
“L’ADDIO DI RADIO DEEJAY A RICCIONE? MI SPIACE PER IL MODO VILLANO E SCORTESE CON CUI È FINITA” – LINUS, DIRETTORE ARTISTICO DI "RADIO DEEJAY", APRE LE VALVOLE - "NON CAPISCO PERCHÉ NON ABBIANO AVUTO L'ONESTÀ DI DIRE CHE VOLEVANO SEGUIRE UN'ALTRA STRADA. FATTO COSÌ SA VERAMENTE UN PO' DI LOSCO, OLTRE CHE DI MALEDUCATO – LA SCENA MUSICALE ITALIANA? IMPIGRITA. IO AL FESTIVAL? DOVREI ANDARE A TAGLIARE LE GOMME A CARLO CONTI PER AVERE QUALCHE POSSIBILITÀ. MA NON SO COME SI FA – IO SINDACO DI MILANO? UNA STUPIDAGGINE". E SUI PODCAST…
Francesco Moscatelli per la Stampa - Estratti
«L'addio di Radio Dj a Riccione? Mi spiace per il modo villano e scortese con cui questa cosa è finita». «La scena musicale italiana? È impigrita, diventano belle delle cose che in altri momenti non lo sarebbero state. Dovrei fare l'ipocrita e dire che abbiamo trovato i nuovi Mina e Celentano?». Chi è abituato ai modi garbati con cui ogni mattina conduce Deejay Chiama Italia insieme agli inseparabili Nicola Savino e Matteo Curti, forse è rimasto un po' stupito dalle sue ultime uscite pubbliche.
Non è un caso. Il Linus che risponde al telefono a La Stampa ammette che sta vivendo uno di quei momenti in cui quasi quasi preferisce passare per «cattivo» piuttosto che per «c……».
Linus, la rottura con Riccione sembra la fine di un amore più che di un rapporto professionale fra la radio di cui lei è direttore artistico e il Comune. Cos'è successo?«Non abbiamo mai avuto un motivo per discutere. Un paio di anni fa è cambiata la giunta e io ho fatto anche da supplente visto che sono stati commissariati.
Quando si sono ricomposti hanno scelto qualcosa di alternativo. Non capisco perché non abbiano avuto l'onestà di dire che volevano seguire un'altra strada. È soltanto questo che mi dà fastidio. Durava da talmente tanto che magari era anche giusto cercare nuovi orizzonti. Però fatto così sa veramente un po' di losco, oltre che di maleducato».
Ha raccontato che Sanremo si è offerta di ospitare l'estate di Radio Dj. Siete pronti?
«Mentre da una parte c'è chi ha in casa una Ferrari e la vende senza sapere se avrà i soldi per comprarsi una Panda, il resto d'Italia ci chiede se siamo disponibili. Praticamente ogni località turistica ci ha contattato. Per quest'anno, però, è troppo tardi, ci prenderemo una vacanza. Dietro c'è molto lavoro, uno studio personalizzato, non si tratta solo di mettere un cantante su un palco».
Le piacerebbe condurre il Festival?
«Il Festival ha già un presentatore e direttore artistico che resterà in carica altri due anni.
Dovrei andare a tagliare le gomme a Carlo Conti per avere qualche possibilità. Ma non so come si fa (ride, ndr)».
Sull'edizione di quest'anno il suo giudizio è stato molto negativo. Come mai?
«Siamo in una fase in cui la musica italiana è poca cosa. E secondo me i cantanti italiani hanno il difetto di accontentarsi di fare delle cose carine e magari di impegnarsi di più nel trovare i vestiti che nel trovare le canzoni».
Siete stati fra i primi ad accorgervi di Lucio Corsi. Si aspettava questo exploit?
«No, però è stata una parte bella del Festival, come Brunori, che pure ha scritto cose migliori della canzone presentata all'Ariston. Lucio è stato un raggio di sole sotto tutti i punti di vista, anche nella sua lucidità di non scendere a compromessi. Andare sul palco con la chitarra appoggiata sul pianoforte e poi mettersela a tracolla, oppure infilarsi il microfono sotto l'ascella. È una roba molto rock che non si era mai vista negli ultimi anni».
Fra i difetti del panorama italiano ci può essere anche il fatto che manchi una manifestazione diversa. Qualcosa di simile, ad esempio, a quello che è stato il Festivalbar…
«Il Festivalbar era l'apoteosi della musica disimpegnata, estiva. È un peccato che non si faccia più. So che il marchio è lì nel cassetto di Andrea Salvetti, ogni tanto lui dice che vorrebbe tirarlo fuori...».
La serie sugli 883 potrebbe essere un ottimo traino visto il successo che ha avuto. Le è piaciuta?
«Sì, molto ben fatta, molto credibile. I due ragazzi che fanno i protagonisti sono perfetti.
Quello che mi colpisce è la nostalgia per quel periodo. C'è tutta una generazione che vive nel ricordo degli anni ‘90. Non mi era mai successo di vedere un decennio così celebrato e vissuto. Nelle discoteche, ancora adesso, se metti la musica di quegli anni, la ballano tutti. È molto strano come ritorno».
(…)
Risposta da equilibrista. Allora è vero che si sta preparando per un futuro da sindaco?
«No, è una stupidaggine. È una cosa che è girata, ma era poco più che una battuta. Nel 2025 per fare il sindaco non credo basti un curriculum da disc jockey».
Parliamo di radio allora. I podcast sono il futuro?
«La radio è fondamentale se vuoi mantenere un contatto con il mondo vivo. E poi i podcast devono ancora diventare grandi. Ce ne sono veramente troppi, una specie di maxi-incrocio Shibuya di Tokyo dove tutti intervistano tutti e non si capisce niente. Il dramma di oggi è che è bello farli, ma non c'è assolutamente alcun introito».
L'America è uno dei suoi pallini. Cosa prova davanti a quella di Donald Trump?
«È un'America di pazzi, ma per fortuna l'America non è soltanto quella cosa lì. Anzi, penso che l'America di Trump sia figlia di un eccesso esattamente opposto. Il mondo anglosassone negli ultimi anni è impazzito con la cultura woke, che era qualcosa di buono, ma vissuto in maniera esasperata. Il rigurgito ha fatto sì che sia arrivato un mondo come quello di Trump. In mezzo, però, c'è anche tanta gente normale: gli estremismi, in un mondo governato dai social, diventano sempre più estremi».
(…)
Non si può non chiudere sulla Juve. Avrebbe dato più tempo a Thiago Motta?
«No, ne ha avuto anche troppo. Ha un bel coraggio a dire che l'hanno interrotto sul più bello, l'hanno interrotto sul più brutto. Mi dispiace dirlo perché ero fra i tanti convinti che fosse bravissimo. Gli auguro di dimostrarlo in futuro. In dieci giorni Tudor ha rimesso la squadra in una dimensione decorosa. Non è certo il Real Madrid, ma è meglio di quello che abbiamo visto fino adesso».