IL TRIANGOLO SI’ – MIGUEL BOSE’ RACCONTA IN UN LIBRO QUANDO FLORA MASTROIANNI LO BECCO’ A LETTO CON HELMUT BERGER E UN ALTRO: “SI MISE A URLARE: MARCELLO VIENI QUI A VEDERE”. MIA MADRE ERA SCONVOLTA, AVEVA PRESO TUTTO SUL SERIO, NOI NO, ERAVAMO RAGAZZI, COS’ERA UNA SCOPATA? DIVERTIMENTO" – LE PULSIONI VERSO IL PADRE AL PUNTO CHE SI IMMAGINÒ A LETTO CON LUI E LJUBA RIZZOLI, L’INIZIAZIONE SESSUALE A 14 ANNI CON AMANDA LEAR (“UNA SIRENA. NON SAPEVO NULLA DEL SESSO. SE ERA QUELLO, ERA UN’ESPERIENZA FANTASTICA”). E POI LA GELOSIA DI ALMODOVAR E L’AMORE DELLA SUA VITA… VIDEO
Luca Mastrantonio per “Sette - Corriere della Sera”
La biografia di Miguel Bosé è un romanzo sui generis, un moderno satyricon che mette a nudo miti del cinema e della corrida, icone dell’avanguardia e dell’industria culturale degli Anni 60 e 70. Il padre, Luis Miguel Dominguín, grande torero di Spagna e seduttore impenitente, ispirò l’amico Ernest Hemingway per Un’estate pericolosa.
La madre, Lucia Bosé, che faceva la commessa in una pasticceria milanese quando a 16 anni vinse Miss Italia, nel 1947, è stata musa di grandi registi. Luchino Visconti ha fatto da padrino al battesimo del piccolo Miguel, mentre Pablo Picasso, altro amico di famiglia, fu padrino di Paola, una delle due sorelle del cantante, ballerino e attore. Il titolo della biografia Il figlio di Capitan Tuono (Rizzoli) si rifà all’omonima canzone dedicata al padre: un tuono che arrivava all’improvviso e poi spariva.
Miguel (Panama, 1956) racconta l’infanzia e la giovinezza tra Spagna, Londra e Italia, fino al successo come cantante a fine Anni 70. A pagina 132 riporta così i timori del padre, confessati alla madre: «Lucia, mi è stato detto che il bambino legge, molto, senza fermarsi». La madre chiese quale fosse il problema: «Frocio, Lucia, il bambino sarà frocio!».
Il bambino, 60 anni e tanta vita dopo, si è preso la sua rivincita con questo libro che racconta i lati oscuri dei suoi genitori. Per la copertina ha scelto una foto in cui, a 14 anni, è vestito da torero: «Mostra bene l’ascendente che mio padre aveva su di me quando ero adolescente» ci spiega in collegamento dal Messico (risponde su tutto, tranne che sul Covid: teme che le sue posizioni possano mettere in ombra il libro).
Agli occhi del Miguel Bosé di oggi come appare quel Miguel vestito da torero?
«Miguelino, Miguelon, Miguelito mi chiamavano. Ogni giorno si svegliava chiedendosi come sopravvivere ai due mostri, mio padre e mia madre. La famiglia era un branco di leoni che andavano a caccia, e i cuccioli cercavano di essere all’altezza, di tenere il passo senza venire pestati da un bufalo!».
Il ricordo più difficile da rievocare?
«Quello del primo capitolo del libro».
Quando suo padre alza le mani su sua madre?
«No, quando brucia Villa Paz. Le cose belle dell’infanzia erano andate perdute per sempre. Avevo perso il mio Paradiso, il mio rifugio. Dopo l’incendio è iniziato un periodo buio per il divorzio dei miei e tutte le bugie che venivano dette, perché nella Spagna di Franco bisognava salvare le apparenze… non capivo. Capitan Tuono era andato via, mia madre doveva rifarsi una vita e riprendere a fare l’attrice, cosa c’era di male? Perché nasconderlo? Quando a scuola hanno scoperto che i miei erano divorziati hanno iniziato a chiamarmi orfano».
