“CHE CARLUCCI E VESPA PIACCIANO PIU’ DI VERDI E’ RACCAPRICCIANTE MA NON SORPRENDENTE” – MATTIOLI SUGLI ASCOLTI DELLA PRIMA DELLA SCALA (10,2 %, 1 MLN E 603MILA SPETTATORI) – “FRA LE 17,44 E LE 18, QUANDO L'OPERA È STATA PRESENTATA DA BRUNEO E MILLY, LO SHARE È RISULTATO PERFINO PIÙ ALTO: 14,5% CHE VESPA ABBIA CHIAMATO "PETROSILLA" (PIÙ VOLTE) UN PERSONAGGIO CHE È IN REALTÀ PREZIOSILLA NON È PIÙ GRAVE DI UN QUOTIDIANO CHE L'HA DEFINITA "PETRONILLA", COME LA PENTOLA - LA RAI DOVREBBE INDIVIDUARE E FAR CRESCERE QUALCHE DIVULGATORE IN GRADO DI AIUTARE GLI SPETTATORI. PER TROVARE UN PUBBLICO NUOVO BISOGNA FAR SÌ CHE..."
Alberto Mattioli per "la Stampa" - Estratti
«La forza del destino» della Scala ha fatto buoni ascolti: un milione e 603 mila spettatori, share del 10,2 per cento. Per ragionarci, bisogna conoscere i numeri dal 2016, quando Rai Cultura ha riportato la Prima in prima serata su Rai1.
Eccoli: nel'16, "Madama Butterfly", share del 13,49; nel'17, "Andrea Chénier", 11,1; nel'18, "Attila", 10,8; nel'19, "Tosca", record con 15 (il titolo aiuta); nel'20, "A riveder le stelle" (niente opera vera a causa del Covid), 14,7; nel'21, "Macbeth", 10,5; nel'22, "Boris Godunov", 9. 1; nel'23, "Don Carlo", 8, 4.
Tre considerazioni.
Numero uno. Sui social, i melomani sbeffeggiano la coppia Carlucci & Vespa. Non posso dire la mia perché ero in teatro e non davanti alla tivù.
Ma che Vespa abbia chiamato "Petrosilla" (più volte, pare) un personaggio che è in realtà Preziosilla non è più grave di un quotidiano ex prestigioso che l'ha definita "Petronilla", come la pentola.
Il punto è che se metti l'opera in prima serata, e su Raiuno che ha il pubblico più anziano e meno acculturato, devi aiutarla con qualche volto noto ai cari vecchietti. Infatti fra le 17, 44 e le 18, quando l'opera è stata presentata, lo share è risultato perfino più alto: 14, 5%. Che C&V piacciano più di Verdi è raccapricciante ma non sorprendente.
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Semmai, la Rai dovrebbe individuare e far crescere qualche divulgatore in grado di aiutare gli spettatori a capire la complessità e la bellezza dell'opera senza banalizzarla.
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Due. Poiché l'opera inaugurale non viene vista soltanto da duemila happy few che per lo più non ci capiscono alcunché ma da un altro milione e mezzo di italiani, sarebbe bene tenerne conto nel metterla in scena. Finora, l'unico che l'ha capito è Davide Livermore, regista delle prime dal'18 al'21 compreso.
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I numeri, come si vede, gli hanno dato ragione. Soprattutto, poiché l'opera lirica è un patrimonio nazionale e viene pagata con le sue tasse anche da chi non ci va, "pensarla" anche per il pubblico di casa è un dovere e ha un valore sociale, pedagogico e perfino, scusate la parolaccia, morale. Le critiche più feroci a Livermore sono arrivate infatti dalla sinistra Ztl, il che spiega perché continuerà a perdere elezioni fino all'anno tremila.
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Tre. Nella grottesca polemica sulle regie "moderne", uno degli argomenti dei "tradizionalisti" (d'accordo, sono definizioni che fanno ridere, ma le usiamo per comodità) è che il pubblico neofita nulla capisce se non si seguono pedissequamente le didascalie e le ambientazioni storico-geografiche dei libretti.
Premiando gli spettacoli teleoperistici e tutt'altro che "tradizionali" di Livermore, i dati dimostrano esattamente il contrario. Per trovare un pubblico nuovo bisogna far sì che in quelle vicende si immedesimi, le senta sue, anche nell'ambientazione: fargli capire che parlano di lui. Il destino ha molta forza. Ma anche i numeri non scherzano.
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