PORRO SEDUTO – GRASSO: “UN TALK FONDATO SULLA PRESUNZIONE CHE GLI OSPITI ABBIANO QUALCOSA DA DIRE”

1. PORRO E IL «VIRUS» DEL COMPIACIMENTO
Aldo Grasso per "Corriere.it"

In tv le chiacchiere non stanno mai a zero, anzi. Da tempo, per affrontare la crisi economica e progettuale, la tv ha preso a prestito dalla radio un genere a buon mercato, il talk. Ogni volta che ne parte uno, in questo caso «Virus» (Rai2, mercoledì, ore 21.10), si accenna a nuovi linguaggi, alla contaminazione dei medesimi, ecc. In realtà, i modelli del talk sono tre e di lì non si scappa: c'è quello «urlato», che si fonda sulla rissa, sui pregiudizi e su un conduttore demagogico; c'è quello più salottiero, che si fonda sullo scambio di opinioni e sulla grande presunzione che gli ospiti abbiano qualcosa da dire; c'è infine, ma è il più raro, quello di approfondimento, capace di trascinare lo spettatore in un percorso di conoscenza.

«Virus», condotto da Nicola Porro, appartiene al secondo modello, come Floris, come Formigli: due ospiti «di destra» (Oscar Giannino e Mariastella Gelmini) contro due ospiti «di sinistra» (Alessandra Moretti e l'inflazionato Luca Telese), qualche collegamento esterno con la «piazza», come ha insegnato Santoro. Il programma non è né meglio né peggio di altri: se uno vuole sentire le banalità di Ale Moretti (povero Pd!) o di Gelmini; se uno ama gli ammiccamenti tra il conduttore e il suo amichetto Telese («tu sei un analista politico sofisticato»); se uno si esalta alle lamentazioni degli impresari edili o della «società civile» si accomoda e passa qualche ora.

Nel frattempo può vedere il servizio più intelligente (un retroscena di Claudio Cerasa che la Gelmini definisce «santoriano», per dire quanto capisce di tv, e di politica), una piazza, quella di Giugliano, che si ribella, urla «vergogna», «buffoni», e mette in crisi l'impianto della serata. Allevato alla scuola di Telese, Porro si mostra troppo compiaciuto: un po' più di umiltà servirebbe a migliorare il programma.


2. IL VIRUS ESISTE, ATTACCA IL PUBBLICO E LO FA SCAPPARE
Luigi Galella per "il Fatto Quotidiano"

Un merito e un demerito di Virus. Il contagio delle idee. Lodevole aprire la produzione di un talk mentre gli altri chiudono per ferie; meno lodevole e quasi beffardo non riuscire ad approfittarne trattenendo gli spettatori, che preferiscono altri show. Al secondo appuntamento lo share scende ancora più in basso, passando dal 6.45 al 5.25%.

La puntata di mercoledì (21.10, Rai Due) si apre enfatica con l'ispirata parola di Vittorio Sgarbi, che ritrae Berlusconi come un "combattente per la resistenza", un "partigiano da trincea", proprio "come Giorgio Bocca", contro il fascismo. Il "fascismo giudiziario", ovviamente. In montaggio parallelo, alle scintille ebbre delle parole fanno da contrappunto i lapilli deliranti di arbitrarie immagini caravaggesche, con l'intenzione di accrescere la suggestione.

Ricordando un po' la prosa e la scena di quegli Sgarbi quotidiani in cui vent'anni fa il critico prestato al randello carezzava la schiena, che provava a restar dritta, dei nemici del suo datore di lavoro: lo stesso Bossi, per un lungo periodo, e l'immancabile Di Pietro. Tornati in studio e presentati gli ospiti - Gelmini, Moretti, Giannino, Telese - a un certo punto prende la parola il non laureato, ex leader di "Fermare il declino", che per tutta la vita dovrà dimostrare quanto sia ingiusto che lui quel pezzo di carta non ce l'abbia.

Chiede se sia stato Sgarbi a intercalare le parole alle immagini di quei dipinti, e ricevuta risposta negativa - non c'erano dubbi del resto - osserva divertito che in questo modo non si fa un gran favore a Berlusconi, considerato che il Caravaggio fu responsabile di un crimine, e per fuggire al carcere perse la vita in una spiaggia assolata.

Prefigurazioni da lapsus freudiano. Quindi più tardi parlerà di una soluzione "politica" - "senatore a vita?", suggerisce Porro, del caso B., altrimenti la legislatura sicuramente verrà travolta. Quindi si passa a un retroscena su come nel Pd e nello stesso Pdl vedano Matteo Renzi, quindi ancora in studio, e chiacchiere su chiacchiere, grosso modo sempre quelle, col medesimo lessico con cui si trattano usualmente gli argomenti di politica o di economia, tanto che si potrebbe compilare un glossario di termini e locuzioni da talk da fornire agli aspiranti ospiti.

Ma il menu riserva tuttavia una succosa sorpresa nel finale, in cui appare un personaggio esotico - come direbbe il Briatore di Crozza - da "sooogno": Tarak Ben Ammar, che si vanta d'essere amico di Silvio Berlusconi, oltre che socio in affari, da trent'anni. E che tra un ricordo di Lucas - che convinse a girare "Guerre stellari" in Tunisia - e un alto quesito filosofico del tipo: "È compatibile la democrazia con l'Islam?", rivela d'essere andato alle cene di Berlusconi, il quale, assicura, non commetterebbe mai la "violenza di pagare le donne".

E c'è un momento in cui i due - Tarak e Nicola - che conversano piacevolmente sembrando come il gatto e la volpe, s'interrogano con retorico candore: "Ma l'hanno chiamata i giudici?", chiede l'amabile Porro. E l'astuto Tarak, con sintetica efficacia: "No. Perché sanno che dico la verità". Benefico buffetto sulle guance dei giudici. Ottimo servizio. Servizio pubblico. A ridosso e a rinforzo dell'inaudita sospensione dei lavori parlamentari, in aperta e minacciosa ostilità con la Magistr

 

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