“NEGLI ANNI DEL TERRORISMO MI CAGAVO SOTTO: ERO MINACCIATO DI MORTE PER LE CRITICHE AI RISTORANTI” – EDOARDO RASPELLI, ESPERTO DI CIBO, ESORDÌ COME CRONISTA DI NERA: "IL DIRETTORE LANZA MI AFFIDÒ LA PAGINA CULINARIA. FELTRI, MONCALVO E STELLA MI DERISERO. PER LE STRONCATURE MI RITROVAI UNA CORONA A MORTO DAVANTI CASA IL PRIMO MAGGIO DEL 1979. RISPOSI SUL GIORNALE: “VOLEVO RASSICURARE: LA LORO CUCINA ERA FETENTE, MA NON MORTALE” – LE MINACCE DI MORTE DOPO LA BOCCIATURA DEL RISTORANTE DI FRANCIS TURATELLO” (CELEBRE CRIMINALE, NDR), IL CRITICO GASTRONOMICO DELL’ESPRESSO FEDERICO UMBERTO D’AMATO, INDICATO COME UNO DEI 4 MANDANTI, ORGANIZZATORI O FINANZIATORI DELLA STRAGE ALLA STAZIONE DI BOLOGNA (“CON LUI CI AVRÒ MANGIATO DUE VOLTE. POI SONO STATO CONVOCATO IN CORTE D’ASSISE”) E LA GASTRONOMIA MOLECOLARE DI FERRAN ADRIÀ: “DA LUI VENTIDUE PIATTI DI DELUSIONE”
Articolo di Alessandro Ferrucci per “il Fatto Quotidiano” - Estratti
I sapori, gli odori, i profumi della vita li conosce, anche suo malgrado.
Edoardo Raspelli, prima di sedersi al ristorante, taccuino e penna d’ordinanza, è stato cronista nella stagione dei pranzi frugali tra interrogatori, stragi, minacce e morti celebri. Poi Cesare Lanza gli ha indicato il suo futuro: “Scrivi di ristoranti e diventerai famoso”.
(…) A 22 anni sono entrato in redazione come giornalista di cronaca nera; (cambia tono) sono nella foto scattata subito dopo il delitto Calabresi: io lì tra i primi, e ho negli occhi Mario Calabresi in braccio a sua madre; (pausa) vuole sapere come sono arrivato al cibo?
Perché no…
Quando usciva la Guida Michelin, al tempo una cosa seria…
CESARE LANZA - UGO TOGNAZZI - EDOARDO RASPELLI
Oggi, no?
Lasciamo perdere.
Allora?
Prendevo la Guida appena uscita e la comparavo con quella dell’anno precedente: studiavo, mentre i colleghi del tempo mi prendevano in giro.
Chi osava?
Vittorio Feltri, Massimo Donelli, Gigi Moncalvo, Gian Antonio Stella; (sorride) comparavo le guide e raccontavo chi aveva perso una stella, i bocciati. Tanto da scatenare le reazioni furibonde dei citati.
Fino a quando?
Mi chiama il capo cronista: “Raspelli, sei un Padulo”. “Cos’è?”. “L’uccello che te lo mette… Vai dal direttore”. Mi presento da Cesare Lanza, giornalista grandioso: “Da domani ti occupi pure della pagina dei ristoranti. Voglio anche i ristoranti pessimi”; (sorride) i colleghi mi definivano un grande giornalista mancato.
Però?
La rubrica doveva uscire una volta la settimana. Visto il successo, gli appuntamenti diventarono quattro.
I ristoratori la chiamavano per uscire sul giornale?
No, avevano una paura boia. Perché nella pagina delle recensioni c’era anche un riquadro con un faccino nero, con l’espressione del disgusto, e raccontavo chi era il bocciato di turno. Il faccino nero era la fissazione di Lanza: “Con questo diventi famoso”. Era il 1975.
Aveva ragione.
Sì, ma il casino fu mortale.
Tipo?
Minacce telefoniche, lettere anonime, una corona a morto davanti casa trovata il primo maggio del 1979.
In una stagione non semplice.
Sulla corona ho risposto sul giornale: “Ringrazio il ristoratore o la ristoratrice per questi fiori, però volevo rassicurare: la loro cucina era certamente fetente, ma non mortale”.
Hombre vertical.
In realtà mi cagavo sotto; in quegli anni, nel centro di Milano, c’era un ristorante frequentato dalla maggioranza silenziosa della città: il prefetto, Massimo De Carolis della Dc… e in cucina c’era la mamma di Duilio Loi (campione di boxe, ndr), mentre il figlio di Loi era stato coinvolto nell’omicidio dell’agente di polizia Antonio Marino, morto in seguito allo scoppio di una bomba a mano. Per questo ero spaventato. Pensavo a loro.
Le è andata bene.
Mica solo quella volta! Già nel 1975 mi occupavo di vino e un giorno il segretario generale dei sommelier mi ferma: “Ti ho salvato la vita: volevano farti fuori per la critica a un ristorante”. “Di chi?”. “Te lo dico dopo. Comunque gli ho consigliato di non ammazzarti ma di spararti solo alle gambe”. “Ma perché?”. “Ma no, dopo gli ho spiegato: il ristorante funziona ancora, cosa ve ne importa”.
