achille lauro 3

MO' FACCIO ER JAZZ - MOLENDINI : “ACHILLE LAURO CREDE CHE LA MUSICA SIA TRAVESTITISMO. COSÌ HA FATTO CHIAMARE UN PUGNO DI JAZZISTI, SI È MESSO LA GIACCA DA CROONER, HA IMPOMATATO I CAPELLI E VIA CON LA SOLITA FACCIA TOSTA, DA GANGSTER DI PERIFERIA CON IL TATUAGGIO GIÀ PRONTO. FUNZIONA? SÌ, FUNZIONA IN QUEL VASTO TERRITORIO CHE STA TRA IL TRIBUTO E LO SFREGIO, L'HACKERAGGIO E LA MOLESTIA”

 

Marco Molendini per Dagospia

 

Achille Lauro

Achille Lauro è un personaggio pieno di fantasia e crede che la musica sia travestitismo. Del resto, appena ha cominciato a frequentare l'arte del camuffamento, ha ricevuto attenzione, notorietà e successo. E ci ha preso gusto: l'abito fa il monaco. Rap, glam, dance, punk rock ora tocca al jazz, o presunto tale, in futuro chissà.

 

Al jazz ci pensava da un po', ha fatto chiamare un pugno di jazzisti di primo piano, ha ricevuto svariati no, poi ha ripiegato su un'orchestra, la Untouchable Jazz Band, guidata dal chitarrista Dino Plasmati e su alcuni ospiti di peso come il trombettista Flavio Boltro e il percussionista Israel Varela.

 

Si è messo la giacca da crooner, ha impomatato i capelli e via con la solita faccia tosta, da gangster di periferia con il tatuaggio già pronto, il gusto della provocazione, la voce disincantata del ragazzo che viene dalla Roma più profonda e disillusa.

ACHILLE LAURO 3

 

Otto pezzi vestiti d'antico. Li ascolti e capisci che Achille Lauro punta deciso al bluff, a mescolare le carte, prendere il jazz e fare se stesso, anche se si è rivestito. Si butta su un classico come My Funny Valentine, epico standard passato fra le mani di tutti i più grandi jazzisti, da Miles Davis a Chet Baker, ci appiccica sopra un po' di parole enunciate con il suo stile strascicato alla chemmefrega, frutto della sua traduzione del testo originale scritto da Lorenz Hart, mentre la big band offre la verniciata d'epoca strumentale scodellando la celebre melodia.

 

Funziona? Non ha bisogno di funzionare. Siamo in quel vasto territorio che sta tra il tributo e lo sfregio, l'hackeraggio e la molestia. A un certo punto acchiappa un altro celebre brano, Tu vuo' fa l'americano di Renato Carosone e lo fa cantare a Gigi D'Alessio, lui se ne resta in disparte salvo inserire la sua voce all'unisono nel finale, nulla di nuovo, di eccentrico, di inventivo. Rimasticatura e basta con il pronto soccorso partenopeo.

 

ACHILLE LAURO 3

La trasformazione non c'è, è solo un'idea buttata là. Il clima generale di questo 1920 Achille Lauro & The Untouchable orchestra è un «mo' faccio er jazz», un passaggio che intanto offre un'ulteriore scatto al curriculum da Fregoli dei nostri tempi convinto che ogni mossa debba essere una scossa.

 

Miscelatore di occasioni, butta là un titolo, Chicago, che è anche il titolo di una vecchia canzone che cantava Frank Sinatra, lo inzeppa di luoghi comuni (le Chesterfield, Lucky Luciano, il Grande Gatsby, Betty Boop) e sotto ci mette un ritmo d'epoca, da età del jazz, appunto.

 

Ma il jazz c'entra poco, è un pretesto per fare qualcosa. Anche per mettere le mani su uno standard natalizio, ormai ci siamo, Jingle bell, che diventa Jingle bell rock cantato con Annalisa e lui, Lauro di Conca d'Oro che si tiene un passo indietro. A condire il piatto aggiunge qualche riedizione, come Cadillac 1920 e Bulgari Black Swing, altri ospiti, come Izi e Gemitaiz, e il piatto è servito: non è né carne ne pesce, né Achille, né Lauro, né jazz, né non jazz.

annalisa achille lauro

 

Un gioco per aggiungere altri colori al personaggio, un dandy di periferia riverniciato, un damerino coatto che fa il disco con l'orchestra e magari è capace anche di vantarsene. Incurante delle cadute, dei manierismi, dei clichè, del kitsch, anzi lo cerca, pronto a fare altri passi, compiere altre imprese, chissà magari le arie d'opera, così potrà raccontare di aver fatto anche la lirica. Alla fine, però, è meglio questo che il vuoto assoluto di tanti campioni per un giorno che affollano la scena musicale nazionale, dandosi il cambio la sera e la mattina.

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