NESSUNO TOCCHI LA BARACCA DI ZEICHEN – L’APPELLO DELLA FIGLIA PER LA “CASA DEL POETA" SULLA FLAMINIA – GNOLI: "QUELLA DIMORA, UN REGNO VERNICIATO D'UMILTÀ, CORRISPONDEVA A ZEICHEN. CI HA VISSUTO FINO ALLA FINE CON ELEGANZA INTROSPETTIVA E SOPPORTAZIONE FISICA. NIENTE LO AVREBBE FATTO DESISTERE DALL'ABITARVI"
Antonio Gnoli per la Repubblica – Roma
L' idea che una "baracca" - sebbene leggendaria ma pur sempre baracca - sia in qualche modo oggetto di possibili stupri edilizi o, più banalmente, di occupazioni secondo il più classico cliché di "Brutti, sporchi e cattivi", dovrebbe far riflettere non tanto sul destino di talune precarie costruzioni, quanto su chi a lungo l' ha abitata.
La storia di Valentino Zeichen, per quasi mezzo secolo signore senza scettro né potere, di quel regno verniciato d' umiltà, oggi a rischio, ci torna come un fatto di cronaca: un glicine semi abbattuto pare a colpi di accetta, le porte forzate hanno messo in allarme i "custodi" che di quell' abitazione coltivano la memoria e il sentimento. Non so se Valentino amasse quel posto, so però che mentalmente gli corrispondeva.
Ci ha vissuto fino alla fine con eleganza introspettiva e sopportazione fisica. Al punto che niente al mondo lo avrebbe fatto desistere dall' abitare quello spazio impervio e scomodo. Perché? Vi chiederete (se ve lo chiederete). Non escludo che tra le possibili spiegazioni ci sia il leggero bisogno di épater les bourgeois, quella classe di generoni romani, di professionisti, intellettuali e artisti che Valentino frequentava con una certa assiduità soprattutto la sera. Ma la vera ragione, sospetto, risieda in un certo bisogno di isolamento, quasi che quel luogo spoglio, triste a tratti squallido, si rivestisse di una tensione teologica.
Sono andato poche volte nella sua casa. Mi disse che le quattro cose da cui era necessario difenderla erano i topi, certi esuberanti vicini, il freddo di alcune giornate invernali e il caldo che a Roma soprattutto nel mese di luglio è asfissiante. Vagavo con lo sguardo tra le due stanzette semi buie, come raccordate da un' ogiva mentale la cui apertura escludeva ogni visione esterna. Pensavo al poeta più che all' uomo. Ma era giusto differenziare le due entità: carne e sangue da un lato, versi e pensieri dall' altro? No, non lo era.
Zeichen è stato tra i pochissimi poeti (mi viene in mente solo Dino Campana) la cui vita ha alimentato la sua poesia e la sua scrittura. Se ne può ricavare la conferma nel Diario del 1999 (Fazi l' ha da poco pubblicato), dove si intuisce, pur nei dislivelli delle notazioni, nella rapsodia degli eventi che lo costellano, la grandissima capacità di servirsi del materiale umano. Come un trafficante di schiavi (e fatalmente il pensiero va a Rimbaud) Zeichen ha venduto e comprato "merce umana". L' ha marchiata, a volte frustata, sfruttata, ma senza questo lato nero difficilmente si comprenderebbe la sua intensa forza poetica. Che non ha niente di edulcorato dal momento che essa si alimenta di una insospettabile cattiveria.
Un' onesta cattiveria che come in un possibile gioco ha scavato nella Roma tra gli anni Sessanta e i giorni della sua fine. Aurelio Picca, altro meraviglioso irregolare della nostra letteratura ma affetto da uno sconfinato e tenero narcisismo diverso da quello di Zeichen, ha colto con esattezza chirurgica e splendore messicano il destino del poeta e della sua casa, la sfida di un uomo che restò l' intera vita fedele alla sua infanzia morta, facendo appunto di una baracca sulla Flaminia una porzione di Patria. Aggiungerei, sommessamente, la voglia di autodisciplina che il suo io militarizzato sovente esibiva.
Non c' era in lui niente di sentimentalmente abbordabile. Le sue parole i suoi gesti, perfino le sue piccole concessioni alla poesia su richiesta - amava con feroce ironia essere a volte una sorta di fotografo di matrimoni - si nutriva di una distanza siderale. La stessa che separava la sua abitazione dal resto delle case di Roma. Volenterosi amanti della sua poesia hanno pensato di farne un luogo di culto. Il che ci può stare. Mi chiedo, tuttavia, se avrebbe accettato mai una promozione al rango di una guida turistica.
la baracca dove abitava valentino zeichen (2)
Nutro in proposito qualche dubbio. Ma la vita dei buoni poeti e dei buoni scrittori a volte prende strade insospettabili dopo la loro morte. Essi non sapranno mai del lavorio di coloro che restano. Né potranno intervenire. Rassegniamoci dunque a leggere i suoi versi, sono le sole cose che contano.
picca e Zeichenla scrivania di valentino zeichenla baracca dove abitava valentino zeichen (1)la stufa di valentino zeichenantonio gnoli con lo scoterCASA ZEICHEN VIA FLAMINIAVALENTINO ZEICHEN E LUIGI ONTANIVALENTINO ZEICHEN E FRANCESCA NERLONIvalentino zeichenVALENTINO ZEICHEN lucrezia lante della rovere carlo ripa di meana e valentino zeichenVALENTINO ZEICHEN VALENTINO ZEICHEN VALENTINO ZEICHEN VALENTINO ZEICHEN VALENTINO ZEICHENesterno della baracca di valentino zeicheni libri di valentino zeichen (1)i libri di valentino zeichen (2)il giardino della baracca di valentino zeichenil letto di valentino zeichenritagli di giornali e foto di valentino zeichenVALENTINO ZEICHEN - DIARIO 1999