1. SOLDI A CATINELLE! 8 MILIONI DI EURO IN 2 GIORNI. A FINE WEEKEND SI PREVEDE CHE CHIUDA A 15/16. PER IL PRODUTTORE VALSECCHI ANDRÀ ANCHE OLTRE I 49 DEL FILM PRECEDENTE 2. QUESTO INCASSO PAUROSO, CHE FA ROSICARE TUTTO IL CINEMA SOVVENZIONATO E PICCOLO BORGHESE DE’ NOANTRI, VUOL DIRE CHE CHECCHO ZALONE HA UN PUBBLICO TRASVERSALE E, SOPRATTUTTO, CHE LA CRISI DEL CINEMA ITALIANO E' UNA CRISI DI IDEE E DI FILM 3. ALLA FACCIA DEI TANTI CRITICI RADICAL-MUFFA CHE HANNO STORTO IL NASO NON CAPENDO LA FORZA DEL FILM. "REPUBBLICA" NEI GIORNI DELL'USCITA DEL FILM, LIQUIDATO CON UN “NON È CINEMA", HA PREFERITO TRATTARE TEMI CULTURALMENTE FRESCHI COME L'AMORE DI JULIETTE GRECO PER JACQUES BREL E MANDARE CURZIO MALTESE A INTERVISTARE MARIO MARTONE SUL SUO FILM SU LEOPARDI

Marco Giusti per Dagospia

Soldi a catinelle. Se al primo giorno d'uscita il nuovo film di Checco Zalone, "Sole a catinelle", segnava l'incasso incredibile di 2 milioni 300 mila euro, al secondo giorno ha gia' battuto ogni record con altri 5 milioni e 700 mila euro. A fine settimana si puo' prevedere che chiuda a 15-16 milioni e non sappiamo realmente a quanto possa chiudere in totale. Anche oltre i 49 del film precedente.

Ovvio che c'e' un effetto di Checcomania, di fenomeno sociale, come e' ovvio che pesino parecchio le 1300 copie di distribuzione a tappeto. Ma questo incasso pauroso vuol anche dire che Checco ha un pubblico trasversale, che prende cioe' qualsiasi fascia sociale, che c'era una grande aspettativa dopo due anni di attesa e, soprattutto, che la crisi del cinema italiano e' soprattutto una crisi di idee e di film.

Non e' vero cioe' che c'e' un rifiuto totale per il nostro cinema e non esiste un pubblico, ma e' vero che se sai comunicare con un film divertente e intelligente, quel pubblico lo trovi e lo porti al cinema, esattamente come lo trovano i grandi cartoni animati americani che da qualche tempo dominano il mercato.

Alla faccia dei tanti critici che hanno storto il naso non capendo la forza del film, che puntava proprio a temi attuali come la crisi, la fine del berlusconismo, e non capendo la forza di Checco. "Anche lui sa che non è cinema", ho letto da qualche parte, mentre il pur attento Mereghetti gli ha offerto solo due palle pur ammettendo qualche divertimento.

Per non parlare di "Repubblica" che nei giorni dell'uscita del film ha preferito mandare Curzio Maltese a intervistare Mario Martone sul suo film su Leopardi che occuparsi della bassezza dei comici. E' un po' questo assurdo snobismo che porta il pubblico a riempire le sale di "Sole a catinelle" e a trovare cosi' invecchiati i nostri giornali, cosi' occupati a trattare temi culturalmente freschi come l'amore di Juliette Greco per Jacques Brel, l'ultimo libro del novantenne Scalfari, l'ultimo film dell'ottantenne Polanski.

Piu' che pensare a come prepensionare i propri giornalisti per aumentare i dividendi degli azionisti, i nostri maggiori giornali, esattamente come i nostri cineasti e i nostri produttori dovrebbero cercare di essere in sintonia con un paese che ha bisogno di leggere qualcosa di piu' fresco e interessante soprattutto nelle pagine culturali.

Ma ci voleva davvero Luca Medici alias Checco Zalone da Capurso per entrare in contatto con gli italiani, con un pubblico che sembrava scomparso? Possibile che non sia chiaro da tempo a tutti che il pubblico non ne puo' piu' del nostro cinema piccolo borghese dove non si affrontano mai i problemi della societa' ma solo rimandi felliniani, grandi temi scalfariani, mal di pancia generazionali per non parlare delle commedie remake di altre commedie spagnole o francesi. Che bisogno abbiamo di questa muffa?

Checco affronta in maniera semplice e diretta, magari un po' zavattiniana, la crisi del paese e del berlusconismo. Ci ride anche su. Non sempre il film suo e di Gennaro Nunziante e' perfetto, ma chi se ne frega, visto che si ride e si pensa sempre e c'e' poco e niente di gia' visto. E non ci sono vecchiumi da Corriere e Repubblica.

Il pubblico accorre e tutto il cinema italiano sovvenzionato e piccolo borghese rosica. Magari non sara' la rinascita del nostro cinema, ma il segnale che a sbagliare non e' il pubblico e che c'e' ancora una canale aperto di comunicazione si'. Come il segnale che molto si puo' ancora dire e fare col vecchio cinema.

 

 

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