QUEL "PARRUCCONE" DI LENIN - TORNA IN LIBRERIA IL SAGGIO DEL 1932 IN CUI CURZIO MALAPARTE DEMOLIVA IL LEADER SOVIETICO: “NON È UN GENGIS KHAN. QUEL CHE LO RENDE PIÙ MOSTRUOSO È IL FANATISMO DA PICCOLO BORGHESE, LA SUA VIOLENZA DA BUROCRATE PROVINCIALE”- DOPO LA VITTORIA DEI BOLSCEVICHI SI PRESENTO' CON LA PARRUCCA TRAVESTITO DA OPERAIO. E TROTZKY...
Adriano Scianca per “la Verità”
Secondo un aneddoto più volte rilanciato da Curzio Malaparte, al momento del trionfo dei bolscevichi ha luogo un episodio grottesco e rivelatore: Lenin si presenta in parrucca, travestito da operaio, con uno strano ricciolo che pende dal capo. Lev Trotzky, il vero capo militare, lo guarda e lo fulmina: «Perché siete ancora truccato in quel modo? I vincitori non si nascondono». Per lo scrittore pratese è una storiella rivelatrice: Lenin si è calato sul viso una maschera, ma cosa c' è dietro? Per Malaparte la risposta è chiara: un bonhomme, un borghesuccio.
Il buonuomo Lenin è appunto il titolo di un suo pamphlet, uscito nel 1932 in francese e adesso ripubblicato da Adelphi, poco dopo la sbornia rievocativa del centenario della Rivoluzione d' ottobre e i mezzo a cose come Lenin oggi, di Slavoj Zizek. Quello offerto da Malaparte non è il personaggio pop o il condottiero implacabile di certa pubblicistica nostalgica, ma neanche il demone asiatico, il fanatico sanguinario intenzionato a far abbeverare i suoi cavalli alle fontane di San Pietro, come invece ha spesso pensato la destra anticomunista.
«Spero di mostrare un Lenin del tutto diverso da come appare agli occhi dell' opinione pubblica europea», confida Malaparte all' amico Daniel Halévy nel settembre del 1931, poco prima di dare alle stampe il suo libro, trainato dal grande successo avuto dal Tecnica del colpo di Stato. Il suo intento era, in realtà, ancora più audace: mostrare Lenin come appare agli occhi dei «russi intelligenti». Ovvero un grigio burocrate. Ma quale barbarie asiatica, quale novello Gengis Khan, quindi: Lenin non è che un europeo medio, un buonuomo violento e timido, un «funzionario puntuale e zelante del disordine», un fanatico e un opportunista, per il quale la rivoluzione è una questione interna di partito, il risultato di ossessivi calcoli.
Egli è nato in Russia, ma sarebbe anche potuto nascere «sulle rive dell' Hudson o del Tamigi o della Senna o della Sprea». È incredibile come l' analisi ricalchi quella proposta da Hannah Arendt in relazione ad Adolf Eichmann, ma con 31 anni di anticipo e rispetto all' altro totalitarismo, quello che, nonostante i milioni di morti, continua a piacere alla gente che piace. La vera banalità del male, quindi, è il comunismo.
Malaparte ne sembra quasi deluso: uomo dalla biografia complessa e dalle passioni forti, lo scrittore avrebbe probabilmente auspicato una ventata davvero barbarica sull' Occidente, per risollevarlo dall' acqua tiepida della decadenza borghese. E invece niente, questa nuova orda è capeggiata da un piccolo borghese, feroce non nonostante tale forma mentis, ma proprio a causa di essa, ovviamente nel senso obliquo e sfuggente in cui sanno essere feroci i piccoli borghesi.
I primi anni Trenta sono del resto un momento di passaggio per Malaparte, che pochi mesi dopo, nel 1933, verrà espulso dal Pnf e confinato all' isola di Lipari, con l' accusa di aver svolto attività antifasciste all' estero. Non era forse nella posizione più adatta per riabilitare, di fronte al bonhomme Lenin, il suo amico/nemico Benito Mussolini.
Eppure noi oggi sappiamo, anche dopo saggi come il recente Mussolini contro Lenin, dello storico Emilio Gentile, che fra i due dittatori, fu l' italiano a essere più rivoluzionario. Lenin, del resto, crebbe in una famiglia benestante e in quello che lo storico definisce «un ambiente agiato e tranquillo». A scuola era uno studente modello, senza grilli per la testa.
E così, in fondo, rimarrà. Scrive Gentile: «Salvo un breve periodo a San Pietroburgo alla fine dell' Ottocento, Lenin non partecipò mai alla vita reale degli operai e dei contadini per i quali lottava per liberarli dalla schiavitù del capitalismo». Altro che, fa capire, il Mussolini «figlio del fabbro», cresciuto in una condizione modesta, allevato a pane e socialismo strapaesano, fra gli alunni più poveri del collegio, tra continue risse e ribellioni, finito a dormire sotto i ponti in Svizzera. Avventuriero, egocentrico, gradasso, forse. Bonhomme no, quello mai.