LE MIE PRIGIONI - LUIGI PAGANO, DIRETTORE DI MOLTE CARCERI ITALIANE, RACCONTA IN UN LIBRO 40 ANNI DI LAVORO DIETRO LE SBARRE - NEL CARCERE DI NUORO ASSISTETTE ALL'OMICIDIO DEL BOSS DELLA MALA, FRANCIS TURATELLO, E VIDE UNO DEI DETENUTI INCARICATI DELL'ESECUZIONE TAGLIARGLI LA GOLA QUANDO ERA ORMAI MORTO, COME GESTO DI SFREGIO – LICIO GELLI, IL CASO TASSAN DIN E IL RIMBROTTO DEL MAGISTRATO – “MA DI CHE MOZZARELLE STA PARLANDO?” - QUEL DETENUTO CHE DOPO AVER AMMAZZATO LA MAMMA DISSE ALLA MOGLIE INCINTA...
VITTORIO FELTRI per “Libero quotidiano”
Fra tutte le storie dell' avventurosa vita di Luigi Pagano, direttore di molte carceri italiane, portabandiera, teorico, capomastro e operaio del recupero dei delinquenti fino alla restituzione alla società, quella che mi ha fatto davvero raggelare non è la più sanguinosa (che dopo vi racconto): è invece il giorno in cui un detenuto lavorante al carcere di Pianosa con grande gentilezza disse a sua moglie, che era incinta, «le madri non dovrebbero mai morire».
Erano le parole di un uomo che aveva ammazzato la mamma e sterminato il resto della famiglia. Come si gestisce la confusa concentrazione di male che si trova nelle carceri, l' inestricabile varietà degli uomini, un reato diverso per ciascuno, quelli che hanno sbagliato una sola volta, quelli che hanno fatto apposta, gli psicopatici, i furbi, gli irriducibili, gli stupidi?
Pagano, che è in pensione da un anno e mezzo, ha raccontato tutto del suo complicato mestiere, aneddoti, tragedie, burocrazia, tipi umani, nell' autobiografia Il direttore. Quarant' anni di lavoro in carcere (Zolfo editore, 299 pagine, 19 euro). «La società civile», ha spiegato in infinite interviste, «tende a rimuovere il carcere dal proprio universo mentale. Purtroppo, però, tanto più il carcere diventa impermeabile rispetto alla vita normale, tanto più è difficile che possa assolvere al meglio la sua funzione di reinserimento sociale delle persone».
Sono sue molte delle iniziative grazie alle quali ha preso piede il ribaltamento della prospettiva tradizionale della galera come gabbia: l' introduzione di attività culturali e ricreative, il Maurizio Costanzo show registrato nel 1985 all' interno del carcere di Brescia, la visita del cardinale Carlo Maria Martini a San Vittore per il "Giubileo delle carceri" nel 2000 (Martini era stato a San Vittore per la prima volta nel 1981 e da allora vi ha celebrato la Messa di Natale ogni anno), l' esperienza rivoluzionaria del carcere "modello" di Bollate, del quale le statistiche dicono che su dieci detenuti rilasciati solo due tornano a delinquere.
Fino al 1975, anno della legge sulla riforma delle carceri con cui è iniziata l' età del recupero e della restituzione alla civiltà dei carcerati, la prigione è stata il tappeto sotto il quale la società ha nascosto i suoi detriti, un posto di cui chi è fuori si dimentica e chi è dentro scompare. La carriera di Pagano, dopo una parentesi come avvocato, comincia proprio con un gioco di prestigio, all' isola di Pianosa, il suo primo incarico.
Nato a Cesa, nel casertano, nel 1954, ha condotto studi napoletani in Giurisprudenza e Criminologia e vissuto una carriera in diaspora fra molte delle carceri italiane, come funzionario e come direttore: Pianosa, Nuoro, Asinara, Alghero, Piacenza, Brescia, Taranto, Bollate, per 15 anni a capo di San Vittore e per altri 15 dirigente e poi consulente dell' amministrazione penitenziaria in Lombardia e a livello nazionale.
