IL MURO DI ROGOREDO: UNA BARRIERA DI 4 METRI ALLE PORTE DI MILANO CONTRO LO SPACCIO DI EROINA LOW COST. MA I PUSHER SI SONO GIA’ TRASFERITI ALTROVE – ECCO PERCHE’ L’EFFICACIA DI QUELLA MURAGLIA E’ PARZIALE - DEGRADO, SIRINGHE E PROSTITUZIONE NEL BOSCHETTO DI ROGOREDO
Gianni Santucci per il Corriere della Sera
Nessuno protesterà per queste mastodontiche lastre, alte quattro metri, erette su fondamenta di cemento, che ieri pomeriggio gli operai fissavano con i tondini d' acciaio: a vederle da lontano, quelle piastre grigie allineate, che formano ormai una barriera lunga qualche centinaio di metri (ancora da completare), sono identiche al muro costruito da Israele in Cisgiordania, o a quello che si snoda tra Stati Uniti e Messico per ostacolare migranti e narcos.
E invece al confine di Milano, in fondo alla via George Orwell, sotto i piloni della tangenziale, il muraglione serve per impedire lo spaccio di eroina. Da una parte, i binari dell' alta velocità. Dall' altra, un pratone lercio e polveroso.
I pusher marocchini stavano nel mezzo, lungo la ferrovia, appena fuori dalla stazione metropolitana di Rogoredo. Il muro sarà impedimento definitivo alla vendita: per questo non ci saranno proteste, e anche perché nessuno la vedrà mai quella barriera, così distante dalla Milano contemporanea dei grattacieli, in quella landa sterrata, attraversata fino a qualche mese fa da un migliaio di ragazzi che approdavano qui da mezzo Nord Italia a comprare la nera, l' eroina low cost a 5 euro.
Cinque di quei ragazzi, solo quest' anno, su quella terra sono morti di overdose. Vittime di un disastro sociale e sanitario dimenticato.
È parziale l' efficacia di quel muro. Perché la «piazza» di Rogoredo era divisa in due succursali: una in via Orwell, che ormai è blindata dalla barriera, e l' altra al di là dei binari, su una collinetta alberata, dove i ragazzi comprano e subito si bucano. È il «boschetto» di Rogoredo, e oggi si sono spostati tutti qui i tossicodipendenti che scendono dai treni o escono dal metrò e camminano lungo la via Sant' Arialdo: una piccola strada senza marciapiedi, solo per le macchine, ma dove c' è sempre qualcuno che va o torna a piedi.
I carabinieri della compagnia «Monforte», qualche settimana fa, hanno bloccato un grossista albanese prima che recapitasse un paio di chili di eroina. I poliziotti del commissariato «Mecenate», per anni, hanno arrestato gli spacciatori dopo faticose e pericolose rincorse sui binari.
Ieri il vice sindaco di Milano, Anna Scavuzzo, rifletteva sul fatto che ormai serve una nuova «lotta alla dipendenza». Ma in questa stagione di politica costruita sulla sicurezza, il principale approccio istituzionale è sempre stato: «Bonificare Rogoredo». Ed è certamente corretto: nella zona di via Orwell le Ferrovie stanno completando il muro; dall' altra parte si studiano una recinzione, un disboscamento, una strada per permettere un passaggio agevole e frequente delle forze dell' ordine nella boscaglia.
Ma gli «anziani» tossicodipendenti poi dicono: «Noi dobbiamo farci, mattina e sera; e se non sarà qui, dove nessuno praticamente s' accorge di noi, magari si ricomincerà a spacciare dentro la città, o in stazione, come negli anni Ottanta. Volete questo?». La considerazione ha un senso; o quanto meno pone il tema in un' ottica più ampia: chiudere una piazza di spaccio così, dove si vende almeno un chilo di nera al giorno, è in qualche modo un dovere.
Ma non risolverà l' emergenza-eroina, quella che si sta portando via ragazzini e ragazzine minorenni, che non hanno ancora vent' anni e già vivono a Rogoredo, tra elemosina, ricerca di monetine nelle macchinette, episodica prostituzione. Ragazze magrissime e sempre sporche, coi segni dei buchi pure sul collo, imprigionate in stazione dalla dipendenza, nello «zoo di Berlino» alla periferia di Milano.
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