TE LO DO IO IL SOCIALISMO! - IL REGISTA CECO MILOS FORMAN LE CANTA (E LE SUONA) AI REPUBBLICANI, CHE ACCUSANO OBAMA DI “SOCIALISMO” - “NON SANNO QUEL CHE DICONO. IL SOCIALISMO NON ERA SEMPLICEMENTE UN GOVERNO CENTRALIZZATO, MA UN SISTEMA DI SACCHEGGIO CHE HA DISTRUTTO TUTTO IN NOME DELLA GIUSTIZIA SOCIALE” - “IL NOSTRO FINE DEV’ESSERE INVECE L’ARMONIA SOCIALE”…

Articolo di Milos Forman per "The New York Times" pubblicato da "la Repubblica - Traduzione di Elisabetta Horvat

Quando mi fu proposta la regia di "Qualcuno volò sul nido del cuculo", i miei amici mi sconsigliarono vivamente di accostarmi a quel soggetto. A parer loro, era una storia troppo americana per me, sbarcato di fresco dalla nave: pensavano che non avrei saputo renderle giustizia; e si meravigliarono quando spiegai il motivo per cui tenevo tanto a quel film. Per me non era solo letteratura ma vita reale: quella che avevo vissuto in Cecoslovacchia dalla mia nascita, nel 1932, fino al 1968. La mia Nurse Ratched era il Partito comunista, che mi diceva ciò che potevo o non potevo dire e fare, dove potevo o non potevo andare, e persino chi ero.

Oggi, a tanti anni di distanza, sento che il termine "socialista" viene brandito e scagliato come un'arma da personaggi quali Rick Perry, Newt Gingrich, Rich Santorum, Sean Hannity, Rush Limbaugh e altri. Ci avvertono: «Il presidente Obama è un socialista!». Strillano: «Obamacare è socialismo!», confondendo le forme di socialismo dell'Europa occidentale - previdenza sociale, copertura sanitaria a carico dello Stato - col totalitarismo marxista-leninista. Questa mistificazione mi offende, anche perché snatura in senso riduttivo l'esperienza di milioni di persone che hanno subito e continuano a subire il socialismo nelle sue forme più brutali.

Il padre di mia cognata, Jan Kunasek, è sempre vissuto in Cecoslovacchia. Apparteneva al ceto medio e gestiva una minuscola locanda in un piccolo villaggio. Una sera d'inverno del 1972, durante una bufera di neve, un uomo inzuppato fino al midollo, che aveva tutta l'aria di un poveraccio, lo svegliò alle due del mattino. Mentre chiedeva un riparo non smise mai di maledire il comunismo.

Mosso da compassione, l'anziano Kunasek gli offrì un letto per la notte; ma qualche ora dopo fu nuovamente svegliato, stavolta da tre poliziotti in borghese. Arrestato, fu accusato di aver dato alloggio a un terrorista, e condannato a vari anni di lavori forzati nelle miniere di uranio. Nel frattempo lo Stato confiscò i suoi averi. Infine fu rilasciato, malato e senza un soldo, e morì nel giro di poche settimane. Anni dopo abbiamo appreso che il visitatore notturno era un collaboratore della polizia. Per i comunisti, Kunasek era un nemico di classe, e meritava di essere punito.

Dal canto mio mi sono trovato in una situazione meno deprimente ma altrettanto assurda. Nei primi anni 1950 avevo trovato un secondo lavoro come moderatore presso la tv ceca, dove curavo la presentazione dei film. Dato che le trasmissioni erano in diretta, ogni commento politicamente indesiderato sarebbe stato comunque impossibile: anche nei casi di sedicenti interviste spontanee, non poteva essere pronunciata una sola parola che non fosse preventivamente scritta per essere sottoposta alla censura e quindi mandata a memoria e ripetuta alla lettera in trasmissione.

Mi ero preparato a intervistare un grosso esponente del partito, un certo compagno Homola; gli avevo mandato un elenco di domande, ma non avevo ricevuto risposta. Il mio capo, lui pure un membro influente del partito, mi spiegò che Homola era pigro: «Scrivile tu, le risposte - mi disse - E ricordagli di impararle a memoria». Eseguii fedelmente.
Homola arrivò all'ultimo momento.

La luce rossa era già accesa quando iniziai con la prima domanda. Lui si cavò di tasca un foglietto con le mie risposte e incominciò a leggerle pedestremente, ripetendo persino gli errori di grammatica che mi erano sfuggiti. Andò avanti così, con mia costernazione, per tutta la durata dell'intervista. Il mio capo incominciò a battere colpi contro il soffitto della cabina di regia. Il giorno dopo fui licenziato con l'accusa di aver messo in ridicolo un rappresentante dello Stato.

