francis scott fitzgerald

GLI “ULTIMI FUOCHI” DI FITZGERALD – LA STORIA DEL ROMANZO INCOMPIUTO DELLO SCRITTORE DE "IL GRANDE GATSBY" - INCENTRATO SULL’ULTIMA METAFORA DEL MITO AMERICANO (HOLLYWOOD) E PUBBLICATO POSTUMO DALL’AMICO EDMUND WILSON, IL LIBRO DOVEVA RAPPRESENTARE LA RINASCITA DELLA SUA CARRIERA, E INVECE... - LA SUA FRASE CHE SEMBRA UNA SENTENZA: “NON CI SONO SECONDI ATTI NELLE VITE AMERICANE”

Fabio Sindici per “la Stampa”

 

zelda fitzgerald

«Non ci sono secondi atti nelle vite americane». Nel repertorio d' incantesimi del mago delle parole - quale Francis Scott Fitzgerald era a buon diritto - la frase suona come una sentenza. È tra le più citate della letteratura americana.

 

Non viene dai party del Grande Gatsby né dalle penombre alcoliche di Tenera è la notte , i suoi due libri più famosi. Il critico letterario Edmund Wilson, l' amico di una vita, la scova nelle note a margine del manoscritto di The last tycoon , il romanzo incompiuto su Hollywood: l' industria del cinema come ultima metafora del mito americano.

 

FRANCIS E ZELDA FITZGERALD

Wilson lo pubblica, cucendo gli strappi della trama, riassumendo in una sinossi l' ultima parte - progettata e mai scritta -, l' anno dopo la morte di Fitzgerald avvenuta nel dicembre 1940 (il titolo italiano è Gli ultimi fuochi , pubblicato da Mondadori e Rusconi).

 

Siamo sull' estrema frontiera del sogno, arenato sulle spiagge della California, folgorato dalle luci dei teatri di posa. Per lo scrittore, cosciente di essere stato dimenticato, era la storia che avrebbe dovuto aprire il secondo atto della sua carriera artistica e della sua vita.

 

IL GRANDE GATSBY

«Credo che sia la storia più bella del mondo. È la mia storia e quella della mia gente È la storia di tutte le aspirazioni - non solo il sogno americano ma il sogno dell' umanità e, se riesco a venirne a capo, si vedrà come questo è un luogo di pionieri», si legge tra la selva di note, più di 200 pagine, che accompagnano, quasi assediano, l' esile manoscritto non finito.

fitzgerald

 

La sua incredibile capacità di speranza non l' aveva abbandonato. Nell' appartamento al secondo piano di un complesso residenziale in stile chateau francese, Scott sbozza i caratteri dei personaggi, traccia i loro spostamenti sulla mappa di una Los Angeles già enorme e tentacolare alla fine degli Anni 30 del secolo scorso - spedisce le sue parole, come segugi, dentro la catena di montaggio della fabbrica dei sogni.

 

Alcune pagine degli Ultimi fuochi si possono leggere come un manuale sul modo di fare film nell' epoca d' oro di Hollywood. Ma le parole si allacciano con le immagini cinematografiche come gli sguardi dei due protagonisti, Monroe Stahr e Kathleen Moore, e come loro fanno l' amore, «come nessuno ha mai osato fare dopo». Sono le parole che Fitzgerald aveva usato in Gatsby.

IL GRANDE GATSBY

 

Sono le immagini romantiche che aveva sempre amato come spettatore al cinema e aveva cominciato a capire con il lavoro a singhiozzo di sceneggiatore alla MGM, la casa di produzione condotta al successo dal ragazzo prodigio Irving Thalberg, l' ultimo magnate del titolo, modello di Stahr nella vita reale.

 

FRANCIS E ZELDA FITZGERALD

Il lavoro sugli script - le inquadrature danzanti del mai girato Infidelity , le revisioni che opera sulla sceneggiatura di Via col vento - gli serve a mettere a punto lo stile del romanzo di Stahr (il nome del protagonista era un' altra ipotesi di titolo).

 

La scrittura si asciuga, ma le immagini evocate diventano sontuose, talvolta abbaglianti. È pre-felliniana l' entrata in scena di Kathleen, aggrappata, insieme a un' amica, alla sommità di una testa colossale di Shiva, sradicata da un set dal terremoto notturno e che galleggia alla deriva per gli studios allagati.

IL GRANDE GATSBY

 

La pelle di lei ha una luce peculiare e radiante, come se fosse ricoperta di fosforo. Assomiglia a tal punto alla moglie morta di Monroe, che la prima emozione di lui, quando la vede sulla fronte della divinità, è quella di terrore. Poi diventerà attrazione ossessiva. È una Hollywood allucinatoria e piena di fantasmi quella di The last tycoon .

 

Come lo strano pescatore nero, incontrato in una spiaggia inondata dall' alta marea; non ama i film ma legge Emerson e i libri sui Rosacroce. Ci sono riferimenti all' uso di benzedrina e marijuana, oltre che all' alcol, naturalmente. E alle bottigliette di Coca Cola, con le quali Fitzgerald cercava di sostituire gli abituali gin rickey, mentre sudava sul romanzo, una pagina al giorno.

 

FITZGERALD

La trama ogni tanto deraglia - avrebbe richiesto più di una revisione. Ma ci sono frasi come perle. Ci sono curve di sorrisi che si perdono, senza direzione.

 

La storia da ossessione romantica, nel finale - solo accennato negli appunti - prende tinte nere che annunciano la Los Angeles dannata di James Ellroy: lotte di potere negli studios, ricatti, omicidi su commissione. Nelle note fa capolino il gangster Bugsy Siegel.

 

Non siamo lontani dalla Hollywood reale, all' uscita incerta dalla depressione, «una città mineraria nella terra del loto», la madrepatria dei sofà dei produttori. Dove si fanno sedute spiritiche nelle ville moderniste di Richard Neutra.

 

Francis Scott Fitzgerald

Dove allo «scultore» Fitzgerald veniva chiesto di fare l' idraulico, secondo la famosa battuta di Billy Wilder. Un idraulico pagato 1250 dollari la settimana, circa ventimila di oggi. Fino a quando dura, il contratto con la MGM gli permette di vivere al Garden of Allah, un lussuoso complesso di bungalows, dove incontra l' inglese Sheilah Graham, giornalista di gossip, l' ultimo amore della sua vita.

 

Su questo universo di contraddizioni giganteggia Irving Thalberg-Monroe Stahr, figura di produttore insieme eroica e demoniaca, un nuovo Gatsby, con la frenesia del controllo.

f. scott e zelda fitzgerald

Nella finzione, da ragazzino ebreo è stato un membro delle gangs del Bronx. Il vero Thalberg ha avuto un' infanzia più agiata: un office boy arrivato a governare lo star- system.

 

Faceva lavorare coppie di sceneggiatori sullo stesso soggetto, ciascuna all' insaputa delle altre. Fitzgerald lo ammirava, nonostante gli avesse bocciato una sceneggiatura. Forse concepisce il romanzo poco dopo la sua morte, nel 1936.

 

«Il collasso finale di Thalberg è la morte di un nemico per me, anche se come persona mi piaceva enormemente. Gli era venuta l' idea che avessi una tresca con la moglie, un assoluto nonsense», scrive in una lettera in quell' anno.

 

Nella casa di Sheilah, Fitzgerald muore per un infarto. Aveva scritto 44 mila parole delle 50 mila previste per Gli ultimi fuochi .

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