SE-CERNO CONFUSIONE - A VENT’ANNI SI E’ CANDIDATO CON ALLEANZA NAZIONALE POI E’ PASSATO AL PDS E HA LAVORATO PER L’UDEUR - E’ STATO UN LUNGO GIRO DI CASACCHE QUELLO CHE HA PORTATO TOMMASO CERNO ALLA CANDIDATURA CON IL PD - NEL SUO LIBRO FA IL CONTROPELO AGLI ITALIANI DEFINENDOLI “EQUILIBRISTI”…
Giorgio Gandola per “la Verità”
A noi! Tranquilli, è il titolo di un libro, ma sfogliarlo è anche il modo migliore per scoprire le recondite armonie dell' autore, Tommaso Cerno, fino a ieri condirettore di Repubblica e da oggi candidato al Senato per il Pd, personalmente arruolato da Matteo Renzi e inserito come capolista nel listino blindato del Friuli. Il metodo è riservato alle persone di riguardo, quelle che si vogliono avere a fianco in Parlamento senza correre il rischio d' una volgare scelta popolare; quelle che approdano alla politica come il giovane giornalista friulano (43 anni), «per una scelta di vita».
Allora quel libro del 2015 pubblicato da Rizzoli diventa illuminante. In A noi!
, sottotitolo Cosa ci resta del fascismo nell' epoca di Berlusconi, Grillo e Renzi, Cerno teorizza che l' essere italiani prevale su qualunque scelta di campo e la precede, la giustifica, la rende possibile. In un turbinìo di luoghi comuni che ben fotografano l' italico carattere: «o Francia o Spagna purché se magna, saltare sul carro del vincitore, soprattutto predicare bene e razzolare male».
Per la verità lo ha fatto anche lui, che approda alla candidatura renziana con tutti gli onori, ma cominciò la carriera politica in Alleanza nazionale. Nel 1995 Cerno scende in campo a 20 anni alle amministrative di Udine, reclutato da Daniele Franz, ex responsabile del Fronte della gioventù e in due legislature deputato di An nella stagione di Gianfranco Fini. Oggi Franz spiega: «Si candidò come indipendente e con un' unica missione, intitolare a Pier Paolo Pasolini il teatro di Udine».
Ma, come descrive con arguzia un articolo del sito Gli Stati generali, «Cerno raccoglie una manciata di voti e forse si rende conto che non ha scelto la platea più ricettiva per le sue battaglie in difesa dei diritti dell' universo Lgbt (che non si chiamava ancora così, Storace la faceva più diretta)».
Sconfitto, comincia a mostrare quello che egli stesso definirà nel libro «l'italico carattere», vale a dire una certa propensione a cambiare casacca. Prima diventa assistente di Andrea Montich (Pds), poi passa all'Udeur di Clemente Mastella. Lavora con l' ex sottosegretario (ed ex dc) Mauro Fabris, del quale è portaborse, e da quella posizione nutre una certa simpatia per il popolo in cammino a sinistra. Non ha ancora 30 anni ed ha già attraversato tutto l' orizzonte ideologico friulano. A questo punto la politica gli viene a noia e si tuffa nel giornalismo. La sua carriera è folgorante: dal Messaggero Veneto all' Espresso, poi a Repubblica.
In tv sa graffiare, sembra sempre dalla parte della ragione, strizza l'occhio al Movimento 5 stelle (nel ventaglio dei partiti gli mancava). È dirigente dell' Arcigay, organizza il Gay pride a Venezia. Quando si dichiara omosessuale e il lato oscuro del Web lo insulta, non c'è persona dabbene che non lo difenda.
Quando arriva a Repubblica per mordere i polpacci al governo sembra tutto tranne che renziano. Anzi, nel libro A noi! descrive con assoluto sarcasmo l' ex premier: «Lui è il nuovo taumaturgo del Belpaese. Non può sbagliare, gli italiani sono al suo fianco e lui è sereno, talmente sereno da potersi permettere di giocare alla Playstation mentre attende l'esito delle regionali 2015. Per chi non sta al suo passo il futuro è uno solo: l'oblio».
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Impiega tre mesi ad innamorarsi di Matteo Renzi, complice forse un pranzo natalizio a casa di Maria Elena Boschi. Quando si presenta davanti all'editore Marco De Benedetti e all' ad Monica Mondardini per annunciare la volontà di lasciare il giornale è lapidario: «Me lo chiede Matteo», come se parlasse dell'evangelista.
Poi, a detta de Gli Stati generali, per rimanere avrebbe posto due condizioni: tempi certi per la direzione di Repubblica o in subordine la poltrona del quotidiano gemello, La Stampa. Niente da fare, il seggio è più sicuro e il destino in Parlamento è segnato. Nel pamphlet che ci accompagna dalla prima riga, Cerno descrive così, e con un certo fastidio, gli italiani: «Tutti democristiani, poi tutti anti-sistema. E ancora berlusconiani, renziani. In pratica, i soliti equilibristi». Appunto.