IO SONO LA MIA FICTION - SUI SOCIAL IMPAZZANO GLI AUTOSCATTI, 15 SECONDI DI CELEBRITA’ PER ME STESSO

Nadia Ferrigo per "La Stampa"

I celebri 15 minuti di fama profetizzati nel 1968 da Andy Warhol? Pure troppi. Nell'epoca d'oro dei social network, tutti recitano il doppio ruolo di protagonisti e spettatori: basta uno scatto ben riuscito per testare in tempo reale il proprio - personalissimo - indice di gradimento virtuale. Impazza il selfie, parola nuova coniata per descrivere una delle manie più contagiose della rete: l'autoritratto con smartphone.

Un fenomeno nato qualche anno fa con My Space, ormai estinto capostipite di tutte le comunità virtuali, così accattivante da conquistare milioni di teenager in tutto il mondo, ma non solo: secondo un sondaggio, i due terzi delle donne australiane tra i 18 e 35 anni scattanopesso dei selfie, nella stragrande maggioranza dei casi destinati a far bella mostra di sé su Facebook.

Uno scatto ben riuscito, pubblicato in rete da un'anonima ma fotogenica studentessa, può generare una valanga di faccine sorridenti, apprezzamenti e condivisioni. Abbastanza per sentirsi al centro dell'attenzione, se non del globo, almeno della rete di amici e conoscenti virtuali. Merito della tecnologia, che ci aiuta a diventare tutti un po' più belli senza spendere nemmeno un euro.

I selfie in principio erano autoscatti amatoriali, troppo spesso rubati davanti allo specchio del bagno e rovinati da un flash accecante. Ora immortalarsi è facilissimo: basta impugnare lo smartphone e scattare finché non troviamo la perfetta angolatura braccio- obiettivo, importante per ottenere un buon risultato. I programmi di fotoritocco fanno il resto: un provvidenziale bianco e nero cancella le occhiaie e un tono appena un po' più caldo regala un viso abbronzato anche in pieno inverno. D'altra parte che senso ha scattare se non si può apparire meglio di quel che si è?

Un selfie che si rispetti non è certo destinato a finire in un cassetto o tra le pagine del diario. La regola è taggare, postare, twittare, linkare. In altre parole, far sì che più persone possibile possano vedermi.

«Ormai da tempo i social network sono usati come una televisione personale, dove lo scopo è mettere in scena una rappresentazione del sé - spiega Massimiliano Panarari, docente di comunicazione politica ed esperto di cultura pop -. La logica è la stessa dei reality show televisivi, portata però fino all'estrema conseguenza.

Con un autoscatto non si mostra nessun talento, non serve nemmeno: basta la pura auto-rappresentazione. Con un ulteriore cortocircuito. L'idea che sta alla base del selfie è la spontaneità, ma in realtà non c'è nulla di spontaneo, anzi, è il massimo dell'artificio, dove appariamo meglio di quel che siamo. Anche se in scala ridotta, tutti vogliamo diventare delle icone».

Nessuno è immune: tra i celebri e i potenti immortalati nell'atto di immortalarsi, c'è anche un'insospettabile come Hillary Clinton, che poco tempo fa ha condiviso con il resto del mondo un suo sorridente autoritratto con la figlia Chelsea.

«Se si parla di personaggi che hanno già una forte influenza sulla società, il selfie va letto in maniera completamente diversa - continua Panarari -. L'obiettivo è la democratizzazione del personaggio, che vuole mettersi in sintonia con il resto della società e abolire le distanze tra sé e il suo pubblico. Difficile dire se la strategia funziona, ma più il soggetto è un'icona o un personaggio di grande autorevolezza, più l'autoscatto riesce a raggiungere il suo obiettivo».

 

 

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