‘’DUE AGGETTIVI PER QUESTO LIBRO: MAGNIFICO E STRUGGENTE’’ - GIANCARLO DE CATALDO IN DELIQUIO PER IL LIBRO DI MARCO MOLENDINI CHE RACCONTA L’ITALIA AVVENTUROSA DEL DOPOGUERRA E LA ROMA DELLA DOLCE VITA ATTRAVERSO LA ROCAMBOLESCA VITA DI PEPITO PIGNATELLI, VERO PRINCIPE DI SANTA ROMANA CHIESA, COCATO QUANTO BASTA E ALCOLIZZATO AD LIBITUM, CHE AMA COSÌ FOLLEMENTE IL JAZZ DA SFANCULARE TUTTI, COGLIONI E BLASONI…- VIDEO
Giancarlo De Cataldo per "Robinson"- Repubblica
pepito pignatelli e la moglie picchi 6
«Una sorta di Bukowski patrizio attratto dagli inferi, discendente di un grande conquistatore, privo di qualsiasi senso della proprietà, erede di debiti e mecenate a credito». Lui è Pepito Pignatelli, ha trentotto anni e ne dimostra molti di più, la coca ha già scavato nel suo passato, procurandogli l'infamia del carcere. Suona la batteria ed è letteralmente malato di jazz.
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Ha organizzato un concerto con giovani speranze, da Enrico Rava, « che fuma come un turco e suona la tromba pensando in grande » , a Steve Lacy « rarissimo e superbo sassofonista soprano che vive a Roma, soprattutto di stenti » , passando per Franco D'Andrea, «che al pianoforte trasforma la sua timidezza in fantasia » e Marcello Melis, «sardo sciupafemmine dal sorriso nuragico, contrabbassista di notte e dirigente la mattina».
L'anno è il mitico '68, quello della generazione che voleva cambiare il mondo. La location è l'Helio Cabala, ex tempio dell'ormai defunta Dolce Vita. Gli spettatori tre: « una donna bellissima e affettuosa » dal sorriso infantile e dalle splendide gambe, Picchi, la moglie del principe Pepito, e due ragazzi di vent' anni.
Uno di loro, Marco Molendini, giornalista e scrittore di lungo corso, rievoca, oltre mezzo secolo dopo, un'amicizia nata per caso sulle note del "be-bop" e trascolorata, nel tempo, in epopea lirica, trasognata, eroica e disperata. Come gli anni che racconta. Pignatelli principe lo è per davvero, vanta fra gli antenati Hernán Cortés il conquistatore, svariati cardinali, un Papa. Solo a elencare onomastica e titoli se ne vanno come minimo due pagine.
pepito pignatelli e la moglie picchi
Con il suo profilo ossuto e senza tempo - o forse di tutti i tempi - è un monumento vivente alla dissipazione, sembra uscito dal genio di Alain Resnais, quel barone Jean Raoul che in Stavisky il grande truffatore tesse un sensazionale elogio della rovina: « un mio avo ha conquistato l'Europa per Bonaparte, i suoi discendenti hanno conquistato la borsa, l'industria e il commercio coloniale. E io ho sperperato queste ricchezze infami in una festa senza fine».
La festa del jazz, per Pepito: così, quando una ricca zia promette di coprirlo d'oro a patto che rinunci al jazz, cioè alla sua ragione di vita, lui la manda a quel paese, a male parole. Con quel tanto di volgarità romanesca su labbra principesche che ha costituito, nel corso dei secoli, il marchio di fabbrica di una certa nobiltà cresciuta all'ombra del Cupolone.
pepito pignatelli giovanni tommaso
La vicenda umana del principe-batterista s' intreccia, nelle pagine di Molendini, con la storia di un Paese che si rialza a fatica dai disastri della guerra, e con quella di una città che vive l'elettrica stagione della riscoperta del suo fascino universale. Nel secondo dopoguerra siamo tutti americani, e che cosa c'è di più americano del jazz? I jazzisti sono un clan diviso fra tradizionalisti e modernisti, ma pur sempre un clan.
Il principe, se potesse, darebbe una casa a tutti: fino a diventare, lui decisamente anticomunista, antipolitico, inguaribilmente anarchico, una sorta di icona della Roma delle avanguardie artistiche, da Schiano a Gato Barbieri, passando per i pittori e i registi che resero immortale quell'irrequieta stagione. Un sovversivo suo malgrado, in definitiva, un apripista che rischia in prima persona, un narcisista che si pone come solo limite l'abisso.
E un autentico artista del perdersi: apre e chiude locali destinati a vita effimera, trasforma l'inaugurazione del " Blue Note" in una delirante performance iperalcolica, stappa, insulta, distrugge Finché non riesce a concretizzare il suo sogno, e fonda il " Music Inn": ossia, il tempio del jazz a Roma. Tappa obbligata: da Dexter Gordon a Ornette Coleman, da Elvin Jones a Mal Waldron, all'amato ( e impossibile) Chet Baker ci passano in così tanti che citarli tutti è impossibile.
Intanto, il jazz diventa in qualche modo popolare: la generazione dei dissipatori cede il posto a una professionalità più austera. È chiaro che senza quei padri i figli di oggi nemmeno esisterebbero, ma è evidente che quella storia di eccessi è ormai tramontata. Pignatelli, nel frattempo, se n'è andato a modo suo, con esagerazione, a nemmeno cinquant' anni. La sua Picchi lo seguirà qualche anno dopo: perché le grandi storie d'amore si vivono in due, e quando uno dei due viene meno, l'altra è come morta dentro.
« Mettere insieme e incollare i ricordi», annota Molendini, «è stata l'occasione per evocare insieme a Pepito altri personaggi toccati da un estro singolare, protagonisti di vite assolute, dissolute, senza risparmio; e resuscitare una Roma avvolgente, avventurosa, premurosa e affascinante, purtroppo andata perduta » . Due aggettivi per questo libro: magnifico e struggente.
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