OH BOY, È TORNATO GEORGE! - LA CHECCA DEI CULTURE CLUB SI È DISINTOSSICATA, HA PERSO 40 CHILI, PUBBLICA IL PRIMO ALBUM IN 18 ANNI E SPARA LA FRASE DEL GIORNO: “NON C’È NULLA DI MEGLIO CHE LA CATTIVA PUBBLICITÀ”

Krissi Murison per "Vanity Fair"

Boy George vuole mostrarmi una foto sul suo cellulare. Una paparazzata, sei anni fa, mi dice, che mostra tutti i 120 chili che aveva addosso, molto tempo prima che si ripulisse dalla droga. «Deve vederla! Però credo che sia un po' photoshoppata: sapevo di avere un brutto aspetto, ma non pensavo così brutto».

Non la trova. Passa a descrivermi in dettaglio il suo nuovo regime salutista: dieta rigorosa e tanto esercizio fisico. Si allena dalle tre alle cinque volte alla settimana con sessioni di boxe, danza e corsa. Ora pesa 82 chili e ha uno sguardo luminoso. «La regola è molto semplice: se il cibo compare in una pubblicità, non devi mangiarlo».

Siamo sul set del suo nuovo video, una palestra di boxe a Charlton, a sud-est di Londra. Non lontano da dove è cresciuto, assieme agli altri cinque figli di una coppia di immigrati irlandesi, Gerry e Dinah O'Dowd. Mentre chiacchieriamo non smette di lanciare occhiate furtive all'orologio: non manca molto all'ora di cena. «Devo ammettere che penso sempre al mio pasto successivo».

Un muscoloso ballerino a torso nudo si avvicina, si parla dello scompiglio ­creato dal video di Wrecking Ball con Miley Cyrus nuda. «Non c'è nulla di meglio che la cattiva pubblicità», mormora quasi soprappensiero il ragazzo. L'acqua che George sta bevendo gli va quasi di traverso. «Ma è quello che dicevo io anni fa!», esclama, scoppiando a ridere.

Due giorni più tardi lo incontro di nuovo. Gli dico subito che ho visto su Google la foto incriminata. Sapevo che era ingrassato ma non credevo così tanto. Gli chiedo che droghe prendesse. Di colpo assume un tono scontroso: «Ma che razza di intervista è questa? Al diavolo le droghe! Non ne voglio parlare. In quanto ad ammissioni di colpa, ho già dato, io».

Ha ragione. Dopo gli anni '80 della sua dipendenza da cocaina ed eroina, i problemi sono affiorati di nuovo dopo il 2000. Per finire, all'inizio del 2009, alla condanna a 15 mesi di carcere per aver ammanettato un escort norvegese, il ventottenne Audun Carlsen, e averlo percosso con una catena in una sorta di delirio indotto dagli stupefacenti. Non era solo, però: c'era un complice, mai identificato.

George non ha mai parlato in pubblico di questo episodio. «E non ne ho intenzione», precisa con puntiglio. «Non lo farò mai». Perché no? «Non gioverebbe a nessuno. Sono andato in prigione, il processo si è chiuso: fine della storia. È una cosa che appartiene al passato e non ne voglio parlare più».

Ciò non toglie che sull'argomento si sia continuato a parlare. Il giudice che lo ha condannato ha descritto l'evento come «una violenza totalmente gratuita» inflitta alla vittima. Nel 2011, Carlsen stesso in un'intervista al Times ha descritto l'accaduto nei minimi particolari. Il ragazzo racconta di essere stato contattato su un sito gay dal cantante, che gli propose di posare nudo. Secondo la testimonianza, la sera dell'assalto George e un amico l'hanno percosso e ammanettato.

A un certo punto l'amico se n'è andato, ma George è tornato nella stanza con una catena di metallo e ha iniziato a percuoterlo: violenza pura, niente di sessuale, a detta di Carlsen. Che alla fine è riuscito a scappare in strada, dove è stato trovato in biancheria intima, insanguinato e dolorante.

