MEZZO SECOLO CON COCHI E RENATO - DIRANNO POCO O NULLA ALLE ULTIME DEGENERAZIONI MA PER I VECCHIETTI INCARNANO QUEL MONDO COMICO MENEGHINO CHE SI STACCAVA DAL MAINSTREAM ROMANESCO-NAPOLETANO - BATTUTE DEL TIPO SURREALE: RENATO: "QUANTO COSTA UN TRAM?". E COCHI: "UN TRAM FERMO COSTA COME UN TRAM IN MOTO, MENO IL PREZZO DELLA MOTO"….

Gian Luigi Paracchini per il "Corriere della Sera"

«Cochi? Grandissimo pigro». «Renato? Grandissimo rompiscatole». Anche se ammorbidita da una tenera ricorrenza, le nozze d'oro in palcoscenico, mezzo secolo cioè dal primo show, questa è una coppia esente da ipocrisie e inutili buonismi.
Come in tutti i sodalizi veri, radicati, Cochi Ponzoni, 71 anni e Renato Pozzetto, 72, hanno avuto momenti buoni, meno buoni, lunghi silenzi ma alla fine sono sempre rimasti Cochi e Renato. Due che sono cresciuti insieme e non se le sono mai mandate a dire, quando è servito.

Renato: «Una volta m'ha mandato a quel paese (eufemismo) in un teatro strapieno. E di brutto muso!». Cochi: «Ho sbagliato una battuta e lui mi sputtana di fronte al pubblico. Non potevo fare altro...». Renato: «Era una battuta cui tenevo. Io domandavo: "Quanto costa un tram?". E lui doveva rispondere: "Un tram fermo costa come un tram in moto, meno il prezzo della moto".

E invece ha fatto un tale casino! Poi però la gente ha riso lo stesso».
Anche se la torta manca (anagrafe e zuccheri non sempre si pigliano) Ponzoni e Pozzetto rievocano il loro anniversario al bar-pasticceria Gattullo, ghiotto, storico punto d'incontro milanese con quelli che sono stati alcuni dei loro compagni di strada: Enzo Jannacci, Bruno Lauzi, Beppe Viola, Lino Toffolo, Felice Andreasi e compagnia.

Quelli del cabaret, si potrebbe dire, guarda caso titolo del nuovo spettacolo che i due stanno per portare in tournée. Due ore di canzoni e ragionamenti come lo definiscono, farcito di successi con qualche chicca inedita come «Innocenza», una canzone mai registrata di Lauzi, dedicata a una donna di vita.

Come sono cominciate nel '62 queste nozze d'oro? «Cantando qualche canzone anarchica all'Osteria dell'Oca d'Oro, tenuta da Pino Pomè, pugile ma comunista, che teneva in cortile una riproduzione di Guernica. Ci venivano Lucio Fontana, Dino Buzzati, Luciano Bianciardi, Piero Manzoni che faceva vedere, senza aprirla però, la "Merda d'Artista" in scatoletta. La buona scuola non c'è mancata».

Poi il passaggio in altri templi dello spettacolo ragionato come il Cab 64 di Tinin Mantegazza dove vengono notati da Enzo Jannacci, quindi il Derby (1965) che sta al Cabaret italiano come il Cavern Club di Liverpool ai Beatles. Quello è il periodo che entrambi ricordano più volentieri e che li spingerà verso la tv in «Quelli della domenica» ('68), «Il poeta e il contadino» ('73), «Canzonissima» ('74) con canzoni popolate di galline che ripetono il loro gesto, di gente che si sposta le efelidi, di sciocchi in blu che ballano. E i tormentoni? «Bene, bravo 7 più», «A me mi piace il mare, effettivamente», «Qui siamo sui milleetrè».

«A Canzonissima '74 avevamo portato con noi Massimo Boldi, uno che poi ha fatto un po' di film, ma Raffaella Carrà non lo voleva. Chiaro che lei stando sul pianeta del "Tuca-Tuca" non capiva il nostro modo di fare ironia. Non abbiamo mollato e con i dirigenti si è arrivati al compromesso». Da lì però la ditta Cochi e Renato prende strade diverse: più teatro per il primo, più cinema per il secondo.

Cochi: «Fare film insieme era impossibile perché ci offrivano parti allucinanti tipo Peppone e don Camillo o coppia di Carabinieri, poi ci siamo trovati in Sturmtruppen ma era un'altra cosa». Renato: «Non è vero che abbiamo litigato, siamo sempre rimasti in contatto anche se nel privato abbiamo preferito tenerci su vite parallele».

E infatti la reunion nel nuovo secolo, dopo un tot di anni, è avvenuta sia in tv («Nebbia in val Padana») sia in teatro («Stiamo lavorando per voi») fra luci e ombre ma come se si fossero lasciati il giorno prima. Il tempo che passa? Un giorno Paolo Villaggio ha amaramente annotato come per un comico che invecchia sia difficile continuare a far ridere. E poi, la politica insegna, va molto di moda la rottamazione dell'anziano. Che cosa ne pensano i due ex ragazzi? E com'è cambiato il pubblico?

Cochi: «Non è che l'anagrafe sia una valore assoluto. Poi non si può negare che molta gente ci voglia ancora bene, se no mica ci offrirebbero teatri così importanti no?». Renato: «In politica la rottamazione la capisco di più perché sentire gente che ripete da 40 anni le stesse cose, ti girano per forza le scatole. Con le canzoni no. Il pubblico? Come la politica, come la corruzione, è figlio del periodo. Se applaudono le schifezze al cinema, se votano così è perché gli va bene».

Dove collochiamo il fenomeno di «I soliti idioti»? Cochi dice di essersi fermato a Aldo, Giovanni e Giacomo. Renato ha trovato un quid, «però costruirci su un film è dura». Perfettamente comprensibile per due che hanno preso lezioni di chitarra da Gaber, che andavano in vacanza a Cesenatico con Fo e che hanno vissuto in simbiosi con Jannacci.
Da escludere però che si mettano a studiare tardivamente da guru come, in modi diversi, Celentano e Grillo. Loro in fondo sono sempre convinti che «la vita l'è bela, basta avere l'ombrela, che ti para la testa, sembra un giorno di festa...».

 

 

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