THE BRITISH ARE COMING - LA NOTIZIA NON È CHE ALL’OSCAR I NOMINATI SONO TUTTI BIANCHI MA CHE SONO PER METÀ INGLESI - LA MARCIA IN PIÙ CONTINUA AD ESSERE L’ACCENTO. È COSÌ TERRIBILMENTE SEXY
Enrico Franceschini per “la Repubblica”
C’era una volta un film di Hollywood intitolato The Russians Are Coming. Era una commedia su un’immaginaria invasione sovietica degli Stati Uniti, il cui titolo diventò uno degli slogan della Guerra Fredda. Ma se Hollywood dovesse aggiornarlo oggi, uno più adeguato sarebbe: The British Are Coming.
Quest’anno, infatti, la mecca del cinema è invasa dai britannici o in senso più ampio dai discendenti del loro scomparso impero: metà degli attori e delle attrici nominati alle ambite statuette (che verranno assegnate stanotte) vengono dal Regno Unito o dai paesi del Commonwealth. “Oscar è americano”, riconosce il New York Times, “ma parla inglese”. Inglese con accento britannico, of course.
L’elenco comprende Eddie Redmayne ( The Danish Girl), Christian Bale ( La grande scommessa), Tom Hardy ( Revenant - Redivivo), Mark Rylance ( Il ponte delle spie), Charlotte Rampling ( 45 anni) e Kate Winslet ( Steve Jobs), tutti britannici, a cui vanno aggiunti Michael Fassbender, tedesco-irlandese che vive in Inghilterra ( Steve Jobs), l’australiana Cate Blanchett ( Carol), la canadese Rachel McAdams ( Il caso Spotlight) e — allargando un po’ il concetto di britannicità — Alicia Vikander, svedese di Londra. Se poi si considerano tutte le categorie degli Oscar, non solo la recitazione, la Gran Bretagna ha avuto più nomination di ogni altro paese, eccetto gli Usa.
Di invasioni del genere, in realtà, ce n’era già stata un’altra mezzo secolo fa. Nel 1965, dieci inglesi ricevettero la nomination come migliore attore o attrice, tra cui Richard Burton, Julie Andrews, Peter O’Toole; e altrettanti l’anno successivo, inclusi Laurence Olivier e Julie Christie. Per un breve momento, sembrava che Londra si fosse ripresa un pezzetto della colonia che aveva un tempo al di là dell’Atlantico: una collina di Holllywood.
In fondo, anche Charlie Chaplin era inglese, sebbene abbia trovato la fama in America (fino a quando gli americani non lo costrinsero ad andarsene in Svizzera, accusandolo di simpatie comuniste negli anni della caccia alle streghe). Così come era stato pieno di inglesi uno dei film americani di maggiore successo di tutti i tempi, Via col vento. Ed era inglese Alfred Hitchcock, anche se si trasferì in California nel 1939 e prese la cittadinanza americana.
Dietro l’angolo però c’erano gli anni Settanta, l’Actors Studio, una nuova generazione di formidabili attori: Jack Nicholson, Dustin Hoffman, Robert Redford, Al Pacino, Robert De Niro, Meryl Streep, Jane Fonda, senza dimenticare i fratelli maggiori, Marlon Brando e Paul Newman. Ben presto, Hollywood ricominciò a parlare americano.
Ci sono voluti cinquant’anni perché Oscar tornasse ad avere l’accento inglese. La seconda “British invasion” è stata graduale. Il punto più basso fu nel 1986, quando non un solo attore del Commonwealth, Gran Bretagna inclusa, ottenne una nomination. Poi, negli anni Novanta, sul tappeto rosso di Hollywood si riaffacciarono Emma Thompson, Jeremy Irons, Anthony Hopkins.
Quindi fu la volta dell’australiano Russel Crowe, nominato tre anni di fila e vincitore nel 2001 con Il gladiatore, imitato l’anno dopo da un’altra attrice di Down Under (come viene chiamata la terra dei canguri), Nicole Kidman ( The Hours).
Infine i trionfi più recenti, Il discorso del re, miglior film e miglior attore a Colin Firth nel 2011, e 12 anni schiavo, diretto dall’inglese di origine caraibica Steve McQueen, pioggia di nomination e tre statuette nel 2014. La nuova invasione britannica ha tre motivazioni. Una è la grande scuola di recitazione: «Gli attori inglesi vengono spesso dal teatro, che dà loro un insegnamento eccezionale», dice Richard Hicks, presidente della Casting Society of America.
Basta dire “attore shakespeariano” e si sa cosa si intende. La seconda è che il mercato dei film si è globalizzato, spingendo le case cinematografiche a cercare attori con un retroterra più vario — a condizione che parlino bene inglese, per cui finiscono per cercarli nel Commonwealth britannico.
La terza ragione è che, di statuetta in statuetta, sempre più inglesi diventano membri dell’Academy of Motion Pictures, l’organizzazione che vota per gli Oscar: l’anno scorso erano dieci dei venticinque nuovi iscritti, il quaranta per cento. Ma forse c’è anche un altro motivo. “Vai dove il tuo accento è sexy”, esortano sul metrò di Londra i cartelloni pubblicitari per le vacanze a Las Vegas. Ebbene, diciamo la verità: un accento inglese è sexy anche a Hollywood.
OSCAR INVASIONE ATTORI BRITANNICI