È molto difficile accostare la brutalità di questa descrizione all'uomo composto e pacato che mi sta seduto davanti. Per caso sente la necessità di rettificare? «Perché mai? Per stuzzicare la morbosità del pubblico ancora un po'? Ho già fatto pace con me stesso, la cosa più importante che io sia mai riuscito a fare. Di certo danneggerei ancora la persona interessata. Non parlare di questa storia per me è un punto d'onore», conclude con calma olimpica.

Immagino che uno dei problemi sia che la gente dà per scontata la sua assenza di rimorso. E George sembra quasi leggermi nel pensiero: «Su questa storia ho dovuto scendere a compromessi», si affretta ad aggiungere. «Comunque ottimo, il suo tentativo di farmi parlare, davvero! Posso solo dirle che, se dieci o venti anni fa mi avessero chiesto se avevo rimorsi, in generale, avrei risposto senza esitare di non averne. Ma ora sono più vecchio e saggio, e posso dire di averne molti, di rimorsi. Questo mi ha permesso di capire i miei limiti, e di ammettere che certe cose sono inaccettabili».

«Chi mi conosce davvero sa dove mi porta il cuore. If you don't know me by now, You will never, never, never know me...» («Se non hai imparato a conoscermi finora, non mi conoscerai mai più») comincia poi a cantare George, imitando Mick Hucknall dei Simply Red in versione lirica. All'improvviso si interrompe e mi guarda dritto negli occhi. «Le persone che mi amano non hanno bisogno di tante spiegazioni. Non ne devo a nessuno».

Dunque a 52 anni George ha perso peso, si è sbarazzato delle droghe, ha scontato il debito con la giustizia e ha riscoperto il «ragazzino» che era in lui. «Ho ritrovato l'ispirazione», spiega sorridendo. Anche il carattere irascibile che in passato gli ha causato non pochi problemi sembra alle spalle, ma ha ancora un carattere ingombrante. «Un sacco di gente vende milioni di dischi, ha milioni di follower su Twitter, ma a quanto pare non lascia nessuna eredità culturale», dichiara con enfasi.

Poi mi racconta del buddismo. È diventato buddista l'anno scorso, dopo aver incontrato a un concerto la cantante Sandie Shaw (molto conosciuta in Italia negli anni '60 perché si esibiva a piedi nudi), che nel backstage gli chiese di recitare insieme una parte del Sutra del Loto. Ora pratica il gongyo due volte al giorno: «A letto, con l'iPhone. Ho un'app che mi insegna. Sono un buddista tecnologico!».

Il suo primo album di inediti dopo diciotto anni. Un'assenza interminabile, anche se per tutto questo tempo non è rimasto con le mani in mano. All'inizio degli anni 2000 ha scritto un musical semi-autobiografico, Taboo, rappresentato con successo al West End di Londra, che parla dei Club Kid e dei New Romantic degli anni '80. È questo nuovo album però a segnare il rientro in grande stile, l'occasione di riprendere il suo posto nel mondo musicale dopo la bufera giudiziaria e personale.

Il titolo, This Is What I Do («Ecco cosa faccio»), forse è un promemoria rivolto a tutti. «Il 90 per cento del mio lavoro in questo momento è aiutare la gente a ricordare. Ho fatto di tutto per distrarre l'attenzione, lo so. Ora però voglio dare qualcosa in cui sono davvero bravo».

Nonostante decenni di stravizi, la sua voce è più ispirata ed espressiva che mai.
George ha smesso di fumare il suo pacchetto al giorno due anni fa, quando un giornale scrisse che la sua voce era «irrimediabilmente rovinata». «Quando ho letto quell'articolo ero così arrabbiato che ho smesso subito. Non fumerò mai più. Nemmeno una sigaretta, giuro». Come può essere sicuro di non ricascarci con le droghe? «Non posso essere certo al 100 per cento, ma sono convinto che non accadrà. La mia vita è così bella ora».

