1- SIETE SENZA LAVORO? IL CINEMA E LA TV NON VI FILANO PIU’? I SETTIMANALI DEL GOSSIP HANNO DIMENTICATO IL VOSTRO NOME? C’E’ UN SALVAGENTE: LANCIARE UNA GRIFFE 2- LA MODA VA DI MODA SOPRATTUTTO TRA GLI SVIPPATI INVECCHIATI ED ESODATI CHE SI AGITANO A FIRMARE COLLEZIONI DI ABITI, BIJOUX, MUTANDE E SCARPE DISEGNATI DA “MANI AMICHE” 3- DALLA PASSERA ALLE PASSERELLE, NUOVA VITA PER KATE MOSS E VICTORIA BECKHAM, BEYONCE’ (CON MAMMA’) E LE GEMELLINE OLSEN, PARIS HILTON E VALERIONA MARINI E BELEN 4- A LONDRA L’EX DIRETTORE DEL ‘DAILY EXPRESS’ HA LANCIATO UNA LINEA DI PIGIAMI E CAMICIE
Fabiana Giacomotti per "il Foglio"
Nella top range delle panzane a scopi autopromozionali, il primo posto spetta di diritto alle miss e alle modelle iscritte alla selezione a loro insaputa dal fidanzato/la mamma/le amiche (le amiche certamente), in quanto ciascuna di loro avrebbe preferito in realtà continuare gli studi da secchiona negletta, sentendosi infatti "troppo alta e troppo magra".
Il secondo posto spetta, o perlomeno fino a oggi spettava, alle stesse modelle che, una volta entrate nel novero delle ex o al limite della messa a riposo, decidevano di lanciare la linea di lingerie/tutine per casa e ginnastica/sottovesti che "avevano sempre cercato e mai trovato in boutique", essendo evidentemente quei mille o giù di lì stilisti di discreta fama, da Giorgio Armani e Oscar de la Renta a Mary Katrantzou, insufficienti a soddisfarne le raffinate esigenze estetiche e quindi la generosa volontà di renderle disponibili al resto del mondo per un modico prezzo.
In questi ultimi dieci anni, noi della stampa modaiola siamo stati invitati ad ammirare tute di ciniglia da mercato rionale, sottovesti in sintetico da bordello orientale e una lunga serie di oggetti spiritosi firmata da quel ricco e mutevole sostrato televisivo che transita fra lo stile e la moda senza mai conquistare nessuno dei due.
Fino all'altro ieri, appunto, quando l'ex direttore del quotidiano pop Daily Express, un cagnaccio che qualche anno fa mi si presentò a una cena a Londra come "Peter Hill, ma la mia redazione mi chiama Peter the mentally ill", e giù una risata gutturale sull'assonanza fonetica fra il nome di famiglia e la pazzia, tanto che per non rischiare di scatenare qualche reazione inconsulta annuii vigorosamente a ogni sua affermazione per le due ore filate che gli stetti seduta a fianco, mi ha mandato una mail affettuosa per segnalarmi il lancio della sua linea di pigiami e camicie da notte.
La mail era accompagnata da qualche immagine di una serie di sacchi grigi e informi a eccezione del colletto a punta di lancia, quello sì rigido come un guerriero alla battaglia di Hastings, nati "dall'esigenza, molto sentita nella mia famiglia, di un abbigliamento di stile per la notte, che in tanti anni di ricerche non abbiamo mai visto".
E subito pareva di vederla, la povera famiglia Hill ritratta in un secondo invio da quello che invece sembra un abilissimo fotografo, perlustrare ogni sabato instancabilmente strade, piazze e vicoletti di Londra alla ricerca del Sacro Graal della notte elegante e confortevole.
Per un istante, memore di una tirata contro le donne italiane e le donne occidentali in genere che accettano supine un'immagine pubblicitaria svilente del proprio sesso senza protestare e senza boicottare i marchi che la propongono, compreso quello dell'ospite della serata (si era alla presentazione del calendario Pirelli fotografato da Terry Richardson, uno che notoriamente non va per il sottile con docce sulle magliette, rivoli di latte, anguille e galline), ho avuto la tentazione di rispondere che se si fosse spinto fino a Savile Row, varcando la soglia di Pink o di Gieves & Hawkes, qualche pigiama di cotone accettabile l'avrebbe trovato, visto che negli anni pre-crisi gli italiani hanno preso l'aereo almeno una volta all'anno per farseli confezionare su misura solo lì, ma ho cambiato subito idea: sarebbe stato come dire a Valeria Marini che se per una volta indossasse un vestito identificabile come tale, magari riuscirebbe a piazzare in qualche boutique degna del nome qualcuna delle sottovesti che si fa confezionare fuori Milano e che si ostina a indossare anche alla Prima della Scala.
