
LA VERSIONE DI MUGHINI – E’ MORTO ROBERT FAURISSON, LO STORICO CHE NEGO’ LA CAMERE A GAS E LO STERMINIO DEGLI EBREI - SONO CONTRARIO ALLA LEGGE FRANCESE CHE TRASFORMA IN UN REATO LA PUBBLICAZIONE DI UN LIBRO “NEGAZIONISTA” MA CONFESSO LA MIA IMMENSA DELUSIONE INTELLETTUALE QUANDO NEGLI ULTIMI 20 O 30 ANNI FAURISSON NON FACEVA CHE RIPETERE CHE LA SHOAH ERA TUTTO UN IMBROGLIO COSTRUITO DAGLI ISRAELIANI PER AVERNE SOLDI DALLA GERMANIA. UNA NENIA RIPETUTA ALL’INFINITO. UNA SEQUENZA DI PUTTANATE…"
Giampiero Mughini per Dagospia
Caro Dago, non so quanti in Italia conoscano di prima mano le carte dell’ “Affaire Faurisson”, dal nome dello storico e polemista di estrema destra morto ieri e che per quarant’anni ha sostenuto che mai un solo giorno avevano funzionato quelle “camere a gas” che tra 1941 e 1944 furono lo strumento principe del massacro del popolo ebreo da parte dei nazi, quella che comunemente denominiamo Shoah.
Non credo molti, e perché l’argomento in sé è talmente atroce e perché gli accadimenti della cultura francese recente hanno un pubblico piuttosto scarso. Non conosco nessuno sotto i 40 anni che sappia il francese, la lingua che nei miei vent’anni valeva come l’aria a respirare la cultura del Novecento.
Comprai da subito il libro che fece da avvio del “caso Faurisson”, il Mémoire en défense” del 1980. Conoscevo bene, dai miei anni parigini, la libreria di estrema sinistra che s’era fatta editrice del libro di Faurisson e di altri analoghi. Ero stato in casa di Maurice Bardèche, il cognato di Robert Brasillach (lo scrittore fascista fucilato a Parigi nel febbraio 1945), e fu lui a regalarmi il primo libro che io abbia mai letto di Paul Rassinier, il socialista francese che i nazi avevano catturato e deportato in un lager, e che era stato il primo a sostenere che le camere a gas nei lager nazisti non c’erano mai state.
Ricordo una frase del libro di Faurisson che mi colpì, anzi che mi parve bellissima: vi sto dando una buona e bella notizia, che quegli strumenti atti a dare la morte la più atroce a 200-300 individui alla volta non sono mai esistiti. Anch’io pensai che sarebbe stata una buona notizia, nel senso che avrebbe alleviato il carico di dolore che noi tutti abbiamo della memoria di quella tregenda.
Alleviato il carico di dolore, non certo modificato il giudizio su quegli avvenimenti, sui rastrellamenti degli ebrei di Parigi e di Roma, sulle immagini spaventevoli del ghetto di Varsavia durante l’occupazione nazi, sulle fucilazioni in massa di uomini donne bambini in Ucraina nel mentre che i nazi avanzavano nel cuore dell’Urss, sulla distruzione di intere comunità ebree in Lituania o in Polonia, sugli ebrei ungheresi che venivano gettati nelle acque del fiume legati l’uno all’altro ma solo uno era stato ucciso prima e pur di risparmiare pallottole.
Non c’erano state le camere a gas. Buonissima notizia, fosse stava vera. Che non mutava di una virgola il quadro generale delle mostruosità perpetrate contro il popolo ebreo. I morti non erano stati sei milioni? Può darsi, ma che cambiava se fossero stati due milioni? Li avete presenti due milioni di innocenti messi in fila uno dietro l’altro? E poi, per me che abito a Roma, non c’è da andare lontano.
Ci passo ogni mattina e ogni mattina la mia anima si sofferma e ha un sussulto, innanzi a una casa in cui il 16 ottobre 1943, alle sei del mattino, i nazi bussarono a quello che è oggi il numero 240 di viale Trastevere e se ne portarono via otto tra uomini e donne. Nessuno è tornato. Più precisamente dei 1020 ebrei rastrellati a Roma quella mattina, ne tornarono sedici. Nessuno dei bambini, 225 se la mia memoria non erra. Basterebbero o non basterebbero quei 225 bambini a pronunciare il termine Shoah?
Credo di averli letti tutti i libri dei negazionisti, e naturalmente ho letto i libri degli storici che hanno ribattuto le loro tesi. In casa dello storico ebreo Pierre Vidal-Naquet, a Parigi, ci sono stato due volte. In un cantuccio del salotto c’era una vetrinetta dov’erano conservate le prime edizioni dei libri di Molière, libri che il padre di Vidal-Naquet, un sarto che non è mai più tornato da Auschwitz, collezionava.
Beninteso, io sono per la pubblicazione di tutti i libri. Prima un libro lo si pubblica e poi lo si discute. Sono contrario alla legge francese che trasforma in un reato la pubblicazione di un libro “negazionista”. Sono ovviamente contrarissimo alle aggressioni fisiche, e Faurisson ne subì una decina di cui due molto gravi con relativo ricovero prolungato in ospedale. I libri negazionisti hanno costituito una sfida, alla quale bisognava rispondere e con risposte sempre più acuminate. Jean-Claude Pressac, il cui libro sul funzionamento delle camere a gas è forse il più importante che sia mai stato pubblicato, aveva cominciato da “allievo” e da “ammiratore” di Faurisson.
E quanto all’ostinata accusa che Faurisson ha mosso al “Diario di Anna Frank”, è pur vero che dopo quelle accuse l’edizione originaria (un tantino raffazzonata dal padre, l’unico sopravvissuto della famiglia) è stata adesso sostituita da un’edizione critica, l’unica che valga e faccia documento. Una cosa è certa. Che la Frank era una bambinetta ebrea olandese che s’era nascosta per anni dietro un tramezzo e che la acciuffarono per portarla a morte, lei e la sua famiglia.
Purché i libri vengano pubblicati. Tutti. Confesso però la mia immensa delusione intellettuale quando negli ultimi venti o trent’anni Faurisson non faceva che ripetere che le camere a gas non erano mai esistite, che era tutto un imbroglio costruito dagli israeliani per averne soldi dalla Germania, che Hitler non aveva mai voluto l’annientamento fisico degli ebrei. Una nenia ripetuta all’infinito. Una sequenza di puttanate. E del resto lo ha messo adeguatamente in luce la ricercatrice francese Valérie Igounet nel libro recentissimo che ha dedicato a Faurisson. Un libro, non un’aggressione fisica.
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