“PANSA FALSARIO E NEOFASCISTA” - VIOLENTISSIMO ATTACCO DELLO STORICO DELL’ARTE TOMASO MONTANARI AL GIORNALISTA SU "MICROMEGA": “SCRIVEVA ROMANZETTI FILO-MUSSOLINIANI”. E AVREBBE SDOGANATO LEGA E FDI – IL “GIORNALE”: "NON E’ VERO. PANSA NON HA AFFATTO SDOGANATO SALVINI. AL CONTRARIO, NE ERA UN ACERRIMO DETRATTORE…I COCCODRILLI DEVONO ESSERE ONESTI”
Alessandro Gnocchi per “il Giornale”
Non basta una carrellata di insulti per infangare la memoria di un uomo onesto, e Giampaolo Pansa, di cui si sono appena celebrati i funerali, non era solo un uomo onesto. Era un uomo di grande valore e come tale sarà ricordato. Probabilmente non accadrà ai suoi critici che si sono sbizzarriti in una sequela di sciocchezze sui social network. Anche i sassi sono consapevoli dei meriti indiscutibili di Pansa.
Fu un cronista eccezionale, mise a segno scoop per almeno tre decenni, ebbe un ruolo decisivo nell' affermazione di testate come l' Espresso. Sorprende che lo storico dell' arte Tomaso Montanari si unisca al coro con un articolo di straordinaria violenza ma di troppo ordinario contenuto su Micromega. Intendiamoci: i coccodrilli devono essere onesti.
Non è obbligatorio parlare bene di chi non si stima. Però neppure dirne male fino alla dannazione. Montanari si spinge a dire che la memoria di Pansa è esecrabile: non è un argomento critico degno di un accademico. Per il resto, siamo alle solite. La credibilità del Pansa storico sarebbe nulla perché non ci sono le note in fondo al Sangue dei vinti; Pansa avrebbe equiparato fascismo e antifascismo; Pansa era un falsario; Pansa è responsabile della deriva che ha portato allo sdoganamento di partiti come Fratelli d' Italia e Lega; Pansa è stato omaggiato dai media per ignoranza.
Partiamo dal fondo e diciamo subito che Pansa non ha affatto sdoganato Matteo Salvini. Al contrario, ne era un acerrimo detrattore. Pansa poi è stato celebrato come cronista. Quasi tutti però si sono guardati bene dall' evidenziare come i suoi libri, che piacciano o meno, abbiano cambiato l' Italia, dalla cultura all' editoria. Il che è oggettivo ma difficile da ammettere per chi ritiene un attentato alla Costituzione affermare un paio di cose ormai scontate per chiunque non sia rimasto indietro di qualche decennio nelle letture.
Pansa non ha equiparato un bel niente. Ha solo divulgato l' ovvio dopo gli studi di Renzo de Felice e Augusto del Noce. Non tutti gli antifascisti lottavano per la libertà: quelli rossi lottavano per Stalin. Non tutti i fascisti erano criminali. Siamo lieti che siano stati sconfitti (dagli Alleati) ma non condannare all' oblio le loro ragioni. Non è sufficiente dichiararsi antifascisti per appartenere alla famiglia liberale, è necessario anche essere anticomunisti.
Pansa non era un falsario a differenza degli storici che hanno presentato la Guerra civile ignorando ciò che gli storici veri hanno provato: la massa degli italiani si collocava in una zona politicamente grigia; la Resistenza è stata una importante testimonianza morale ma non militare; la «svolta democratica» del Pci fu dettata da Mosca per opportunismo.
Poi ci sarebbe il capitolo delle figure dimenticate perché minavano la propaganda del Pci, poco incline a riconoscere i meriti dei partigiani bianchi e azzurri o dei semplici patrioti. Pansa ha divulgato con successo questi temi delicati perché aveva la formazione dello storico e la penna agile del grande cronista. Il resto sono chiacchiere e distintivo.
LA SCONCERTANTE SANTIFICAZIONE DI UN FALSARIO
Tomaso Montanari per Micromega – temi.repubblica.it
La santificazione a testate unificate di Giampaolo Pansa lascia sconcertati.