Cose che non si dicono se non per esigenze narrative, perché in fondo sappiamo tutti che da queste iniziative nessuno si aspetta di guadagnare, tanto meno le aziende di provincia che le propongono e le producono: sono un modo per farsi pubblicità sui giornali e per mantenere una discreta visibilità senza dover anche pagare la campagna pubblicitaria al creativo (la starlet di solito è piuttosto creativa di suo e comunque più abile di un qualunque pubblicitario d'agenzia a giostrarsi fra scoop ed esclusive).
Per puro ozio, ho fatto una verifica. Esclusa Elle MacPherson, che si avvicina ai cinquant'anni mantenendo la linea che le aveva guadagnato il soprannome di "the body" pressoché intatta e un patrimonio stimato da Forbes in 45 milioni di dollari alimentato costantemente dai risultadi Fabiana Giacomotti ti finanziari della sua linea di costumi, oppure Kate Moss che senza alcun dubbio trasforma in una boutique di lusso qualunque grande magazzino su cui accetti di concentrare il proprio interesse e anche la moglie di David Beckham, l'ex Spice Victoria che ormai sfila a New York con la sua linea di abbigliamento e accessori davvero ben tagliati, ben costruiti e molto ben disegnati, chiunque ne sia l'autore, le cronache dell'ultimo decennio riportano una serie ricchissima e multicolorata di lanci macroscopici finiti nel nulla o nel dimenticatoio mediatico che forse è anche peggio.
In ordine sparso: Beyoncé e mammà con una collezione di abiti da sera da festa aziendale della Ford a Detroit; le gemelline Olsen con varie iniziative combinate ma soprattutto scoordinate; Paris Hilton con una serie di microabiti e gadget da Lolita soddisfatta di sé e del proprio ascendente su Humbert Humbert (a proposito, che fine ha fatto Paris dopo essere riuscita a strappare un contratto pubblicitario perfino a Vodafone "li volio tiutti"?).
Tutte a modo loro iniziative strampalate ma almeno gestite da star della passerella e del cinema o del materasso, però, mentre il caso-Hill è davvero un inedito, perché se si toglie "la camicia coi baffi" di Maurizio Costanzo e le eleganze comparate di Gad Lerner e Vittorio Feltri in una vecchia campagna su cui inveirono i colleghi invidiosi e l'Ordine prima di scoprire che ogni compenso era stato devoluto in beneficenza, non sono dati casi di giornalisti, tanto meno di direttori di quotidiani, che una volta imboccata la strada della pensione scelgano di mettere mano alla matita da disegno invece che alla penna per l'editoriale della domenica.
I camicioni di Peter Hill, battezzati Mallory Hill in una crasi fra l'alpinista vittoriano George Mallory e il nome di famiglia, che evidentemente ricompare per qualunque imprinting si renda necessario, sono davvero brutti e del tutto privi dello stile e del gusto che il loro creatore dichiara di non aver trovato altrove, per nostra fortuna, ma non è questo il punto: il punto è che una starlet senza prospettive a lunga scadenza come Paris Hilton, una conduttrice televisiva di grande valore come Simona Ventura e un giornalista di rango come Hill abbiano tutti sentito l'esigenza, a un certo punto della loro carriera, di dar di che vestire al mondo senza un minimo di esperienza specifica e, vogliamo dirlo?, senza neanche possedere uno stile e un gusto personale tali da giustificarlo.
Il fatto stesso che queste iniziative abbiano raramente alle spalle la spinta promozionale e costruttiva di una grande multinazionale (gente come il patron di Lvmh Bernard Arnault potrà anche cadere nell'errore mediatico di querelare Libération che lo accusa di voler spostare la residenza in Belgio a fini fiscali, ma si è sempre ben guardato dall'affidare i suoi marchi a professionisti improvvisati o dal buttare soldi in operazioni senza prospettive a lunga scadenza), ma aziende semisconosciute con la liquidità di cassa appena sufficiente a dar lustro al titolare ne dimostra l'assoluta aleatorietà e, appunto, l'obiettivo puramente pubblicitario di fondo.
Non a caso la crisi ha avuto fra i tanti effetti anche quello di spazzar via parecchie di queste operazioni e di bloccarne altre sul nascere, e va pure detto che molte grandi maison di un tempo, da Galitzine che fra pochi giorni verrà rilanciata con una nuova serie di pijami palazzo alla stessa Chanel fino alla vecchia sartoria di Marina Ripa di Meana negli anni del matrimonio Della Rovere, nacquero dal desiderio di signore e signorine di tenace volontà di non trascorrere la vita da mantenute o da addette alle pubbliche relazioni, sebbene nessuna di loro vantasse una preparazione specifica o avesse trascorso gli anni dell'infanzia ritagliando bamboline di carta come Christian Dior.