Di chi era il ristorante?
Di Francis Turatello (celebre criminale, ndr).
Altro che indigestione.
Era la Milano di quegli anni; (pausa) non ho mai prenotato a mio nome, sempre in incognito, anche se con la televisione ora mi riconoscono.
Però?
La carta dei vini non la possono cambiare, poi controllo subito i bagni, se sono puliti o meno, e non prendo mai il risotto perché lo cucinerebbero apposta per me, né il fritto misto, preferisco un pesce.
Oggi sono moltissimi i programmi tv dedicati al cibo.
Le puntate di Melaverde hanno uno share altissimo, il 12 o il 14%, nonostante siano repliche di anni fa; (silenzio) i programmi di cucina costano poco e rendono, però la critica gastronomica è morta.
Che è successo?
Nessuno racconta più i posti cattivi; va detto che la ristorazione è molto migliorata, non ci sono più i gatti che camminano sui tavoli, o i piatti stracotti. Oggi i problemi sono altri.
Tipo?
Quasi sempre i piatti non sanno di nulla perché la materia prima è standardizzata, i cuochi o i ristoratori non vanno più a fare la spesa, ma ricevono i prodotti dalle catene di distribuzione. E poi c’è un’involuzione nella qualità.
Traduciamo.
Puntano sulla ricerca estetica, della bontà del piatto non frega nulla a nessuno. Oggi ti fanno “schiuma di…”, “fumo di…”, “spuma di…” zucchine, ad esempio. Poi a tavola ti arriva un tizio e ti spruzza nel piatto il “profumo di…”. Io li vorrei tutti mandare affanculo.
E la descrizione infinita del piatto?
Magari ti raccontano di fagioli che arrivano dall’altra parte del mondo, che sembrano oro, ma cacchio dammi i borlotti e non rompere.
Liberatorio.
Ricordo Riccardo Muti in un ristorante di Piacenza. Lo hanno massacrato di attenzioni e parole. Attenzioni e descrizioni di ogni virgola presente sul tavolo. Alla fine è sbottato: “La pianta di rompere e ci lascia mangiare?”.
Come mai non va nei programmi di cucina?
Non mi chiamano.
Quante volte mangia fuori?
Ho rallentato, ma sono arrivato a decine di migliaia.
Quante querele?
Un ventina. Sempre assolto.
Ha devastato Ferran Adrià, considerato da molti un genio, e la sua gastronomia molecolare.
Ha chiuso, vuol dire che non avevo tutti i torti. Da lui ventidue piatti di delusione.
In Italia, i televisivi: Carlo Cracco.
È bravissimo, come Alessandro Borghese.
Bruno Barbieri.
Pure lui, bravissimo.
Antonino Cannavacciuolo.
Non ci vado da sei o sette anni. Non amo parlarne.
La Guida Michelin.
Tanti anni fa ero ad Alassio, in un albergo. Durante la colazione entra una signora: “Buongiorno, sono della Guida Michelin, posso visitare l’albergo?”. E lì mi sono chiesto: come fa la Michelin a giudicare un hotel senza dormirci?; poi cinque o sei anni fa cerco un ristorante di Bordighera, leggo, verifico i giudizi degli anni precedenti, e mi accorgo che era sempre lo stesso. Identico.
Non un caso isolato.
Ho spulciato ed è sistematico: la trattoria Alla Pergola, di Trevenzuolo, ha lo stesso giudizio da 19 anni.
Risultato?
Anni fa ho trovato l’elenco degli ispettori della Michelin: in Italia erano dieci. Come puoi giudicare migliaia di ristoranti in così pochi?
Lei ha lavorato alla Guida de l’Espresso, nel gruppo c’era Federico Umberto D’Amato, indicato come uno dei 4 mandanti, organizzatori o finanziatori della strage alla stazione di Bologna…
Tre anni fa mi chiama un capitano della Guardia di Finanza: “Potrebbe venire a Bologna per parlare con i magistrati su Federico Umberto D’Amato?”. Vado. E trovo tre magistrati. Io pieno di ansia. Anche adesso che lo racconto mi prende un coccolone.
Insomma?
Con lui ci avrò mangiato due volte. Poi sono stato convocato in Corte D’Assise…
Le si è stretto lo stomaco.
Ancora ci sto male; eppure con me parlava di tagliatelle, di tagliolini. Girava per ristoranti con il suo cagnolino. Ricordo il suo anello con brillante, era un boss del ministero degli Interni. Non credevo.
Il piatto della sua vita?
I gamberi in crema di ceci di Fulvio Pierangelini, o il risotto alla foglia d’oro di Gualtiero Marchesi.
Ha mai sputato qualcosa che stava mangiando?
Di recente, a Terni, al ristorante Umami, mi hanno portato una faraona alla crema di cioccolata. Pessima. In un altro, a Verbania, dallo chef Marco Sacco, il dolce era cioccolato con in mezzo un pezzo di carpa cruda.
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