IL LATO ROSSO(O)SCURO DELLA RESISTENZA: LA STORIA DEI PARTIGIANI INNAMORATI TORTURATI DAI FASCISTI E UCCISI DAI LORO COMPAGNI NEL SILENZIO COLPEVOLE DI TUTTI I LEADER DEL PCI

Marcello Sorgi per ‘La Stampa'

Un amore partigiano, forte, disperato, come può esserlo una passione nata nei giorni più tragici della guerra. E un destino terribile, finire vittima della brutalità del fascismo morente, e della violenza irrazionale dei partigiani. La storia di «Neri» e «Gianna», nomi di battaglia del comandante partigiano Luigi Canali della Cinquantaduesima brigata che catturò Mussolini e Claretta Petacci, e della staffetta, «collegatrice», Giuseppina Tuissi, rivive in un saggio di Mirella Serri («Un amore partigiano», pagg. 215, Longanesi, € 16,40), in cui lo spessore dei sentimenti e il rigore dell'analisi storica si fondono in un duro atto d'accusa delle responsabilità della classe dirigente, da Togliatti a Longo alla prima fila dei capi del Pci clandestino, che guidarono la lotta di Liberazione.

Siamo nell'inverno '44-'45, ultimi mesi della seconda guerra mondiale, in quel fazzoletto di terra attorno a Como in cui Mussolini e la Repubblica di Salò vivono la loro agonia, circondati dalla stretta sorveglianza nazista delle SS e dalla Resistenza dei partigiani clandestini, in un clima di tensione, sospetti e doppi giochi che a un certo punto non consente davvero a nessuno di fidarsi di nessuno.

Luigi Canali, impiegato già a sedici anni della Società Funicolare Como-Brunate, è un campione atletico, collezionista di medaglie, alto, forte, attraente, gran lettore di Marx, Proudhon, Turati, figlio di un'operaia di una filanda, e presto sposato a un'impiegata della sua stessa ditta, Giovanna Martinelli, che se ne innamora, ma senza condividerne la passione politica e il gusto della clandestinità.

Giuseppina Tuissi, una maschiaccia che faceva a botte con i fascistelli in erba, è nata in una famiglia antifascista e fa l'operaia alla Borletti. Ai primi scioperi è in prima linea. Presto si fa strada nel movimento partigiano: Gianna, questo il suo nome di battaglia, va e viene in bicicletta dalle linee della guerriglia ai rifugi segreti, per portare ordini e informazioni. L'incontro con Neri, che sta per diventare comandante di una brigata partigiana, è scritto nel destino. Vanno a vivere insieme, continuando a svolgere ciascuno i suoi compiti e a correre rischi, cambiando continuamente nascondigli, dividendo spazi angusti e rari momenti di intimità, aggravati da stanchezza e disagi.

Il racconto dell'autrice si svolge su piani diversi. C'è, appunto, quello della guerra di Liberazione, sullo sfondo della quale Serri descrive, con acri e sapienti pennellate, la nascita di una burocrazia di partito conformista e stalinista, che ha in odio la coppia clandestina, il coraggio e il gusto dell'avventura, l'amore per i sogni e per la libertà sopra ogni cosa. E c'è, nelle stesse pagine, nell'area di pochi chilometri di Valtellina, fatta di frazioni come Grandola o Dongo, dove il Duce verrà catturato, una mirabile descrizione degli ultimi giorni di Mussolini, chiuso nella Villa Feltrinelli di Gargnano, raggiunto da un'estenuata Claretta Petacci.

Il Duce è nevrotico, pallido, tormentato dall'ulcera, insofferente alla stretta sorveglianza dei tedeschi, che manifestamente non si fidano più di lui. Eppure, nei momenti in cui è in compagnia dell'amante, non rinuncia alla sua intrinseca volgarità: la intrattiene sulle passioni sessuali delle donne francesi per gli uomini di colore, sulle differenze tra «l'uccello ben piantato» degli italiani, e quello inutilmente lungo e pendulo degli africani.

Parlano, litigano, Claretta è gelosa e Benito inutilmente bulimico di tradimenti. Un giorno una segretaria si rivolge al Duce, dicendosi disciplinatamente «a disposizione», e quello ne approfitta possedendola prima che la malcapitata abbia modo di rendersene conto.
È nella stretta tra il fascismo decadente di Salò e il nuovo potere nascente dei partigiani che preparano l'insurrezione che i due «irregolari» protagonisti verranno stritolati.

Arrestati dai repubblichini, vengono sottoposti a torture che Serri ricostruisce nelle pagine più crude del racconto: schiaffi, pugni, calci, frustate, ustioni, umiliazioni personali e violenze sessuali imposte a Gianna dai soldati, fino a un espediente di fronte al quale tutti i prigionieri prima o poi si arrendono: la reclusione in un armadio collegato a una cantina piena di topi e scarafaggi affamati, che non lasciano scampo. Neri riuscirà a fuggire; Gianna, ridotta allo stremo, qualcosa dovrà dire. Alla fine entrambi riconquisteranno la libertà - e Neri anche il suo posto di comando della brigata -, ma non la fiducia dei loro compagni, che anzi li terranno a distanza, imprigionandoli in una rete di maldicenze, e arrivando a pronunciare contro di loro, alla fine di un processo staliniano, una condanna a morte come «traditori».

L'epilogo grottesco della vicenda, a cavallo dei giorni della cattura e dell'esecuzione di Mussolini e della Petacci, e della selvaggia esposizione dei cadaveri a Piazzale Loreto, vedrà Neri e Gianna - scampati ai fascisti, perfino riabilitati al punto da poter prendere parte alla cattura del Duce e della sua amante -, giustiziati, uno dopo l'altro, dagli stessi comunisti, in forza della condanna precedentemente subita, e solo formalmente annullata dopo il 25 aprile, la Liberazione e la conclusione della guerra.

Pagano così, non solo la palese ingiustizia dei sospetti che avevano subìto, mentre, sopportavano le torture del regime. Ma anche il dissenso espresso sulla procedura sommaria che ha portato alla fucilazione della Petacci, oltre che di Mussolini, senza uno straccio di processo, né alcuna considerazione dell'evidente divario di responsabilità tra l'una e l'altro. Su Gianna, pesa anche la scomoda coincidenza che l'ha portata ad essere testimone della razzìa dell'oro di Dongo, il tesoro che il Duce e i suoi ufficiali in fuga portavano con sé, di cui i dirigenti comunisti di Como decisero inopinatamente di appropriarsi.

Nel silenzio colpevole di Togliatti, Longo e di tutti i leader del Pci della storia della Prima Repubblica, ci vorranno più di sessant'anni prima che il Presidente Ciampi, su spinta di Veltroni, restituisca l'onore di combattenti al comandante Luigi Canali e alla staffetta Giuseppina Tuissi, i partigiani innamorati, torturati dai fascisti e uccisi dai loro compagni.

 

 

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