Nessuna grande attrice di un tempo, neanche Joan Crawford che certo non disprezzava il denaro, o Liz Taylor di cui anche due ricche signore milanesi si sono contese il guardaroba all'ultima asta di New York, avrebbe accettato di mercificare la propria aura di divina in cambio delle royalty su un profumo come Sarah Jessica Parker o Katie Holmes, che forse proprio attrice non è (o forse non ci ricordiamo noi una sua partecipazione di rilievo) e che dunque fa bene a massimizzare il can can del suo divorzio da Tom Cruise finché qualcuno sarà ancora disposto a darle credito.
Tutti i grandi nomi indossavano abiti di costumisti altrettanto famosi e di eccezionali sartorie moltiplicandone la notorietà secondo i canoni tradizionali e pagando ogni capo fino all'ultimo centesimo, senza cercare scappatoie e prestiti o reclamare omaggi.
Solo le signore dell'aristocrazia industriale che venivano fotografate sulle riviste di moda come icone di stile, talvolta acconsentivano a creare una propria linea di moda, spinte più che altro da necessità economiche come Lady Lucile Duff Gordon, la famosa sopravvissuta al naufragio del Titanic con l'assistente e mezza collezione della sua lingerie addosso, per via di un altro divorzio, anche questo costoso e socialmente rilevante.
Quello che adesso ci si potrebbe domandare è piuttosto per quale motivo Hill, e altri o altre come lui, professionisti veri e seri in altri settori, abbiano deciso di darsi una seconda vita professionale nell'abbigliamento invece, che so, nella finanza, nell'edilizia o, come si diceva un tempo, nell'ippica. E viene il dubbio che anche questo sia uno dei tanti motivi e corollari per i quali il solo fare moda, pur se una moda sui generis, perché di biancheria da notte si tratta dopotutto e sfido chiunque a definire quei camiciotti coi loro pubblicizzatissimi bottoni di madreperla altro che tale, non venga considerata un'attività frivola, inconsistente e fondamentalmente inutile perché lasciata alla pratica di chiunque.
Anche, appunto, di gente che fino all'altro ieri bacchettava ogni giorno David Cameron e faceva appostare i paparazzi attorno alla casa dei Middleton indossando mocassini di pelle gialla. La moda è uno di quegli argomenti su cui tutti, per il solo fatto di non uscire nudi di casa la mattina, sentono di poter dire la loro.
Come nel calcio e nei commenti del lunedì mattina (oddìo, ormai anche del mercoledì e del giovedì: i diritti televisivi sono una faccenda seria), tutti guardano una sfilata e si sentono i ct della passerella "e guarda la Naomi com'è invecchiata" e "fossi nei Dolce & Gabbana toglierei tutte quelle guêpière che è davvero ora", quasi fossero Cesare Prandelli che decide la formazione della Nazionale.
Ci sono aree formative e lavorative sacre, intoccabili e circondate da un rispetto proporzionale al curriculum formativo necessario per praticarle come l'avvocatura, la medicina, l'ingegneria o la linguistica comparata. Poi ci sono le cosiddette attività creative e artistiche, per non dire quelle sportive, su cui la formazione appare un optional e la disciplina una pratica da cretini perché tanto che cosa ci vorrà mai se non un buon paio di gambe.
Attività fortunate, ovvero botte di culo, perché vallo a spiegare anche alle ragazze che entrano in università con l'obiettivo di emulare il successo di Miuccia Prada che la signora, prima di applicarsi alle attività pellettiere di famiglia, ha completato gli studi regolari, laureandosi in Scienze politiche e frequentando anche il Piccolo Teatro negli anni d'oro di Strehler. La parabola di Chanel, ignorante e furba, è lì a dimostrare che la conoscenza della storia non è elemento dirimente.
La moda appare facile, divertente, un mezzo semplice per far parlare di sé quanto la carriera di Giulia Bongiorno pare imporre ben altro impegno e molti più anni di sacrifici, di notti insonni e di trucco che ci si dimentica di rifare. Per molti versi, la moda è ancora la stessa dell'"Antropologia pragmatica" di Kant: follia, dunque attività su cui l'applicazione seria non può che essere inutile e una delle sue derivazioni più dirette, il processo imitativo che suscita "in particolare nelle donne", una questione di vanità e non di gusto. Per cui in effetti proprio un ego smisurato come quello di Peter Hill, o forse solo il suo, potrebbe avere perfettamente ragione, a livello puramente teorico, di quelle orrende camicie da notte.
VALERIA MARINI SORRISO FOTO ANDREA ARRIGA mm51 valeria marini retromgl43 valeria marini carlo contiValeria Marini PRESENTA LA SUA COLLEZIONEmarini valeria 0015marini valeria 0002fc28 valeria mariniKATE MOSS A IBIZAfc03 valeria marini retrotel37 enrico lucci valeria mariniVICTORIA BECKHAMDAVID E VICTORIA BECKHAMBEYONCE BEYONCE FOTO DI BEYONCElapresse gemelle ashley marykate olsenPARIS HILTON