LA BOLLA DELLO STREAMING È SCOPPIATA – LO STOP ALLA CONDIVISIONE DELLE PASSWORD, DECISA DA NETFLIX, È LA GOCCIA CHE HA FATTO TRABOCCARE L'EPOCA D'ORO DELLO STREAMING – ORA LE PIATTAFORME (ANCHE LE CONCORRENTI DISNEY+ E AMAZON PRIME VIDEO) SONO PRONTE A TORNARE ALLE ORIGINI E A “PUBBLICARE” UNA PUNTATA A SETTIMANA. IN PRATICA, TORNA IL VECCHIO PALINSESTO. E TANTI SALUTI AL "BINGE WATCHING"
Estratto dell’articolo di Gianmaria Tammaro per www.lastampa.it
La rivoluzione dello streaming è finita. E non è finita oggi o ieri. È finita mesi fa, quando Netflix ha annunciato la sua intenzione di combattere la condivisione delle password. Che sì, da un punto di vista puramente imprenditoriale, ha senso.
Ma che per quanto riguarda l’impatto che lo streaming ha avuto, e ha ancora, sulle nostre vite ha rappresentato un passo indietro. Perché ha significato che gli spazi da conquistare, con i propri contenuti e con la propria offerta, sono finiti. E quindi bisogna correre ai ripari: fermi tutti, si torna a casa.
Per carità, non sempre la condivisione della password è stata – diciamo così – legittima. Ma il punto non è nemmeno questo. Il punto è il cambiamento che c’è stato: un cambiamento evidente, effettivo, che ha portato a un ripensamento profondo della linea editoriale dei colossi dello streaming.
Anche Disney, pochi giorni fa, ha annunciato di voler cambiare il suo piano abbonamenti, di voler introdurre la pubblicità e di voler provare ad arginare la condivisione della password. Se paghi di meno, perché avere lo stesso account in due? Puoi permetterti la tua indipendenza e la tua isola felice senza grandi sacrifici. […]
Volendo essere onesti, questo tipo di approccio è durato veramente poco. E con la decisione di Reed Hastings, co-fondatore di Netflix, di lasciare il suo ruolo di CEO è diventato ancora più evidente. Ma torniamo alle password e alla loro condivisione. In una fase di crescita, quando ci sono milioni di potenziali abbonati, è quasi controproducente voler imporre a tutti i costi le regole e un’idea rigida del mondo. O almeno, ecco, voler spaccare il capello in quattro, per avere da un unico nucleo, da un unico gruppo di persone, più abbonati paganti. […]
C’è un’altra considerazione che merita di essere fatta, e cioè i costi che diverse piattaforme devono affrontare per poter avere un archivio variegato con titoli che non nascono come loro produzioni originali (Netflix, per esempio, deve pagare per avere Mare Fuori e Suits, due delle serie più viste in Italia e nel mondo). E pure questo serve. Perché quel tipo di prodotti sono la testa di ponte proprio per entrare in contatto con il pubblico più ampio di cui parlavamo prima.
L’ultimo baluardo che resta in difesa della cosiddetta rivoluzione dello streaming è la distribuzione delle serie in un’unica soluzione, nello stesso giorno e alla stessa ora. Al momento solo Netflix sembra ancora intenzionata a seguire questa strada. Ci sono delle eccezioni, come Stranger Things e The Witcher, divise in capitoli e in parti, proprio per sfruttare al massimo la loro visibilità e non tardarne troppo la diffusione. Ma in generale l’idea di dare tutto al pubblico subito rimane.
Competitor come Prime Video e Disney+ hanno velocemente optato per un’impostazione differente, con un modello più tradizionale: un episodio alla settimana. Proprio come fa Max, ex-Hbo Max, Paramount+ e Apple tv+. E, più in generale, come fa la televisione lineare. Insomma, per citare Il Gattopardo: è tutto cambiato perché niente, alla fine, cambiasse.