È naturalmente comprensibile il lutto degli amici e degli ammiratori, così come è lodevole la gratitudine dei più giovani giornalisti che ripensano ai loro debiti verso quello che fu, fino a un punto preciso della sua vita, un maestro del nostro italianissimo giornalismo.
Ma il silenzio sulla scelta revisionista di Pansa (una scelta che assorbe, portandolo di male in peggio, quasi gli ultimi vent’anni della sua vita), o peggio i tentativi di liquidarla con accenni a un suo gusto per le questioni «controverse», al suo essere «bastian contrario» o «sempre contro», sono invece inaccettabili. E nemmeno il combinato disposto dell’intollerabile ipocrisia italica e borghese del «de mortuis nihil nisi bonum» e del corporativismo giornalistico possono giustificare questa corale opera di depistaggio.
È esattamente questa coltre di silenzio che obbliga a prendere la parola proprio ora, a caldo: perché ci sia almeno qualche voce che contraddica la canonizzazione, e instilli dubbi proprio nel momento in cui il nuovo santo viene innalzato sugli altari, a riflettori ancora accesi.
E il punto non è solo che Pansa è stato uno dei più efficaci autori dell’equiparazione sostanziale fascismo-antifascismo, cioè uno dei responsabili culturali della deriva che conduce allo sdoganamento dello schieramento che va da Fratelli d’Italia alla Lega di Salvini, passando per Casa Pound.
Già, perché con Pansa, «la pubblicistica fascista sulla “guerra civile” italiana e la sterminata memorialistica dei reduci di Salò, che per un cinquantennio non erano riusciti a incrociare la strada del grande pubblico per la loro inconsistenza storiografica, hanno trovato un megafono di successo, uno sbocco nella grande editoria e nel grande schermo» (http://storieinmovimento.org/wp-content/uploads/2017/06/Zap-39_14-StoriaAlLavoro2.pdf).
E i fascisti ringraziarono, come fece per esempio il leader di Forza Nuova Roberto Fiore, parlando in tv nel 2008: «in generale l’Italia sta cambiando e sta iniziando a valutare quel periodo in modo più sereno. C’è stato un Pansa di mezzo in questi due anni. C’è stato un sano “revisionismo storico”».
Basterebbe questo a renderne la memoria esecrabile: almeno per chi crede davvero nei valori della nostra Costituzione. Ma se almeno la qualità giornalistica del lavoro di Pansa fosse indiscutibile, potrei faticosamente arrivare a comprendere (mai ad accettare, né tantomeno ad approvare) la celebrazione corporativa della grande firma.
È quello che avvenne per la Fallaci: e se trovo mostruoso che le si dedichino vie o strade, perché oggi sarebbe condannata per istigazione all’odio razziale, posso capire che le si riconoscano qualità di scrittura e di inchiesta (che personalmente, tuttavia, giudico al contrario assai modeste).
Ma i peana per il giornalismo di Pansa rivelano in chi li eleva una ben curiosa idea di giornalismo. Il punto, infatti, è che i libri di Pansa dal 2003 (l’anno in cui esce il Sangue dei vinti) consistono in una continua, abile, suggestiva manipolazione dei fatti che mira a costruire, nella percezione del pubblico, un sostanziale falso storico. Pansa era stato uno storico: si era laureato in storia con uno dei migliori storici della Resistenza, e aveva praticato egli stesso la ricerca storica con ottimi risultati.
Ma quando decise di ribaltare il tavolo e sostenere le tesi opposte a quelle in cui aveva sempre creduto – quando, cioè, decide di costruire l’apologia di chi uccise e morì per la Repubblica di Salò – non adottò il metodo storico, ma scrisse una serie di testi narrativi in cui la memorialistica e il romanzo sfumano l’una nell’altro. Una affabulazione senza nessun apparato di documenti e di note: e dunque inverificabile per il lettore.
