NAPUL’È TUTTA PER PINO - CENTOMILA IN PIAZZA PLEBISCITO PER IL FLASH MOB TRA CANTI, PREGHIERE E INVOCAZIONI: “DUE FUNERALI, SEI COME TOTÒ”
Goffredo Buccini per il “Corriere della Sera”
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Centomila cuori, luna piena su palazzo Reale. Migliaia di telefonini come lucciole nel buio di piazza Plebiscito, la «sua» piazza. Onde d’amore, risacca di pianto. Sull’impalcatura che imbraca la chiesa di San Francesco di Paola si arrampica Dino Ferrara, gli «anta» passati da un pezzo, arrivato da Sarno già alle quattro del pomeriggio (tanti dalle province sono venuti prestissimo). Con tre della Pignasecca srotola uno striscione, «Be quiet night, sempre con Pino»: manca il nastro e i ragazzi sulle scale si tolgono i lacci delle scarpe per fissarlo, come si toglierebbero un’ora di vita per darla al menestrello nero a metà.
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«Lo scriva! Questa è Napoli», ordina Barbara, moretta di università, tra boati, cori, tamburi, chitarre, invocazioni, preghiere; alle otto di sera parte «Je so’ pazzo», niente microfoni, niente palco, solo voci e passione per questo flash mob che diventa un funerale senza bara, un addio senza l’oggetto del rimpianto eppure vivido come la storia intera di quattro generazioni: padri, zii, figli, bambini.
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Pino Daniele avrà anche divorziato da Napoli nell’ultimo periodo della sua vita, quello intimista, dei madrigali, o sofisticato, di «Electric Jam» e del primo concerto all’Apollo Theatre di New York; la città sarà anche mossa da sensi di colpa profondi per averlo un po’ dimenticato, un po’ rimosso, chissà.
Ma stasera non si vede nulla di tutto questo. Il flash mob batte persino la concorrenza della partita, e già alle sette e mezzo la grande scalinata di San Francesco di Paola si va riempiendo.
Schegge di canzone e di vita si materializzano. C’è il genero di Fortunato (quello che «tene/a rrobba/bella»), Erasmo Cretella, che ha piazzato lumini sulle scale, poster sui muri: «Quando Pino ebbe successo dissi a mio suocero: vagli a chiedere ‘na cosa di soldi.
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Mio suocero mi rispose: lassa sta’, ‘o guaglione adda campare pure lui». Famiglie intere — dai Tribunali, dal Cavone, dai quartieri spagnoli, da San Giorgio, dalle periferie, ma anche da Posillipo e Chiaia — s’accostano sempre più al centro della scalinata che fa da palco e fulcro, e dove Duilio Maccari e gli altri tre organizzatori della serata («senza sponsor e senza marchette») danno il tempo a una folla che cresce ancora, minuto dopo minuto, e canta «Quando», «Donna Concetta» (pure lei esistita davvero, era la nonna di Pino),
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«’Na tazzulella ‘e cafè», «Terra mia», con un’anima divisa tra il lutto e la rimpatriata con gli amici; perché in fondo lui è stato la musica di tutti i nostri amori e delle nostre rabbie, anche se le canzoni sottolineano l’assenza dell’ultimo scorcio: la colonna sonora è quella degli anni Ottanta e primi Novanta. Dice Duilio che «Pino ha fatto esplorazioni diverse, ma è tornato qui. Del suo corpo giustamente decide la famiglia, ma la sua musica è con noi».
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C’è questo dolore nel dolore, l’idea delle esequie romane è un non detto che tormenta. Che tutti rispettano, ma stringendo i denti. Sicché, quando una mamma ragazzina strilla per prima la notizia volata su Facebook, parte un boato: «La famiglia ci ha ripensato, fanno i funerali anche a Napoli!». Due funerali, come Totò. Lei si chiama Marica, tiene al collo Francesco, due anni («così impara presto il sound»).
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Pino Daniele è un’eredità, un lascito per tanti che non hanno granché da lasciare agli eredi. «C’è un tempo per gli stadi e un tempo per gli studi», diceva lui nel periodo blu, nel quale pensava di non poter ripetere il miracolo del 19 settembre 1981, quando riempì questa stessa piazza e le vie attorno, su invito del primo sindaco comunista di Napoli, Maurizio Valenzi, sbaraccando le macchine che allora umiliavano la bellezza di questo selciato, lo scorcio del Vesuvio, San Martino che guarda dal Vomero.
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Lucia c’era, come tanti qui adesso: «Ricordo il calore che ci avvolse tutti». Era il sound di Pino. Che adesso ripete il miracolo, con de Magistris al posto di Valenzi e un po’ di grigio tra i capelli di ciascuno. Perché nella sera che si fa notte, i cuori continuano a battere e aumentare. E quando tutti cantano — cantiamo — «Napule è», la storia di quarant’anni ci si strozza in gola come un groppo d’amore.