Tornando a Barack Obama, quali che siano i suoi errori, non riesco a vedere in lui nulla di simile al socialismo; e grazie a Dio, non ravviso in questa grande nazione alcun segno
che ricordi quel regime. Il presidente Obama è stato accusato di aver voluto estendere i campi di competenza governativa alla sanità, alla regolamentazione del settore finanziario, all'industria automobilistica e così via. È giusto chiedersi se sia il caso di espandere i poteri dello Stato federale: agli Stati Uniti d'America va riconosciuto il merito di aver sempre favorito il dibattito, fin dal giorno della loro fondazione.

Ma bisogna avere ben chiaro ciò che nel socialismo può fare veramente paura. Marx aveva creduto nella possibilità di cancellare le sperequazioni sociali, e Lenin sperimentò queste idee nell'Unione Sovietica. Il suo sogno era creare una società senza classi; ma come sempre avviene, questo sogno si scontrò con la realtà, con risultati devastanti. Le strade della Russia furono inondate di sangue.

L'élite sovietica usurpò tutti i privilegi; ai sicofanti ne fu concesso qualcuno, mentre le plebi non ebbero nulla. E tutto il blocco dei Paesi dell'Est, Cecoslovacchia compresa, seguì quell'esempio nel modo più abbietto. Non so fino a che punto gli americani di oggi si rendano conto di quanto il socialismo fosse predatorio. Non era, come vorrebbero i detrattori di Obama, semplicemente un governo centralizzato, tronfio e vessatorio nei confronti delle imprese private; era uno spoils system, un sistema di saccheggio che ha distrutto tutto in nome della "giustizia sociale".

Lo scopo per cui dovremmo impegnarci non è una giustizia sociale perfetta, che non è mai esistita né mai esisterà. Il nostro fine dovrebbe essere l'armonia sociale. Per sua natura, in musica l'armonia è pace e letizia. In un'orchestra, i vari strumenti suonano insieme concorrendo a esprimere una melodia che li coinvolge tutti.

Oggi quest'insieme miracoloso di voci diverse che è la nostra democrazia ha un disperato bisogno di unità. Se tutti gli orchestrali partecipano suonando al meglio la loro parte e si impegnano per il bene comune, possiamo raggiungere quell'armonia che i progetti dottrinari del comunismo non tenevano in alcun conto.

Ma se una sola sezione, o anche un solo strumento sbaglia l'intonazione, la musica degenera in cacofonia. Io non chiedo né a Obama, né ai leader repubblicani di smettere di suonare gli strumenti di loro scelta. Vorrei solo che ognuno degli esecutori abbia sempre in mente la nobile melodia del nostro Paese. Altrimenti le dissonanze rischiano di diventare tanto rumorose da risvegliare un altro Marx, o magari qualcosa di peggio.

 

milos formanMilos Forman milos forman milos forman BARACK OBAMA A BOCCA APERTA MITT ROMNEY CON LA MOGLIE ANN BARACK OBAMA BARACK OBAMA E MITT ROMNEY BARACK OBAMAROMNEY CON LA MOGLIE article ROMNEY

Ultimi Dagoreport

andrea orcel gaetano caltagirone carlo messina francesco milleri philippe 
donnet nagel generali

DAGOREPORT - COSA FRULLAVA NELLA TESTA TIRATA A LUCIDO DI ANDREA ORCEL QUANDO STAMATTINA ALL’ASSEMBLEA GENERALI HA DECISO IL VOTO DI UNICREDIT A FAVORE DELLA LISTA CALTAGIRONE? LE MANGANELLATE ROMANE RICEVUTE PER L’OPS SU BPM, L’HANNO PIEGATO AL POTERE DEI PALAZZI ROMANI? NOOO, PIU' PROBABILE CHE SIA ANDATA COSÌ: UNA VOLTA CHE ERA SICURA ANCHE SENZA UNICREDIT, LA VITTORIA DELLA LISTA MEDIOBANCA, ORCEL HA PENSATO BENE CHE ERA DA IDIOTA SPRECARE IL SUO “PACCHETTO”: MEJO GIRARLO ALLA LISTA DI CALTARICCONE E OTTENERE IN CAMBIO UN PROFICUO BONUS PER UNA FUTURA PARTNERSHIP IN GENERALI - UNA VOLTA ESPUGNATA MEDIOBANCA COL SUO 13% DI GENERALI, GIUNTI A TRIESTE L’82ENNE IMPRENDITORE COL SUO "COMPARE" MILLERI AL GUINZAGLIO, DOVE ANDRANNO SENZA UN PARTNER FINANZIARIO-BANCARIO, BEN STIMATO DAI FONDI INTERNAZIONALI? SU, AL DI FUORI DEL RACCORDO ANULARE, CHI LO CONOSCE ‘STO CALTAGIRONE? – UN VASTO PROGRAMMA QUELLO DI ORCEL CHE DOMANI DOVRA' FARE I CONTI CON I PIANI DELLA PRIMA BANCA D'ITALIA, INTESA-SANPAOLO…