Sono testi, i suoi, che non hanno nulla a che fare con la storiografia: ma nemmeno col giornalismo, per quanto estesa possa essere l’idea di quest’ultimo. Perché sono testi in cui è inutile chiedersi se le cose narrate siano vere o meno: ed è inutile perché è impossibile rispondere. Ciò nonostante, moltissimi storici professionisti (a partire da Giovanni De Luna) hanno chiarito in molte occasioni (si leggano per esempio questo e questo) come si tratti di testi privi di qualunque valore cognitivo, irti di coscienti omissioni, falsificazioni, disonestà intellettuali di ogni tipo. Carta straccia che racconta una storia falsa: fiction ideologica, dalla parte dei fascisti.
eugenio scalfari giampaolo pansa
Nonostante questo – e con un metodo ben calcolato – l’abilissimo Pansa e un’ampia corte di giornalisti (quelli fascisti, quelli di destra, quelli che semplicemente non leggevano nulla e quelli troppo ignoranti per porsi il problema) a ogni uscita di libro hanno trasformato la percezione di quei romanzi nel racconto di una nuova storiografia di riscoperta, di revisione, di rovesciamento della verità stabilità dai vincitori antifascisti.
Cosicché, nel discorso pubblico, Pansa oggi non è (come dovrebbe) l’autore di romanzetti curiosamente filofascisti, ma è il giornalista antifascista che ha svelato – dimostrando la coraggiosa capacità di andar contro ‘la sua parte’ – il lato oscuro della Resistenza.
Una clamorosa distorsione della verità: una lunghissima, perversa ambiguità che non solo ha eroso, di libro in libro, il consenso alla Repubblica antifascista, ma che contestualmente ha mandato in vacca ogni idea di giornalismo, ledendo programmaticamente il primo essenziale patto che lega chi scrive e chi legge, perché «la prima cosa che chiediamo a uno scrittore è che non dica bugie» (George Orwell).
GIAMPAOLO PANSA IL SANGUE DEI VINTI
Una risposta efficace era quella di Giorgio Bocca, un giornalista che aveva eguale udienza presso i media, e che definiva Pansa, semplicemente, «un falsario».
Invece, contro questa mistificazione gli storici veri hanno avuto più difficoltà a rispondere: perché come disse (con straordinario cinismo) lo stesso Pansa allo storico Angelo D’Orsi, che lo rimproverava di non mettere nessuna nota nei suoi libri: «Tu vendi 2.000 copie e io 400.000… vuoi anche le note?». La stessa situazione, a me ben nota, in cui si trova lo storico dell’arte che voglia smontare le bufale di Dan Brown su Leonardo, o anche solo l’ennesima attribuzione farlocca a Caravaggio sparata in prima pagina dal redattore orbo di turno.
Come si possa salutare oggi, dando fiato senza risparmio a tutte le trombe della retorica, un ‘maestro di giornalismo’ è veramente un mistero doloroso del rosario di fake news, falsi storici, manipolazioni o semplici sciocchezze che si snocciola ogni santo giorno sui media italiani. Per fortuna, in queste ore non sono mancate lucide voci contro: per esempio quelle del collettivo Nicoletta Bourbaki, rilanciate dai Wu Ming, o quella di Luca Casarotti su Jacobin Italia. Ma sulla carta stampata non si è trovato davvero nessun antidoto (salvo un timido cenno sul Manifesto): e non per caso anche queste righe non appaiono su un giornale, ma su un sito felicemente eretico.
La triste morale è che è inutile, ipocrita, e in ultima analisi intollerabile, inondarci di retorica sull’insegnamento della storia nelle scuole e difendere sdegnati la libertà di stampa e i giornali indipendenti, se poi è la nostra idea di giornalismo (e dunque di democrazia) a esser così gracile, ipocrita, superficiale.
LA COPERTINA DI 'QUEL FASCISTA DI PANSA'GIAMPAOLO PANSA LA REPUBBLICHINATOMASO MONTANARI 4Giampaolo Pansagiampaolo pansa l italia non c e piu TOMASO MONTANARI 2