A 25 anni, dunque, Pagano prende un aliscafo guidato da un uomo torvo dal quale si aspetta gridi «anime prave», e scopre che, oltrepassate dopo un' ora l' Elba e Montecristo, Pianosa non esiste finché non ci si arriva proprio addosso, è così piatta e brumosa che dal mare all' orizzonte non compare mai. Qualcosa di assai diverso da Capri, Procida, Ischia, che «erano la bellezza, il turismo vociante, le barche, terre raggiungibili sempre e comunque, non tre volte alla settimana».
Scrive bene Pagano, la sua narrazione non saltella. Guarda il mondo da uomo libero dietro le sbarre, i fatti della recente storia d' Italia gli scorrono davanti con la prospettiva del "dopo", dalla sorveglianza dei brigatisti condannati agli "eccellenti" di Tangentopoli.
Così mi sono trovato prigioniero della lettura, davanti a vari personaggi, mammasantissima e minori, degni di un serial: per esempio la figura di un condannato cronico diventato factotum, che raccontava «con impeto dilagante» le sue imprese criminali aggiungendone ogni volta di nuove e inserendo se stesso in alcune cui non aveva partecipato, lasciando intendere a sguardi che il suo nome era stato omesso per troppa importanza.
Nel 1981 Pagano assistette all' epilogo dell' omicidio con 42 coltellate del boss della mala milanese Francis Turatello nel carcere di Nuoro: venne chiamato mentre si sedeva a tavola e fece solo in tempo a vedere uno dei detenuti incaricati dell' esecuzione tagliargli la gola quando era ormai morto, come gesto di sfregio.
All' Asinara, nel 1982, invece il protagonista fu un toro: il direttore Francesco Massidda, un pescatore appassionato, grande intenditore di flora e fauna che si immergeva armato "solo" con un arpione per non avere troppo vantaggio sui pesci, ne aveva programmato l' acquisto alla fiera di Oristano.
Ne selezionò uno le cui caratteristiche lo avrebbero reso un buon animale da monta, ma l' organo di controllo impose la scelta di un altro esemplare, più economico. Il quale però non mostrò alcun interesse per le mucche messe a sua disposizione, uno stallo che si dimostrò irrimediabile, almeno fino a che Pagano venne trasferito.
Nel 1983 Pagano ebbe a che fare con un magistrato che lo rimbrottava duramente perché stringesse le maglie intorno alla carcerazione di Bruno Tassan Din, arrestato per il caso Banco Ambrosiano-Loggia P2. Pagano incassò («Faccia in modo di evitare qualsiasi sgradita sorpresa»), credendo che si riferisse alla diffusione di notizie false, pubblicate su Panorama, secondo le quali Tassan Din avrebbe ricevuto prosciutti e mozzarelle in luogo del cibo ordinario. Dovette arrivare alla fine della telefonata («ma di che mozzarelle sta parlando?») per scoprire che il magistrato era tanto allarmato a causa della fuga, avvenuta quella mattina, di Ligio Gelli dal carcere svizzero di Champ-Dollon.
Come vedete, storie molto diverse tra loro, accomunate solo dall' essere avvenute dietro le sbarre. Ma ancora oggi la galera divide il bene e il male in modo dozzinale, perché toglie di torno solo gli uomini e non il loro peccato, questa è la lezione di Pagano, corroborata dalla sua poderosa giurisprudenza d' esperienza personale: il male non lo si vince con la mannaia collettiva del codice, ma un uomo alla volta, ed è un mestiere che dura per sempre.
ANGELO RIZZOLI BRUNO TASSAN DIN
Ho avuto la sensazione, chiudendo questo libro, che l' autore abbia raccontato, ben oltre le sue vicende biografiche, la guerra impari contro un abisso misterioso e beffardo di cui non ci possiamo liberare, e l' umanità che cammina sull' orlo di questo abisso. È una percezione sinistra, che mi ha richiamato alla memoria letture antiche: il diavolo che appare a Ivan Karamazov con un aspetto miserevole e gli spiega perché vorrebbe essere annientato e liberarsi del suo destino, ma invano: «Vivi, perché senza di te non ci sarebbe niente», gli è stato risposto. «Se sulla terra tutto fosse sensato, allora non succederebbe un bel nulla».
Così, conclude il triste diavolo, «io presto il mio servizio a malincuore affinché ci siano avvenimenti, e su ordinazione creo l' insensato». Al male, dice Dostoevskij, siamo coscritti. E al bene anche con il più irriducibile ottimismo ci possiamo solo avvicinare, spingendo la pietra pesante della volontà.