1. ROBIN WILLIAMS SI È IMPICCATO NELLA NOTTE DI LUNEDÌ CON UNA CINTURA INTORNO AL COLLO, INCASTRATA ALLA PORTA DELL’ARMADIO DELLA CAMERA DA LETTO NELLA CASA DI SAN FRANCISCO. GLI SONO STATI TROVATI SUL POLSO SINISTRO DEI TAGLI E POCO DISTANTE UN COLTELLINO A SERRAMANICO CON DEL SANGUE RAPPRESO. E NESSUN BIGLIETTO 2. “ERA DEPRESSO E AVEVA PROBLEMI DI SOLDI, NON RIUSCIVA A PARLARE D’ALTRO. I DIVORZI LO AVEVANO PROSCIUGATO”. ERA SULL’ORLO DELLA BANCAROTTA IN PROCINTO DI VENDERE LA SUA TENUTA DI 35 MILIONI DI DOLLARI E PARTE DELLE SUE 50 BICI DA CORSA 3. WILLIAMS ERA IN CURA PER DEPRESSIONE, RIACUITA CON LA RICADUTA NELL’ALCOL, DAL 2006, DOPO QUASI 20 ANNI DI SOBRIETÀ, E DOPO UN PASSATO DI USO DI DROGHE: ERA STATO CON JOHN BELUSHI LA NOTTE IN CUI QUESTI MORÌ DI OVERDOSE NELL’82. “LA COCAINA È IL MODO DI DIO PER DIRTI CHE STAI FACENDO TROPPI SOLDI”, IRONIZZAVA WILLIAMS 4. IL MESE SCORSO L’ENNESIMA RIABILITAZIONE. MA DAL REHAB DICEVANO CHE ERA TROPPO TARDI, “ERA SCESO TROPPO, LUNGO LA CHINA, COME SAPEVA CHI GLI STAVA INTORNO

1. ROBIN WILLIAMS SI È IMPICCATO NEL GIALLO DELLA MORTE SOLDI E DEPRESSIONE

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Silvia Bizio per "La Repubblica"

 

La notizia della morte di Robin Williams gira veloce e scuote Hollywood. L’attore Oscar per Will Hunting, star planetaria per film come Mrs. Doubtfire , L’attimo fuggente , si è tolto la vita. Si è impiccato nella notte di lunedì con una cintura intorno al collo, incastrata alla porta dell’armadio della camera da letto nella casa di Tiburon, tranquillo quartiere a nord di San Francisco dove viveva con la terza moglie, Susan.

 

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Lo sceriffo di Marine County ha riferito che gli sono stati trovati sul polso sinistro dei tagli e poco distante un coltellino a serramanico con del sangue rappreso. E nessun biglietto. Ulteriori indagini diranno se ci fossero sostanze tossiche nel corpo. La chiamata alla polizia di Tiburon, era arrivata lunedì poco prima di mezzogiorno ora locale, quando l’assistente di Williams era giunta nell’abitazione dell’attore al 95 St.Thomas Way e aveva trovato il corpo senza vita.

 

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La moglie dell’attore, Susan, era uscita pensando che il marito dormisse, segno che avevano camere separate. Lo aveva visto vivo l’ultima volta alle 10.30 di domenica. Lo sceriffo ha ammesso che Williams era in cura per depressione, riacuita con la ricaduta nell’alcol, dal 2006, dopo quasi 20 anni di sobrietà, e dopo un passato di uso di droghe: era stato con John Belushi la notte in cui questi morì di overdose nell’82. «La cocaina è il modo di Dio per dirti che stai facendo troppi soldi», ironizzava Williams. Il mese scorso l’ennesima riabilitazione. Ma dal rehab dicevano che era troppo tardi, “era sceso troppo, lungo la china, come sapeva chi gli stava intorno”.

 

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Emergono anche altre verità. I due divorzi, da Valerie Velardi, madre del figlio Zachary, e da Marsha Garces, l’ex baby sitter di Zachary, con cui era stato sposato per 19 anni e da cui aveva avuto due figli, Zelda e Cody, pare gli siano costati più di 30 milioni di dollari.

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Nonostante nel 2012 Williams valesse circa 130 milioni di dollari, sembra infatti che proprio per via dei due costosi divorzi, era sull’orlo della bancarotta ed era in procinto di vendere la sua tenuta di 35 milioni di dollari e parte delle sue 50 biciclette da corsa. Ci restano quattro nuovi film: Una notte al museo 3che uscirà il 19 dicembre, Merry Friggin’ Christmas e il dramma di Dito Montiel Boulevard. Ora lo piange tutta Hollywood, dal cinema alla musica: da Obama a Sylvester Stallone, Arnold Schwarzenegger, Harrison Ford, Meryl Streep a Mel Gibson, Chevy Chase, Quincy Jones, Noel Gallagher, Rihanna.

 

ALCOL E DROGHE, LA VITA APPESA A QUELLA CINTURA

di Emiliano Liuzzi per "il Fattoquotidiano"

 

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   I motivi, se giri l’angolo, ci sono sempre. Spesso, e molto banalmente, li traduciamo nella maledizione del successo. Vero, almeno in parte. Ma più di ogni altra cosa è la maschera dell’attore che si incrocia con quella della persona e il non riuscire a distinguere l’uno dall’altro.

 

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Robin Williams si è suicidato nella sua casa di Tiburon, Baia di San Francisco, l’altra mattina. La sua assistente - la moglie non era a casa dal giorno prima - lo ha trovato alle 11.55. Alle 12.02, arrivati i soccorsi, è stato dichiarato morto. Non ha lasciato nessun biglietto. Solo un ultimo tweet, per la figlia, 12 giorni fa. E la figlia ieri gli ha risposto, sempre via Twitter: “Papà ti voglio bene, mi mancherai, cercherò di guardare lassù”.

