renzo arbore quelli della notte

RENZO SALVATO DA INTERNET: ARBORE CHANNEL! - “IN RAI NESSUNO SI FA PIÙ VIVO, PENSANO SIA RINCOGLIONITO - UN’ALTRA TV È POSSIBILE E IN ALCUNI CASI, ESISTE. PERÒ BISOGNA SAPERE CHE NON C’È UN SOLO PUBBLICO”

Malcom Pagani per Il Fatto

  

D'ANGELO, MEROLA, ARBORED'ANGELO, MEROLA, ARBORE

Da Cristoforo Colombo fuori tempo massimo, Renzo Arbore esplorava rotte sconosciute: “Gli Stati Uniti li ho visti tardi e alla lunga, li ho anche ridimensionati. Ma da ragazzo, scoprire che gli americani non erano quei puzzoni che si diceva fossero, fu importante. I democristiani li consideravano gangster. Razzisti e divorzisti. Brutta gente. Fascisti e comunisti forse li ritenevano anche peggio. A me piacevano. Le prime cravatte strette e quei colli di camicia da curato così tondi che la gente ti fermava canzonatoria per la strada: ‘Ma chi vulite sembrare, o prevete?’ mi facevano impazzire. Renato Carosone diceva che avevo indossato il primo jeans di Foggia e il secondo di Napoli e in qualche modo, non mentiva. Con i capelli simili a quelli dei Marines e l’abbigliamento da texani in viaggio premio, io e un mio amico andavamo nei cinema campani sognando di essere scambiati per soldati di passaggio: ‘Two tickets, please’. Se la commessa ci rispondeva ‘yes’ era una festa”.

video ray charles  canta con renzo arbore a new yorkvideo ray charles canta con renzo arbore a new york

 

Tra un ricordo e una risata piena, tra pochi giorni saranno cinquant’anni dalla prima volta in scena. Mezzo secolo di spettacolo, concerti, improvvisazioni: “La miacifra”,invenzionienote.IlJazz:“Lamusicapiù libera che esista”, la radio: “Con Alto Gradimento facemmo la rivoluzione”, l’ultimo disco doppio con le incursioni newyorchesi di Ray Charles, il live ‘E pensare che volevo solo fare il dentista’: “Con l’Orchestra italiana faccio più 50 date l’anno. Nelle prime file giovani, vecchi e madamine a volontà”.

giancarlo leone flavio mucciante renzo arboregiancarlo leone flavio mucciante renzo arbore

 

arr24 arbore napolitanoarr24 arbore napolitano

Un’autobiografia in preparazione per Rizzoli. L’appartamento colmo di presepi, quadri, teiere colombiane. Il caffè sul fuoco. La batteria nell’angolo. Il luogo d’adozione all’ultimo piano della Roma più residenziale: “Per poter suonare vivevo in uno scantinato umido e buio in una zona di puttane e malfattori, poi mi sono trasferito qui, in un posto pieno di luce. Avrebbe dovuto essere la casa seria, mi sa che è diventata altro” trasformato in una succursale di Arbore Channel. La televisione di ieri, di oggi e di domani: “Non busso più alla porta di nessuno, ma non sono rimbambito. Se vogliono, sono qui. In movimento. Sto lanciando il mio canale e ho il cassetto pieno di idee. Ogni tanto scrivo un programma e poi mi dico ‘possibile che non ci abbia pensato ancora nessuno?’”.

arbore marenco bracardi boncompagniarbore marenco bracardi boncompagnirenzo arborerenzo arbore

 

 Possibile?

 

   Evidentemente è così. Ma non me ne preoccupo. Cerco da sempre qualità e della dittatura dell’Auditel non me n’è mai importato nulla. Da quando ha giustiziato la diversità, la tv ha abbassato la guardia. Non dico che il mezzo debba essere la decima musa, né offrirsi solo a uno stretto cenacolo intellettuale, ma per me un programma rimane un’operina. Una cosa da immaginare con gusto e ironia. Non inseguo gli ascolti.

 

   Non insegue gli ascolti, ma li ha saputi ottenere.

 

   Nonostante Berlusconi avesse provato a metterci contro Dallas e Dynasty, davanti a Cari amici vicini e lontani si fermarono 14 milioni di persone. E dieci ne bloccammo con Banfi ‘processando’ il Festival di Sanremo. Poco tempo fa mi hanno offerto The Voice, ma ho detto no.

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   Perché?

