E PUCCINI FINI’ NEI CONTAINER - LA PRIMA VOLTA A ROMA DELL’ORIGINALE E DISCUSSO DAMIANO MICHIELETTO, IL REGISTA ITALIANO PIU’ RICHIESTO ALL’ESTERO - AL TEATRO DELL’OPERA VA IN SCENA LO SPETTACOLO CHE HA CONQUISTATO IL NORDEUROPA
PUCCINI IL TRITTICO MICHIELETTO
Valerio Cappelli per il “Corriere della Sera - Roma”
Se c’è uno spettacolo che vale la pena raccomandare, della stagione dell’Opera, è il «Trittico» di Puccini firmato da Damiano Michieletto. Per due ragioni: è l’allestimento con cui, dopo la prima a Vienna, nella ripresa a Copenaghen vinse il premio Reumert della critica danese; ed è quello che segna il debutto al Costanzi del giovane (41 anni) regista italiano, discusso e originale, il più richiesto all’estero. Sul podio Daniele Rustioni.
La prima è il 17. Per «Il Tabarro» e «Suor Angelica», la protagonista femminile è la stessa, Patricia Racette. Anche per Roberto Frontali doppio impegno: in «Tabarro» e «Gianni Schicchi».
Damiano, col «Trittico» Puccini compie un salto stilistico incredibile.
«Sono d’accordo, è un percorso in cui trovi tutti gli ingredienti possibili del melodramma. Inizia con gelosia, passione, tradimenti (Il Tabarro ), si prosegue verso un pezzo lirico che riguarda affetti e intimità ( Suor Angelica ), e si arriva alla commedia umana, di carattere ( Gianni Schicchi ). In una serata tocchi tutte le corde del teatro musicale, non a caso ricorda la struttura del dramma greco, dove la commedia arriva nella catarsi finale in cui si scioglie la tensione».
Allestì il «Trittico» a Vienna, reduce dalla trionfale «Bohème» al Festival di Salisburgo.
«In realtà fu una mezza scommessa perché i due progetti erano nati quasi in contemporanea. Poi sono venuti Idomeneo , Otello di Rossini, nel 2018 Britten; da lì si è consolidato il mio rapporto col mondo austrotedesco. Sono contento che Roma per il mio debutto abbia scelto proprio il Trittico , che è un grande sforzo produttivo».
Ha creato un ponte fra i tre atti, così come ha fatto a Londra per «Cavalleria Rusticana» e «Pagliacci»?
«L’idea è di legare queste storie, pur mantenendo la loro diversità, trovando dei fili rossi all’interno delle tre drammaturgie. Ed è la genitorialità: la perdita di un figlio nel Tabarro , la crisi della coppia legata alla morte di un bambino.
In Suor Angelica diventa il desiderio di maternità punito e frustrato, e anche lì si scopre che c’è un bambino scomparso, c’è la punizione di una donna che non aveva nessuna intenzione di farsi suora ed è costretta a andare in monastero, la femminilità castrata. In Gianni Schicchi la figlia piange col padre, nella mia versione si scopre che lei è incinta».
Quest’idea della maternità come si traduce scenograficamente?
«L’unità è rappresentata da alcuni container. Il Tabarro è ambientato in un porto, dove le navi caricano e scaricano e i container danno una sorta di sapore industriale. Gli operai, rappresentano un mondo maschile dove Giorgetta è l’unica donna, l’oggetto del desiderio. In Suor Angelica i container diventano delle celle, alcune di esse sono lavatoi.
In Gianni Schicchi si aprono e sono pieni di arredamenti, argenteria, quadri: è la casa dove i parenti si ritrovano, e chi riesce si porta via l’eredità».
Ha visto il «Gianni Schicchi» che Woody Allen allestì a Los Angeles e a Spoleto?
«Ho visto delle foto, troppo poco per farsi un’idea compiuta. Però mi sembrava bello. Per Suor Angelica mi è stato d’aiuto il film Magdalene di Peter Mullan che nel 2002 andò alla Mostra di Venezia.
Parla di qualcosa rimasta in piedi per tutti gli Anni 80 nella cattolicissima Irlanda: ragazze che avevano subìto abusi sessuali o erano rimaste incinte, rinnegate dalle loro famiglie, per espiare le colpe erano costrette a vivere in un monastero e lì usate come lavandaie. Un regime crudele, in luoghi di penitenza e reclusione».
C’è il senso di colpa in «Suor Angelica»?
«Non tanto, c’è piuttosto una voglia di rivalsa, che finisce in tragedia. Nessuna è vestita da suora, è come se fossero prigioniere. L’idea è di raccontare un monastero completamente lontano dagli stereotipi: in questa storia, non è un luogo di preghiera ma di sofferenza. Il sogno di Angelica è di sapere come sta suo figlio e abbracciarlo».
I critici austriaci scrissero che lei in questo spettacolo richiede una recitazione ora allucinata ora beffarda.
«In Gianni Schicchi esce la commedia, il libretto di Giovacchino Forzano è un capolavoro. Quanto alla recitazione, sono stati tutti disponibili, cantanti e attori che hanno creduto nel progetto. Patrizia Racette che è abituata al Metropolitan ( il teatro di New York fa regìe piuttosto convenzionali, ndr ),
qui è sporca, spettinata, si butta per terra: quando è entrata nel meccanismo è diventata una bomba. La cosa importante, per me, è far emergere l’umanità dei personaggi».
MICHIELETTO IL TRITTICO DI PUCCINI