“E’ MEGLIO BRUCIARE CHE SPEGNERSI LENTAMENTE” – KURT COBAIN, PRIMA DI SUICIDARSI CONCLUSE LA SUA LETTERA D’ADDIO, INDIRIZZATA A SUA MOGLIE COURTNEY E A SUA FIGLIA FRANCES, CON LE PAROLE DI NEIL YOUNG – LUCA BARBAROSSA: "È POSSIBILE INVECCHIARE RIMANENDO ACCESI O COME DICE IL POETA, SENZA DIVENTARE ADULTI? LASCIO A VOI LA RISPOSTA, IO, CHE A MORIRE GIOVANE NON FACCIO PIÙ IN TEMPO, SDRAMMATIZZO: LA VECCHIAIA È SOTTOVALUTATA…"
Luca Barbarossa per Robinson – la Repubblica
The Dead è il racconto che chiude la raccolta Dubliners di Joyce. Narra di una coppia apparentemente felice, benestante, con buone frequentazioni. Vita sociale, cene, feste popolate da altre coppie simili a loro. Di ritorno da una serata danzante Gretta dice a suo marito Gabriel di aver ascoltato una canzone che le aveva ricordato il suo ex fidanzato Michael Furey e aggiunge una frase che fa precipitare tutto: «penso sia morto per me». Mentre Gretta si è già addormentata, Gabriel rimane a fissare dalla finestra la neve che scende silenziosa a imbiancare il giardino. In quel lento passare dei minuti ripensa alle parole di Gretta e ha la netta sensazione che i vivi siano morti e i morti vivi.
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La passione che ha bruciato la giovane vita di Furey si contrappone in modo netto alla rassicurante routine della sua esistenza. Gabriel è attraversato da un pensiero che fa crollare tutte le sue certezze: che sia meglio morire di passione nel pieno splendore dei propri anni piuttosto che appassire e spegnersi lentamente di vecchiaia. Il racconto è del 1907 e chissà se Neil Young, nel suo pieno splendore artistico degli anni ’70, lo aveva letto. «It’s better to burn out than to fade away», tratto dalla sua memorabile My My, Hey Hey, sembra la perfetta sintesi del concetto espresso da Joyce in Gente di Dublino. Neil Young è una voce imprescindibile della storia del rock e a pieno titolo il motore primo del genere grunge, sbocciato nella Seattle degli anni ’90.
Se non abbiamo la certezza matematica che Neil Young conoscesse il racconto di Joyce, sappiamo di certo che Kurt Cobain si era nutrito della musica del cantautore canadese consumando album come Rust Never Sleeps. Poco prima di spararsi un colpo di fucile, Cobain aveva concluso la sua lettera d’addio, indirizzata a sua moglie Courtney e a sua figlia Frances, proprio con le parole di Neil Young: «È meglio bruciare in fretta che spegnersi lentamente».
Questa citazione sconvolge Young, che pochi mesi dopo il suicidio di Kurt entra in studio e scrive per lui la canzone che dà il titolo al suo ventesimo album (già quasi ultimato), Sleeps with Angels, pubblicato il 16 agosto. Era il 1994, a quasi novant’anni dal racconto di Joyce e a ventidue da Rust Never Sleeps, Kurt Cobain decideva che camminare di fianco al tempo non faceva per lui. Non si emozionava più, non si divertiva nemmeno sul palco, invidiava chi ci riusciva, di contro combatteva con i suoi fantasmi e le sue dipendenze. Anche un successo planetario come quello dei Nirvana con Nevermind, un album da venti milioni di copie, gli aveva consegnato la sensazione di essere finito dentro un ingranaggio che lo schiacciava ulteriormente.
Cobain siede tra gli immortali del Club 27, insieme a Jimi Hendrix, Jim Morrison, Janis Joplin, Amy Winehouse e altri. Peccato per noi mortali aver perso gli sviluppi del loro talento, anche se ci hanno lasciato moltissimo. Ma la domanda è questa: è possibile invecchiare rimanendo accesi o come dice il poeta, senza diventare adulti? Lascio a voi la risposta, io, che a morire giovane non faccio più in tempo, concludo sdrammatizzando: la vecchiaia è sottovalutata.
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