 

5 arbore benigni leone mastelloni5 arbore benigni leone mastelloni

   Non è il mio brodo e un bravo cuoco, per sfornare un piatto alla sua altezza, ha bisogno degli ingredienti giusti. Non ho mai smaniato per una prima serata, comunque. Se nella mia trasmissione non posso mettere un’aria di Ella Fitzgerald, preferisco non farla.

 

   In Rai però continua a non lavorare.

 

   Probabilmente certi dirigenti suppongono che io sia andato. Svanito. Evaporato. È un errore che all’epoca in cui i Biagi e i Bocca superarono i 70 anni commisi anch’io. Ero addolorato. Pensavo: ‘Ce li siamo giocati, li abbiamo persi’. Dio solo sa quanto mi sbagliavo. Ci sono 70enni che hanno tirato i remi in barca e quelli ancora validi.

Bonaccorti Nori Melato ArboreBonaccorti Nori Melato Arbore

 

   Inutile dire a quale categoria sente di appartenere.

 

   Ho superato i 40, i 50, i 60 e poi i 70 seguendo le mie passioni. Le ho dovute adeguare all’età, abbandonando whisky e sigarette nell’angolo, ma continuo a coltivarle. Ho il mio canale, i miei interessi, i concerti con l’Orchestra italiana. Ho vissuto lutti e dolori forti, come tutti. Ma li ho tenuti per me. Ho diviso le sfere.

 

   Non è mai emigrato in Mediaset.

 

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   Berlusconi mi cercò quando aveva ancora molti capelli e dei ‘televisionari’ della mia generazione, sono stato l’unico a non cedere alle lusinghe. No, grazie, non fa per me. Io sono un uomo Rai. È così per la gente. Nell’immaginario collettivo appartengo a quell’azienda molto più di tanti direttori generali. Sono poi un telespettatore molto attento. Conosco trucchi, compensi e modernità di cui in tanti si riempiono la bocca. Frequento la Rete. Prima ho evocato Dio, ma a essere sincero prima di conoscere Internet non credevo molto nella provvidenza. Il Web mi ha fatto cambiare idea. Non ha qualcosa di divino un mezzo che in un secondo ti trascina in uno sketch di Aldo Fabrizi o ti spiega la Metempsicosi senza necessità di consultare la Treccani?

 

   Lei e la provvidenza vi ritrovaste in un’aula di tribunale.

 

   Accadde ai tempi del Pap’occhio, il mio esordio nel cinema. Il primo film prodotto da Rai2 di Massimo Fichera, un benemerito, come Guglielmi. La trama mi vedeva nel ruolo di nascente conduttore della tv vaticana scelto da Giovanni Paolo II in persona ed era innocente e per nulla blasfema, ma la stampa cattolica ci attaccò e un magistrato abruzzese fece sequestrare la pellicola per vilipendio alla religione.

 

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   Venne chiamato a deporre anche lei.

 

   Il processo arrivò a Roma e io e Benigni ci trovammo davanti al giudice Infelisi. Uno tosto. Un duro. Cominciai per primo, spiegando a Infelisi come io e Luciano De Crescenzo ci fossimo autocensurati in sede di sceneggiatura. ‘Avremmo potuto mettere la marijuana nel turibolo – feci notare – o far perire tra le fiamme una Giovanna d’Arco che canta Tu mi fai girar come fossi una bombola, ma non l’abbiamo fatto’. Infelisi, confuso, mi congedò e fece avanzare Benigni. Roberto camminò a passo svelto e puntò verso il togato per parlargli nell’orecchio. All’uscita, serafico, non fece una piega: ‘Gli ho detto che il film è così cattolico che tu sicuramente hai preso soldi dal Vaticano’.

renzo arbore manifesto shanghai in cina03renzo arbore manifesto shanghai in cina03

 

   Il Pap’occhio era diretta filiazione de L’altra Domenica.

 

   Di una tv coraggiosa che lasciava briglia sciolta alla sperimentazione e ai dialoghi surreali. In quel programma ci scatenammo. C’era una genia di jazzisti della parola che nel campo di un sofisticato, folle, istintivo umorismo di stampo intellettual-demenziale erano decenni avanti agli altri. Oggi sono in sonno ed è per questo che è complicato immaginare di rifare trasmissioni come l’Altra domenica o Quelli della notte.

 

   Nomi dei complici indispensabili?