 

Ieri, il mondo, si è accorto di quello che aveva perso: un genio, funambolo, l’uomo che ha cambiato anche il modo di fare tv, come scrive il New York Times, ma che in vita è stato relegato nella categoria dei sottovalutati. Non ordinario, imprervedibile. Senza controllo.

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   Per robin Williams - come per i suoi amici John Belushi e Seymour Hoffman - la prima maledizione è stata la droga, intesa come cocaina, ma anche alcol. Al punto da non riuscire a disintossicarsi, soprattutto dalla bottiglia. La sua vita è stata un alzarsi e ricaderci.

 

A questi problemi vanno aggiunti quelli economici, come ha raccontato un amico al New York Post: “Era depresso e aveva problemi di soldi, non riusciva a parlare d’altro. I divorzi lo avevano prosciugato”. Eppure, fino al 2012, Forbes aveva calcolato il suo patrimonio in 130 milioni di dollari. I suoi film hanno incassato miliardi. Ma aveva problemi di liquidità, tanto da accettare un parte in tv, alla Cbs e vendere la sua proprietà più importante. Per andare avanti aveva attinto anche da un fondo – sempre il New York Post – da un fondo che aveva creato per i tre figli. In una delle ultime foto, con una fan, è molto dimagrito e ha il viso sofferente.

 

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   ALCOL. SOLDI. L’incapacità di incontrare la vita reale. Quando Williams trova fama e popolarità è già imbottito della cocaina, che scorre a fiumi allo Studio 54 di New York, dove Andy Wahrol lo voleva accanto come gli altri giullari di corte. Quando gira Mork & Mindy non se la passa meglio. È lui stesso a raccontarlo in tv: “A volte ero in condizioni che mi addormentavo sdraiato sul set. Poi il regista mi rifilava un calcio per svegliarmi e mi avvisava che servivo dall’altra parte dello stage. Non ricordo molto di quegli anni, non mi facevo di camomilla”.

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   Lo ricorda Bob Woodword, il premio Pulitzer del Watergate , quando scrive la biografia di John Belushi, tradotta in italiano col titolo Chi tocca muore: Robin Williams è l’ultima persona, oltre al pusher, a vedere Belushi vivo allo Chateau Marmont di Los Angeles, dove l’altro genio sprecato, Belushi appunto, morirà di lì a breve.

 

Paradossale quanto fossero uguali e di conseguenza amici, in un mondo, quello della cinematografia, dove l’amicizia non è contemplata. Uguali perché cantano, suonano, recitano in maniera divina, meglio di chiunque altro: uno, Williams, avvolto dai peli e con le metamorfosi vocali come nessuno è capace, l’altro quasi un pupazzo di gomma nel fisico, imperdibile quando imita Marlon Brando e Joe Cocker.

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Sul set che corre tra la fine degli anni Settanta e l’inizio degli anni Ottanta, sia Williams sia Belushi hanno un problema in comune: la dipendenza da alcol e droghe. In quegli anni Belushi riesce a malapena a girare Blues Brothers, che diventerà un culto, ma più di una volta lui e il regista, John Landis, arrivano alle mani. Perché Belushi è stracolmo di roba e non ce la fa a girare le scene. Quello stesso anno Williams gira Popeye con Robert Altman, ma i problemi sono i medesimi.

 

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   Belushi ci lascerà la pelle e, Williams, per tutta risposta al dolore, continuerà a farsi di più. Lo segnerà la morte di Belushi, in maniera quasi indelebile. Come avverrà con l’incidente di Christopher Reeve, l’attore di Superman, altro grande amico di anni sgangherati.

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La persona che gli resterà a fianco, umanamente e a suon di milioni di dollari per l’assistenza medica, è ancora Williams. E siamo ancora all’eccezione nel fantastico mondo di Hollywood, fatto di magnaccia, puttane e spacciatori di droga che assumo ruoli di produttori, registi, dirigenti degli Studios. Poco cambia. È il Sunset Boulevard, il viale del tramonto, lo per tutti.

 

   Williams si trasferisce da subito a San Francisco, l’unico luogo dove riesce a sopravvivere, come scrive nell’edizione di ieri il San Francisco Chronicle. New York lo avrebbe ammazzato molto prima, a Tiburon, che è un villaggio ricovero, case basse in riva alla Baia, strade silenziose e piccoli supermarket, talvolta accudito dai figli, ce la fa. Tra alti e bassi, ovviamente, cliniche per disintossicarsi, matrimoni (tre) e figli, sempre tre. “Se ti ricordi degli anni Sessanta non li hai vissuti”, diceva.

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Cuore enorme, ma al potere non guardava in faccia. Più volte si è preso gioco di George W. Bush. Diceva “Ha un auricolare, anche se alza un braccio non è decisione sua”. Ha mal sopportato, senza mistero Arnold Swarzenegger candidato governatore della California, nel 2003: “In pratica abbiamo un palestrato, un nano nero e un’attrice porno. È l’Isola di Gilligan vista da Russ Meyer. Con noi si sono complimentati anche gli italiano, e loro lo sanno perché hanno eletto Cicciolina”.

 

   Rimarrà anche questo, un piccolo manuale dell’attor comico. E il rimpianto che Hollywood non l’abbia messo davanti a una grande prova, da storia del cinema. E l’Italia, alla fine, non abbia avuto modo di sfruttarlo, come in un lontano passato fecero i Fellini e i Visconti con altri attori americani. Purtroppo i cineasti non ci sono più e da oggi scarseggeranno anche gli attori.

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