La pace tornava d’estate, a casa di Picasso, amico dei suoi genitori, un parente acquisito. Com’era stare in compagnia di un genio?
«Aveva un’incredibile capacità di ascolto e le cose che ti diceva credevi di averle pensate tu. Perché il genio è sovrappopolato di idee, è generoso, deve scaricarle. Ascoltandomi, mi dava un valore che in famiglia nessuno mi dava, creava dal nulla l’autostima. E curava i traumi. Una volta, a una recita, interpretavo assieme ad altri una nuvola e mi sono fatto la pipì addosso. Mio padre per fortuna non c’era, mi avrebbe insultato… Ero mortificato, e Pablo disse: “Ma come? Non è pipì, è pioggia, sei una nuvola, è normale, sei l’unico che è riuscito a far piovere, a far bene la sua parte, bravo”. Era vero? Forse no, ma detto da lui, che aveva subito visto in me l’anima del ballerino, diventava vero».
Avevate un rapporto speciale. Quanto?
«Con me recuperò il bambino che non fu mai. A 6 anni dipingeva benissimo le zampe delle colombe realizzate dal padre, pittore anche lui, in modo iper-realistico. Ecco, nessuna colomba di Pablo ha le zampe. Non le ha più dipinte, mai più».
Nella sua infanzia è stato molto presente Walter Chiari, ex fidanzato di sua madre.
«Si è reso disponibile per aiutarla durante il divorzio. A me ha insegnato l’arte del corteggiamento. Secondo lui bisognava farle ridere. E non aveva torto. Se incominci così, il resto è più facile, no?».
Per Miguel Bosè immagino di sì. Lei però descrive Chiari con “orecchie da scimpanzé e occhi azzurri sotto folte sopracciglia a tettoia”.
«Walter era un personaggio fantastico, un milanesotto scimmione... A casa veniva spesso uno scultore con uno scimpanzé e noi lo chiamavamo Walter, anche se si chiamava Manolo! Erano belle le orecchie di Walter, immense, come Dumbo».
picasso lucia bose miguel bose luis dominguin
Nel libro racconta la sua iniziazione sessuale, nell’estate del 1970 in cui fece un giro in barca con suo padre. Arrivaste a Cadaqués, Costa Brava catalana, per incontrare Dalì, e poi?
«Dalì ci manda il suo emissario: una donna bionda, che sale in barca, in topless, con una corona di spine e occhi disegnati sanguinanti. Una visione, una sirena. Sbarcammo, e si creò una situazione credo provocata da mio padre e Dalì, che voleva vedere la mia faccia quando hanno invitato Amanda a mostrarmi il giardino...
miguel bosè e il padre luis miguel dominguin
Io non la conoscevo, ma sono stato attratto dal suo magnetismo e quando lei mi portò in giro per il giardino... accadde quello che accadde. Avevo 14 anni, ero stato trattato in un modo rispettosissimo, tenerissimo, educatissimo, niente di sporco. Non sapevo nulla del sesso e, beh, se era quello, era un’esperienza fantastica».
Colpisce il commento che riporta di suo padre: morbosamente curioso di sapere se era vero quello che si diceva su Amanda Lear, che avesse qualcosa di diverso, di maschile. Il macho spinge il figlio che teme gay tra le braccia di una donna dall’identità ambigua. Strano, no?
«Non credo ci fosse il pensiero di spingermi a un’esperienza che poteva essere confusa. Non ci pensava nemmeno, non ci arrivava. Lui riconduceva tutto a sé stesso. Se parlavamo di calcio, ammirando Ivan Campo del Real Madrid, lui diceva che voleva vederlo prendere a calci un toro! Era un macho iberico. Su Amanda, parlava la sua anima da cacciatore, geloso di un trofeo mio, non suo: “Tu hai cacciato un impala, io no, com’è un impala?”».