 

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   Un caposcuola assoluto, un improvvisatore nato che sarebbe ingiusto ricordare come uno dei tanti era Mario Marenco. Con quella faccia da impunito, Mario aveva guizzi di genio. Trasfigurava le sue nevrosi, le sue ossessioni, il suo fastidio per i consessi dominati dai bambini urlanti. Il tocco di Mario, ancor più che nell’Aristogitone, mutuato dai professori tutti retorica e moschetto di memoria fascista, brillava nell’assurdo degli astronauti dispersi come Raymundo Navarro: ‘Olè bastardos, cornudos! Esto è il comandante Navarro, puerca vaca, ricchiones’. Quando gli chiedevo come gli venissero in mente certe figure, Marenco rispondeva soltanto: ‘Per sfregio’. Era imprevedibile. Sa che Fellini lo avrebbe voluto protagonista ne La città delle donne?

 

   Davvero?

 

ARBORE - QUELLI DELLA NOTTEARBORE - QUELLI DELLA NOTTE

   Marenco mi telefonava: ‘Ma che vuole da me questo Fellini?’. Io a spiegargli che alla chiamata del maestro non si poteva rinunciare e lui imperturbabile: ‘Sì, ma quanto mi dà?’. Turbato dai suoi dubbi, Federico mi chiese consiglio: ‘Che devo fare? Fissa appuntamenti a cui non si presenta, è sfuggente’. Gli dissi che non avevo svolto il servizio di leva, ma il tirocinio con Marenco si era rivelato più impegnativo di una campagna militare e conoscendo l’argomento gli suggerivo pazienza. Animato da spirito di contraddizione e costante irrazionalità, Mario era indomabile. Fellini si stancò: ‘Mi arrendo, prendo Mastroianni’.

 

ARBORE-QUELLI DELLA NOTTEARBORE-QUELLI DELLA NOTTE

   Di quegli anni, con accenti non privi di rancore, ha parlato anche Giorgio Bracardi.

 

   Ho letto. Ci saranno senz’altro dei motivi, ma non riesco a spiegarmi il risentimento. O forse sì. Del gruppo, Bracardi è quello che ho accudito di più.

 

   Arbore, giurano, evita il conflitto.

 

RENZO ARBORE E MARIANGELA MELATORENZO ARBORE E MARIANGELA MELATO

   Prima di ogni trasmissione in realtà, mi prendo sempre una grande incazzatura, ma in generale è vero, non cerco i contrasti e una delle mie regole auree è perdonare anche chi ti ha fatto un’angheria. Perdonare è spiazzante, umilia chi ti ha aggredito.

 

   Rapporti invece ottimi con Boncompagni.

Arbore & Boncompagni by Massarini

 

   Purtroppo è sordo come una campana. Lo sto convincendo a mettersi un apparecchio acustico perché non voglio perdermi i suoi racconti stralunati, Gianni è una delle persone con cui mi sono più divertito in vita mia.

 

   È stato importante divertirsi?

 

   È stato importante osservare. Sono cresciuto in provincia. Una palestra. Lì, in piccolo, conosci l’umanità. Il ricco, il povero, il tirchio, il vanaglorioso, il cornuto, il Ganimede, lo spione in combutta con i servizi segreti. A Foggia si poteva morire di noia, per eliminare il pericolo bisognava inventarsi delle cose. Fotografarsi il posteriore alla stazione o andare al finto funerale dell’amico era un modo di riscrivere la realtà. Le zingarate alla Amici Miei erano il nostro pane.

 

   Lei si annoiava?

 

Il PapOcchio Benigni Arbore Il PapOcchio Benigni Arbore Il PapOcchio Benigni Arbore Il PapOcchio Benigni Arbore

   Da giovane ogni faccia è una scoperta. E da giovane scopri anche l’amore di contrabbando. Una volta mi abbandonai con una fanciulla sulle fave lasciate al lavoro del sole dai contadini. Sembrava un letto comodo. Si rivelò un calvario. Le fave pizzicavano, mi grattai per una settimana. C’era una musica anche nella disavventura e Foggia nel dopoguerra era una città agricola, sana e molto musicale. Era stata severamente bombardata e dalle strade adiacenti al corso principale, dove i negozi con gli altoparlanti a tutto volume irradiavano canzoni napoletane, potevi sentire il controcanto degli operai impegnati nella ricostruzione. Di sera, dal circolo americano posto davanti a Palazzo Arbore, sentivo le note del boogie-woogie o dell’Harlem nocturne. Quando mia zia scendeva da Milano per farci visita non mancava di stupirsi: ‘Qui sembrate tutti allegri’.