donald trump ursula von der leyen giorgia meloni

DAGOREPORT - UN FACCIA A FACCIA INFORMALE TRA URSULA VON DER LEYEN E DONALD TRUMP, AI FUNERALI DI PAPA FRANCESCO, AFFONDEREBBE IL SUPER SUMMIT SOGNATO DA GIORGIA MELONI - LA PREMIER IMMAGINAVA DI TRONEGGIARE COME MATRONA ROMANA, TRA MAGGIO E GIUGNO, AL TAVOLO DEI NEGOZIATI USA-UE CELEBRATA DAI MEDIA DI TUTTO IL MONDO. SE COSÌ NON FOSSE, IL SUO RUOLO INTERNAZIONALE DI “GRANDE TESSITRICE” FINIREBBE NEL CASSETTO, SVELANDO IL NULLA COSMICO DIETRO AL VIAGGIO ALLA CASA BIANCA DELLA SCORSA SETTIMANA (L'UNICO "RISULTATO" È STATA LA PROMESSA DI TRUMP DI UN VERTICE CON URSULA, SENZA DATA) - MACRON-MERZ-TUSK-SANCHEZ NON VOGLIONO ASSOLUTAMENTE LA MELONI NEL RUOLO DI MEDIATRICE, PERCHÉ NON CONSIDERANO ASSOLUTAMENTE EQUIDISTANTE "LA FANTASTICA LEADER CHE HA ASSALTATO L'EUROPA" (COPY TRUMP)...

pasquale striano dossier top secret

FLASH – COM’È STRANO IL CASO STRIANO: È AVVOLTO DA UNA GRANDE PAURA COLLETTIVA. C’È IL TIMORE, NEI PALAZZI E NELLE PROCURE, CHE IL TENENTE DELLA GUARDIA DI FINANZA, AL CENTRO DEL CASO DOSSIER ALLA DIREZIONE NAZIONALE ANTIMAFIA (MAI SOSPESO E ANCORA IN SERVIZIO), POSSA INIZIARE A “CANTARE” – LA PAURA SERPEGGIA E SEMBRA AVER "CONGELATO" LA PROCURA DI ROMA DIRETTA DA FRANCESCO LO VOI, IL COPASIR E PERSINO LE STESSE FIAMME GIALLE. L’UNICA COSA CERTA È CHE FINCHÉ STRIANO TACE, C’È SPERANZA…

andrea orcel francesco milleri giuseppe castagna gaetano caltagirone giancarlo giorgetti matteo salvini giorgia meloni

DAGOREPORT - IL RISIKONE È IN ARRIVO: DOMANI MATTINA INIZIERÀ L’ASSALTO DI CALTA-MILLERI-GOVERNO AL FORZIERE DELLE GENERALI. MA I TRE PARTITI DI GOVERNO NON VIAGGIANO SULLO STESSO BINARIO. L’INTENTO DI SALVINI & GIORGETTI È UNO SOLO: SALVARE LA “LORO” BPM DALLE UNGHIE DI UNICREDIT. E LA VOLONTÀ DEL MEF DI MANTENERE L’11% DI MPS, È UNA SPIA DEL RAPPORTO SALDO DELLA LEGA CON IL CEO LUIGI LOVAGLIO - DIFATTI IL VIOLENTISSIMO GOLDEN POWER DEL GOVERNO SULL’OPERAZIONE DI UNICREDIT SU BPM, NON CONVENIVA CERTO AL DUO CALTA-FAZZO, BENSÌ SOLO ALLA LEGA DI GIORGETTI E SALVINI PER LEGNARE ORCEL – I DUE GRANDI VECCHI DELLA FINANZA MENEGHINA, GUZZETTI E BAZOLI, HANNO PRESO MALISSIMO L’INVASIONE DEI CALTAGIRONESI ALLA FIAMMA E HANNO SUBITO IMPARTITO UNA “MORAL SUASION” A COLUI CHE HANNO POSTO AL VERTICE DI INTESA, CARLO MESSINA: "ROMA DELENDA EST"…