Quindi anche l’omosessualità, se attiva, poteva andare bene, nell’ottica del cacciatore?
marcello mastroianni flora carabella
«Il filosofo Ortega y Gasset ha studiato il personaggio di Don Giovanni e spiega che sotto sotto questi conquistatori hanno insoddisfazioni e identità sessuali non chiarite. È una possibilità. Poi se uno si preoccupa così tanto per l’omosessualità c’è da sospettarlo. Io non metto la mano sul fuoco per nessuno. Nemmeno per lei che mi intervista!».
Tra gli uomini importanti della sua vita c’è stato Helmut Berger. Prima vi odiavate, poi è scattato l’amore. Lo ritroviamo in una scena da film, nella casa madrilena di Flora Mastroianni.
«Non potrò mai dimenticare la voce di Flora, la risata in cui è scoppiata quando ha trovato me, Helmut e un altro a letto! Flora si mette a ridere e va in corridoio urlando “Marcello, Marcello, Marcello vieni qui a vedere”. Mia madre era sconvolta, aveva preso tutto sul serio, noi no, eravamo ragazzi, cos’era una scopata? Divertimento. Ma in questa storia il sesso è contorno, il tema è che mia madre si rese forse solo lì conto del livello di Edipo che aveva costruito: con il figlio biologico, io, e il figlio adottivo, Helmut; ed era entrata in conflitto con sé stessa. Aveva adottato Helmut come un figlio. Era molto manipolatrice e capricciosa».
Lei non racconta pulsioni verso sua madre, ma verso suo padre. A Montecarlo si immagina a letto con lui e Ljuba Rizzoli... un Edipo bisex.
«C’è un altro passo più importante, prima, quando mio padre a cavallo mi porta a vedere le sue tenute e mi fa capire che sono l’erede, il delfino. Sento che il mondo è mio, che mio padre è solo mio. Rileggendo il libro, scritto perché non c’era più rabbia, ho capito l’amore bestiale, carnale che provavo sia per mia madre che per mio padre».
Lei ha avuto storie con donne, uomini, un compagno come Nacho Palau con cui ha avuto quattro figli grazie a maternità surrogate...
«Non quattro, due. Io ho due figli»
(Bosé ha avuto una vertenza legale con l’ex compagno che voleva venissero riconosciuti anche gli altri due, ndr).
Da figlio di divorziato, come evita che i suoi figli vivano lo stesso dramma che lei ha vissuto?
«Li allevo a non mentire, a capire che il dolore non insegna nulla di buono. Li aiuto a coltivare le loro passioni. E creo delle sfide: entrambi studiano musica, Tadeo chitarra e Diego piano. E dico: “Se impari questa partitura puoi chiedere un regalo”. E tanti abbracci. Tutto quello che io non ho avuto. Ora loro già dicono “meno abbracci papà”».
Qual è stato l’amore della sua vita?
«Giannina Facio. Non mi sono mai sentito così normale come con lei. Il vero Miguel. Fu amore a prima vista, a casa di Julio Iglesias a Miami. Lui diceva che ero il suo erede, ma perché voleva qualcuno che leccasse il suo narcisismo».
Un momento felice con Facio?
«Ricordo quando vivevo all’Hotel Diana a Milano, una specie di soffitta. Passavamo dei pomeriggi interi ad ascoltare musica o leggere in silenzio, uno vicino all’altra, nella luce tiepida, il cielo di un blu raro, tutto il resto non esisteva perché non c’era bisogno di nient’altro. Quando ci parlavamo, le cose che dicevamo sembrava di averle già dette, erano già sapute, in qualche momento, come se appartenessero a noi già da prima. Un Paradiso».
pedro almodovar in giorgio armani
Nel libro racconta dei primi film, dal Garofano rosso di Faccini a Suspiria con Dario Argento. Al cinema poi ha lavorato anche con Almodóvar, e penso alla scena en travesti di Tacchi a spillo.
«Il personaggio era stato scritto per Banderas, che disse no. Almodóvar provinò 50 attori e mi scelse; ma non è vero che aveva subito pensato a me. Bugia! Lui è geloso, vorrebbe interpretare tutti i personaggi che scrive».
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