In carcere riceveva lettere anche da Elton John. Quando esce, resta esterrefatto dall'ondata di sostegno della gente, cosa insolita se hai all'attivo una condanna per violenza gratuita. «Tutto quell'affetto mi ha commosso. Mia madre continuava a ripetermi che la gente mi amava. La gratitudine è un sentimento nuovo per me. Quando ero più giovane, non sapevo nemmeno cosa fosse».

Merito della madre, dice, anche avergli impedito di partecipare a Celebrity Big Brother, il Grande Fratello inglese in versione vip. «Dovevo indossare il braccialetto elettronico per quattro mesi, e mi offrivano una valanga di soldi, quasi un milione di sterline. Era la "libertà vigilata" perfetta. Mia madre però mi disse che avrebbe lasciato il Paese per l'intera durata della trasmissione».

Oggi, il ritorno dei Culture Club, il gruppo che lo ha reso famoso negli anni '80. La band si è sciolta nel 1986 nel polverone della droga e la travagliata storia sentimentale con il batterista Jon Moss - quello che, nella foto in alto, gli tiene la mano, e che poi avrebbe sposato una donna e avuto figli. Da allora ci sono state reunion, ma questa volta il cantante è deciso a far funzionare le cose.

«Siamo stati un punto di riferimento per migliaia di giovani gay in giro per il mondo. È una responsabilità di cui finora non mi ero mai reso conto. Non ho mai considerato l'aspetto politico di tutto questo. Ero me stesso, mi divertivo un sacco, mi mettevo parrucche stravaganti. In certi momenti sono stato un esempio terribile per l'immagine pubblica di un gay, e adesso ho l'opportunità di raddrizzare un po' le cose. I Culture Club hanno influenzato il panorama sessuale con stile, e allora io pensavo che le cose sarebbero cambiate. Quanto mi sbagliavo!».

Di recente ha incontrato il premier inglese David Cameron e lo ha ringraziato per l'appoggio alla legge sui matrimoni omosessuali. «Che io sappia, nessuna civiltà è stata distrutta solo per aver concesso gli stessi diritti ai gay». Vuole dire che anche lei accarezza l'idea di sposarsi? «Santo cielo, no! Il matrimonio per me è un concetto alquanto conservatore, ma devo accettare che esistono omosessuali conservatori, e hanno diritto di fare questa scelta».

Sostiene di essere troppo occupato per una storia seria. Ne ha qualcuna tramite i siti di incontri? Risponde di no. Quindi non è mai stato su Grindr, lo incalzo. «Se sono mai stato su Grindr?», ripete, guardandomi come se fossi un'idiota. «Certo che ci sono stato. È come chiedermi se ho un profilo Facebook. Ma lì non si incontrano mai persone degne di attenzione. Chiedono subito se sono Boy George».

Suo padre, Gerry, è mancato nel 2004. Nonostante avesse appoggiato il figlio da quando aveva fatto coming out, era un violento, e aveva abbandonato la madre di George per sposare un'altra donna. Da allora si erano parlati raramente. «Gli volevo bene. Eravamo molto legati. Di noi figli sono quello che gli somiglia di più. Mio padre era generoso e buono, dava soldi a tutti. Ma anche pieno di contraddizioni. Poteva rovesciare un tavolo, e passata la bufera chiedere una tazza di tè. Aveva un pessimo carattere, ma io non sono come lui. Sono una persona diversa, adesso».

Di certo, ambientare il nuovo video in una palestra di pugilato è un omaggio al padre, che amava la boxe e cercava di coinvolgerlo. Se suo padre lo vedesse ora, cinquantenne, a colpire il sacco, chissà che cosa direbbe.

 

 

 

BOY GEORGE PRIMA E DOPO LA DIETA BOY GEORGE GRASSO E SFATTO BOY GEORGE E JON MOSS DEI CULTURE CLUB BOY GEORGE E JON MOSS DEI CULTURE CLUB BOY GEORGE E JON MOSS DEI CULTURE CLUB BOY GEORGE E I CULTURE CLUB BOY GEORGE E JON MOSS DEI CULTURE CLUB BOY GEORGE PRIMA E DOPO LA DIETA Boy George

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