 

   Lei però dalla provincia voleva fuggire.

 

   A Roma. Mio padre la considerava peccaminosa, aveva avuto una deludente esperienza con mio fratello che salito da Foggia negli anni della Dolce Vita ci si era perso e aveva interrotto gli studi in Medicina finendo per laurearsi in Giurisprudenza. Feci tappa a Napoli. L’inizio, nella mia cameretta ammobiliata di Santa Lucia, fu tristissimo. Mollato da una fidanzata, timido, schiacciato dalla solitudine. Poi approdai in uno strano posto, la Pensione dei Mille. 130 letti. Combattenti, reduci, studenti, monarchici e poi francesi, messicani, ladri di bidet, perdigiorno. Un circo dallo straordinario campionario umano. Per noi provinciali, l’università significava libertà. Cominciai ad assaporarla.

Boncompagni ee Renzo Arbore Boncompagni ee Renzo Arbore

 

   Incontrò il Jazz e la letteratura.

 

Boncompagni e Arbore negli studi di Radio Boncompagni e Arbore negli studi di Radio

   Su quella Napoli segreta, descritta in un documentario di Corallo con La Capria, potrei tener banco per tre giorni. È un periodo che ha segnato la mia vita. Ero e sono rimasto un convinto longanesiano. All’epoca leggevo avidamente il Borghese e da Antonio Savignano, l’ultimo collaboratore morto un anno fa, mi facevo raccontare le storie di Montanelli che si firmava Antonio Siberia. Io e Indro eravamo amici, fingevo di corteggiare la sua Colette, scherzavamo. Per me nutriva una certa considerazione: ‘Dovresti fare il Bossi del Sud’. In realtà sono sempre stato repubblicano. Dalla politica, mi ha tenuto lontano il jazz. Un’arte fondata sul culto della libertà non può sposare l’ideologia. Ha notato che jazzisti comunisti ce ne sono stati pochi?

 

   Lei comunista non è mai stato.

 

RENZO ARBORE RENZO ARBORE

   Sentivo di dovermi creare una coscienza politica e leggevo di tutto da La Discussione a Mondo Nuovo. Ma i comunisti non riuscivano a convincermi. Li sentivo arringare le folle e poi a margine delle feste, trattar male i camerieri. La militanza stravolgeva i contesti. Una volta, ai tempi dell’austerity, Zeffirelli invitò mezzo cinema italiano per un lungo fine settimana nella sua tenuta. Il weekend si trasformò in processo sommario e Franco, che era tutt’altro che di sinistra, venne crocifisso. Con le truppe cammellate e nei reggimenti, mi trovavo a disagio. E una posizione mediana che sorridesse all’America, a meno di non volersi legare a Saragat, non esisteva. Così nelle urne mi confondevo volontariamente e protestavo a modo mio. Una volta votai per Adlai Ewing Stevenson. Un idealista pre-kennediano, un democratico che provò a diventare presidente degli Usa e per due volte venne sconfitto duramente da Eisenhower.

 

   Ancora l’America.

 

RENZO ARBORE MONICA NANNINI E GEGE TELESFORO NEL PROGRAMMA RAI DOCRENZO ARBORE MONICA NANNINI E GEGE TELESFORO NEL PROGRAMMA RAI DOC

   Ho grande rispetto per una nazione bastarda. E a volte essere bastardi è molto più nobile di qualsiasi quarto di nobiltà.

 

   Erano bastardi anche i suoi esperimenti televisivi più riusciti?

 

   Noi le scalette le consegnavamo solo dopo la messa in onda. Oggi è tutto preordinato, liofilizzato. Le reti generaliste sono in difficoltà e si affidano ai grandi eventi o ai format australiani. Pubblicità, grancassa mediatica e finisce che quel prodotto lo devi vedere per forza. Ma il risultato non ha niente a che vedere con la qualità e con il coraggio.

 

Luigi Gubitosi e Renzo Arbore Luigi Gubitosi e Renzo Arbore

   Con la televisione si può fare arte?

 

   In una tv artistica credo ancora. Un’altra tv è possibile e in alcuni casi, esiste. Però bisogna sapere che non c’è un solo pubblico. È una lezione che ho imparato quando facevo il Dj. Chi compra Lucio Battisti non acquista Orietta Berti, come chi vede Benigni non si entusiasma per il Grande Fratello. Bisogna rischiare, offrire alternative, scovare i desideri. Il Pop va bene, ma non va bene da solo.

