L'OPERA, LE DONNE E L’IDIOZIA DEL POLITICAMENTE CORRETTO- IL TENORE MICHAEL FABIANO SI AUTOCENSURA NEL RIGOLETTO, NON SE LA SENTE DI ABUSARE DI UNA DONNA - A FIRENZE SARÀ CARMEN A UCCIDERE DON JOSÉ E NON IL CONTRARIO – MATTIOLI: “NON HA SENSO CENSURARE L'ARTE DEL PASSATO SOTTO LA PRESSIONE DELLA MENTALITÀ, DEI GUSTI, DELLE ATTESE E PERFINO DELLA CRONACA (NERA) DEL PRESENTE’’
Alberto Mattioli per la Stampa
Ormai la slavina sta diventando una valanga. Ultimo a scivolare, il tenore americano Michael Fabiano, quello del concerto di Capodanno alla Fenice. Al sito WhatOnStage fa sapere di essersi autocensurato nel Rigoletto al Covent Garden di Londra, perché come Duca di Mantova non se la sentiva di abusare di una donna come previsto dalla regia di sir David McVicar (per inciso, speriamo che almeno abbia cantato meglio che a Venezia).
L' annuncio arriva dopo quello dell' Opera di Firenze, dove domenica debutta una Carmen , regia di Leo Muscato, dove nel finale sarà lei a uccidere don José e non il contrario perché, spiega a Repubblica il sovrintendente Cristiano Chiarot, «nel momento in cui la nostra società è piagata dal femminicidio, come possiamo applaudire l' uccisione di una donna?». Dato che Chiarot è una persona insolitamente seria per il mondo dell' opera in Italia, speriamo che abbia capito male il giornalista (poi magari la regia sarà bellissima, per carità. Prima di parlarne e soprattutto di sparlarne, gli spettacoli andrebbero almeno visti).
Carmen - teatro del Maggio fiorentino 3f
Come tutte le dittature, anche quella del politicamente corretto finisce per produrre effetti contrari a quelli che desiderava. Celebra il suo trionfo teatrale, ma è un trionfo sbagliato. Per almeno due ragioni. La prima è che non ha senso censurare l' arte, men che meno i capolavori del passato sotto la pressione della mentalità, dei gusti, delle attese e perfino della cronaca (nera) del presente.
Come già spiegava Aristotele ragionando della tragedia, mostrare le passioni umane e i loro catastrofici effetti permette agli spettatori di purificarsene. Da qui il valore educativo che il teatro sempre ha avuto, la ragione per la quale gli Stati lo finanziano, il motivo che ci spinge ad andarci. Altrimenti sarebbe puro voyeurismo delle disgrazie altrui: Romeo e Giulietta diventerebbe un' istigazione al suicidio degli adolescenti, Edipo Re uno spot per gli oculisti.
Ma poi, seconda ragione, simili iniziative finiscono in pratica per danneggiare le giustissime cause che in teoria sostengono. Come molte idee benpensanti, risultano malfacenti. A condannare la violenza e il sessismo maschili hanno già provveduto Bizet e Verdi. Carmen è quel grandioso personaggio che è non per la sua libertà sessuale così serena e anticipatrice ma perché, in nome di questa libertà, arriva fino all' estremo eroismo di farsi ammazzare.
Il suo, in realtà, è un suicidio. Carmen sa che don José la sta braccando, le sue amiche l' hanno messo in guardia, l' ha perfino visto, imbestialito e magari ubriaco o strafatto come gli uomini delle cronache terribili che leggiamo ogni giorno. Però preferisce morire che sottomettersi.
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«Libertà va cercando ch' è sì cara / Come sa chi per lei vita rifiuta», dice Dante. Ma stavolta l' eroismo è donna. Se c' è un' opera femminista, è questa. Carmen altro non è che un Don Giovanni dell' Ottocento, anzi ancora più scandalosa e coraggiosa perché donna, zingara e marginale.
Quanto al Duca, in lui Verdi realizza un grandioso ritratto del maschio italiano più tradizionale e discutibile, quello per cui la donna è mobile ma mai una persona, solo una vagina con attaccato un corpo (di cervello non parliamo).
Chiunque creda alla dignità e all' eguaglianza della donna dovrebbe fare un monumento a Verdi. Nel Rigoletto , ne ha elevato uno, in negativo, al gallismo cinico e volgare di chi colleziona con l' inganno e la violenza dubbie conquiste per vantarsene con gli amici al bar, fra la disanima della partita e la gara di rutti.
Il bello, perché si tratta di due dei capolavori ottimi massimi, diventa anche buono. Chiunque veda Carmen non può che simpatizzare (in senso etimologico: soffrire insieme) con lei, chiunque veda Rigoletto non può che condannare il Duca. E diventare, così, migliore. Esattamente come aveva già capito Aristotele duemila e cinquecento anni fa..