LA ROMA DEI GIUSTI - UNA DOMENICA NON COSÌ BRILLANTE PER LA FESTA DEL CINEMA DI ROMA: BELLA LA COMMEDIA FRANCESE "LA VALLÉE DES FOUS", HA UNA STORIA ECCELLENTE E DEI PERSONAGGI INEDITI. SONO BUONI IL SOGGETTO E SCENEGGIATURA. CI VUOLE TANTO A FARE DEL BUON CINEMA? - HO VISTO ANCHE CON GRAN PIACERE IL DOCUMENTARIO DI LUCA VERDONE SUL PADRE MARIO, INTITOLATO "MARIO VERDONE: IL CRITICO VIAGGIATORE". LA PARTE PIU' INTERESSANTE E'...
Marco Giusti per Dagospia
E’ una domenica non così brillante per la Festa del Cinema di Roma. Ma devo dire che qualcosa di buono l'ho visto. Intanto è piuttosto buona la commedia famigliare francese, presentata solo al Festival di Angoulame, “La vallée des fous”, diretta da Xavier Beauvois, regista di “Uomini e Dio”, perché sono piuttosto buoni soggetto e sceneggiatura, scritta dallo stesso regista con Gioacchino Campanella e Marie Julie Maille.
Siamo nel nord della Francia, in provincia, in una cittadina sul mare, e il padrone di un ristorante tradizionale, Jean-Paul Rouve, ha pesanti problemi economici, una figlia, Madeleine Beauvois, da crescere da solo assieme al vecchio padre, un o strepitoso Pierre Richard in versione vecchio marinaio, e un serio problema con l’alcool. Per cercare di risolverli tutti, guadagnando una cifra insperata, decide di partecipare a una regata virtuale.
Non mi chiedete come, ma credo via Internet, chiuso nella barchetta che tiene in giardino. Per tre mesi ha deciso di segregarsi lì dentro, con solo due bottiglie di vino. Ce la farà? Non ce la farà? Il vecchio nonno, per salvare la locanda, ha chiamato il nipote chef, che non ha affatto un buon rapporto col padre. E’ una commedia, con una buona storia, inedita, con dei buoni personaggi. Inediti. Ci vuole tanto a fare del buon cinema?
Ho visto anche con gran piacere il documentario di Luca Verdone sul padre Mario, intitolato “Mario Verdone: il critico viaggiatore”, prodotto da Laurentina Guidotti e Conchita Airoldi. Si è mai girato, in Italia, un documentario su un critico? Mi sembra di no. Neanche su Gian Luigi Rondi, discusso decano della categoria, né su Pietro Bianchi, né su Adriano Aprà. Certo, Mario Verdone, oltre che critico e storico del cinema, ha molto lavorato sul circo e sul Futurismo, e soprattutto è padre di Luca, di Carlo e di Silvia Verdone, a sua volta sposata con Christian De Sica. Diciamo che quetso fa la differenza.
Ma la parte più interessante del documentario, che è un sincero e serio omaggio di tutti i figli al padre, scomparso ormai da una decina d’anni, è il suo rapporto con Siena, dove era nato e cresciuto, e con i senesi.
Ora, personalmente adoro, perché non ho mai sentito un documentario italiano che riporta a gallo nomi ormai scomparsi come Mario Gromo, Fernaldo Di Giammatteo, che mi fece scrivere il mio primo libro di cinema a 22 anni, una monografia su Laurel&Hardy, che La Nuova Italia mi pagò 600 mila lire (e mi sembrarono moltissime), Floris L. Ammannati, Aldo Tassone in versione prete, ma le perle del documentario sono le interviste ai vecchi amici e intellettuali senesi e non del periodo. Il poeta Elio Pecora, l’ex-sindaco Borzanti, un favoloso Franco Ferrarotti che spiega che un buon critico si costruisce solo se c’è "profondità nelle radici”, un incredibile direttore di museo del quale non ricordo il nome, i sostenitori della Contrada della Selva, la contrada dove era nato Mario.
MARIO VERDONE - IL CRITICO VIAGGIATORE
C’è un bellissimo repertorio di Mino Maccari, altro amico senese. Tra le tante storie che Luca e Carlo tirano fuori c’è quella di Chaplin che arriva in Italia, al Centro Sperimentale, e il padre gli fa autografare l’autobiografia dei tre Fratellini, celebri clown italo-francesi di prima della guerra. E, visto che si trovava lì, fa firmare il libro anche a Federico Fellini, altro appassionato di circo.
Luca e Carlo spiegano anche che il padre perse il posto, su un giornale cattolico, ora scomparso, per aver difeso a spada tratta “La dolce vita” di Fellini contro quella che ne scriveva la Chiesa, che aveva visto il film come il male assoluto. Christian De Sica ci parla invece dei rapporti tra il padre Vittorio e il suocero al tempo di “Ladri di biciclette”. Viene fuori un documentario che non brilla, magari per originalità, ma dove tante cose che abbiamo studiato e persone che abbiamo conosciuto nel Novecento e che oggi ci sembrano così lontano, tornano a prendere vita. Ma non mi ricordo i colori della Selva.