari di Joshua Oppenheimer sullo stesso tema, The Act of Killing, che vinse l’Oscar, e The Look of Silence. Forse quello di Rithy Panh è ancora più profondo e sofferto. In sala dal 4 dicembre.
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