RAI, CADUTA POLTRONE - LA RIVOLUZIONE BY GUBITOSI TAGLIA QUATTRO DIRETTORI E 20 VICE, CON RISPARMI FINO A 100 MILIONI - NON DITE ALLA BERLINGUER CHE MONICA MAGGIONI E MARIO ORFEO SONO FAVORITI PER LA GUIDA DELLE DUE NEWSROOM
Paolo Festuccia per “la Stampa”
Resteranno i marchi, i loghi dei Tg e anche i conduttori ma per l’informazione Rai sarà rivoluzione. Dopo «35 anni» - ha spiegato il direttore generale Luigi Gubitosi - «cade un muro», e dal muro, ovviamente, anche alcune poltrone e molte direzioni. Due soli direttori - tanto per cominciare - invece che 6, e 12 vice invece che 32: saranno loro a dirigere le due newsroom dell’informazione pubblica (votate oggi dal Cda Rai a Milano): una accorperà l’informazione del Tg1, Tg2 e Tg Parlamento, l’altra del Tg3, Tg Regionale e Rainews 24.
Il piano Rai (che non piace all’Usigrai, il sindacato interno dei giornalisti, «una riforma per non cambiare») si apre con le nuove sfide editoriali per approdare ai risparmi (dai 70 ai 100milioni di euro) che deriveranno dalla razionalizzazione interna e dall’utilizzo sistematico di sinergie tra reti. Non a caso, lo slogan più gettonato a viale Mazzini è, «liberare risorse per fare di più e meglio».
Ma basterà cambiare l’organizzazione dei Tg per fare di più e meglio? Certo - assicurano i vertici - era necessario «fare il primo grande passo». Ma «ci vuole più coraggio» come ha fatto capire ai suoi il premier Renzi. Insomma, per reggere la sfida della concorrenza ci vuole un’azienda «più leggera», meno gravata dai costi e soprattutto dalla politica. E proprio a questo lavora Renzi che ascolta i pareri di tutti ma alla fine deciderà in prima persona.
Nel frattempo, nel periodo di transizione (e forse anche durante la prorogatio del Cda attuale) tutti i direttori resteranno al loro posto, con tutte le edizioni dei singoli Tg. Ma fino a quando? E, soprattutto, chi siederà sulle due poltrone chiave dell’informazione? I bene informati raccontano che dei 6 direttori solo due resteranno in sella: Mario Orfeo (Tg1) e Monica Maggioni (Rainews).
Ma la partita resterà complicata almeno fin quando non sarà evidente il tipo di governance che avrà la nuova Rai. Una Rai, che vuole affrancarsi da ente pubblico per rafforzarsi sempre più come Spa (la quotazione in borsa di RaiWay rappresenta un punto di svolta) ed è pronta ad aprirsi al mercato, perché come dice Renzi - riferendosi all’offerta su RaiWay - «le operazioni di mercato vanno considerate per quelle che sono, non politiche ma di mercato».
Se questa, allora, è la premessa, la Rai per stare nel mercato non può che tagliare gli sprechi, accorciare la filiera produttiva, ridisegnare i criteri delle reti generaliste e affidarsi ad un management che riporti l’azienda nel perimetro del servizio pubblico. Da qui, anche la forte accelerata del governo verso la riforma. Con un punto fermo: accorciare il più possibile i tempi della trasformazione. Come?
Evitando l’ostruzionismo parlamentare. Per approvare la legge Gasparri, infatti, ci sono voluti circa 18 mesi. Troppi, per Matteo Renzi. Troppi per l’esecutivo, che lavora sì a un disegno di legge da inviare subito alle Camere con tempi contingentati (massimo due mesi) ma tiene pronto anche a un decreto legge per stralciare i criteri di nomina dei vertici qualora l’iter legislativo si arenasse. In questo modo entro l’estate si potrebbe arrivare a un nuovo Cda (con al massimo 5 esponenti) con un capo azienda pronto a chiudere la transizione e avviare sia il nuovo piano industriale che quello editoriale.
Un progetto che dovrà tener conto di eventuali alleanze (sinergie, riduzione dei costi, RaiWay-Ei Towers) ma anche di una nuova mission aziendale. Su queste ipotesi ragionano in molti, tanti almeno quanti i documenti che girano insieme ai possibili candidati per la poltrona più ambita di viale Mazzini: Franco Bernabé, Antonio Campo Dall’Orto, Vincenzo Novari ma anche Antonella Mansi ex presidente della Fondazione Monte dei Paschi di Siena.