 

   Non è servizio pubblico?

 

   La smart tv consentirà di scegliere il proprio programma in base ai gusti personali, ma il servizio pubblico deve osare di più e saper traghettare il passaggio.

 

   Le piacerebbe lavorarci?

 

RENZO ARBORE QUELLI DELLA NOTTE RENZO ARBORE QUELLI DELLA NOTTE

   Mi pare che sul mio nome facciano orecchie da mercante. Forse pensano sia rincoglionito, forse non ci credono abbastanza. Poi certi dirigenti vengono ai concerti e si stupiscono: ‘Ah, ma come stai bene’, ‘Ah, ma come tieni bene il palco’. Per creare qualcosa che resti bisogna scegliere con cura i compagni di cordata e arrampicarsi in territori nuovi e sconosciuti. A me è capitato e spero capiti ancora con Arbore Channel. Degli altri non so dire.

 

   Alla Rai non capita più?

 

   Ultimamente ho visto due perfetti esempi di come la tv di Stato possa ancora raccontare la realtà. La scelta di Catia di Burchielli e L’Infiltrato di Filippetto erano due programmi che onoravano la Rai. Erano altra tv. Erano un’altra Italia.

arbore quelli della notte arbore quelli della notte

 

   Lei però ha sempre fatto qualcosa di diverso.

 

   Ho cercato di evitare la satira sul contingente, l’imitazione stanca o lo sketch caduco costretto a uniformarsi all’attualità e quindi a morire non appena la notizia del momento trovava un’altra notizia sulla corsia di sorpasso. Sognavo l’eternità di Walter Chiari e di Manfredi, l’umorismo per l’umorismo, il riso senza tempo che non ha altra ragione sociale che quella dell’invenzione. Una scommessa ardita. La stessa di Totò.

 

   Ci è riuscito?

 

RENZO ARBORE QUELLI DELLA NOTTE RENZO ARBORE QUELLI DELLA NOTTE

   Spero. Ho tanti figli e un’infinità di primogeniture. Ho creato 15 format originali. Il primo programma nostalgia, il primo talk show, il primo rotocalco di spettacolo. Il tutto spendendo pochissimo senza mai tradire la causa. Non vorrei apparire presuntuoso, ma sono un po’ stanco di passare sempre per modesto. Gli archivi della Rai sono pieni di roba di valore lasciata a futura memoria. Un archivio infinito ancora in parte sconosciuto e un repertorio vastissimo. Pensi che solo di D.O.C. ci sono 400 puntate.

RENZO ARBORE RENZO ARBORE

 

   In Musica e altro a denominazione d’origine controllata passarono Dizzie Gillespie, i Manhattan Transfer e Miles Davis.

 

   Se dal lunedì al venerdi venivano Lucio Dalla o James Brown, per dire, non mi limitavo a ospitarli in trasmissione. Gli facevo girare degli extra, cose da riutilizzare che ora nuotano inedite nell’archivio. Se lo trovano gli americani e si impossessano dei diritti ci vanno avanti anni.

 

ARBORE GILET ARBORE GILET

   Lei tra qualche anno dove si vede?

 

   Dalla parte dell’ingegno e della fantasia, del gradimento e non dell’ascolto. Quello che i soloni dell’Auditel non possono far finta di non sapere è che il tanto celebrato Quelli della Notte, il secondo marchio Rai più forte di sempre dopo Lascia o Raddoppia, faceva ascolti relativi. Lo guardavano un milione e mezzo di persone. Un pezzo di paese aggiornato che ancora oggi è importantissimo. Dimenticarlo sarebbe un peccato.

 

   Lei ne commette?

Renzo Arbore e l orchestra Italiana Renzo Arbore e l orchestra Italiana

 

40piper13 boncompagni dalida arbore40piper13 boncompagni dalida arbore

   Passeggio ai bordi del delirio. In centro, uno shopping centre a cielo aperto, non posso più andare. Via Veneto mi intristisce. Così fuggo all’Eur e cammino tra un gelato e una chiacchiera vacua con qualche amico volenteroso. È come una passeggiata in provincia. Ritrovo i tic, le conversazioni inutili, le vere soddisfazioni della vita. Non è la Piazza Rossa, ma lì sono già stato e con l’immaginazione arrivi ovunque.

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