PIÙ REALISTA DI REFN – IL REGISTA DI “DRIVE” È TORNATO CON UNA SERIE SU AMAZON PRIME VIDEO: “TOO OLD TO DIE YOUNG” È POTENTE, DIFFICILE E CONFUSA – I NEON, LA CAMERA CHE RUOTA, LA LUNGA SEQUENZA IN CUI UNA DONNA SI MASTURBA – LA STORIA CHE RACCONTA È QUELLA DI UN POLIZIOTTO CHE DIVENTA DETECTIVE, CHE È CORROTTO E CHE UCCIDE, MA È MOLTO DI PIÙ: SEMPRE SUL LIMITE TRA PRODOTTO ALTISSIMO E “B MOVIE” CAFONE, COMUNQUE ESAGERATO – VIDEO
Gianmaria Tammaro per “la Stampa”
A Nicolas Winding Refn non interessa se guarderete o meno tutte e dieci le puntate di “Too old to die young”. La sua non è una serie tv, ha detto; e non è nemmeno cinema. È streaming. Un’altra cosa, un altro linguaggio. L’anello di congiunzione, ecco, tra grande e piccolo schermo. Ma Refn resta soprattutto fedele a se stesso, e quindi “Too old to die young”, disponibile su Amazon Prime Video, è pieno della sua visione e della sua estetica, della sua regia da art-film, del suo tono lento e pesante, volutamente forzato e volutamente irrigidito.
“Too old to die young” racconta la storia di un poliziotto che diventa detective, che è corrotto e che uccide. Lo interpreta Miles Teller, che come tanti altri attori – prima era toccato a Mads Mikkelsen, poi a Ryan Gosling – si è piegato alla visione del genio. Ha un tic, il suo personaggio. Sputa. Alcune volte lo fa in mood dignitoso, preciso, raccogliendo il grumo di saliva prima di buttarlo fuori. Altre, invece, è preso dall’ira. Ed è uno dei pochi momenti in cui diventa leggibile, in cui oltre all’apatia dichiarata in lui c’è qualcos’altro.
Poi c’è un’altra storia: quella di un figlio ossessionato dalla madre morta, interpretato da Augusto Aguilera, che diventa il boss di un cartello, e che si lascia guidare da un’assassina, interpretata da Cristina Rodlo. In “Too old to die young”, alla fine, prevalgono le donne. Refn le rimette al centro con forza. Fa diventare questa storia – che sulla carta è un crime drammatico, e che in realtà è quasi un fantasy – la loro storia. E fa benissimo. Si sbronza con la loro bellezza, e le mette in scena come modelle, come dee, come esseri superiori. Tutto, di nuovo, nella cornice della sua estetica, della sua fotografia illuminata a neon, della sua regia con la camera che ruota, che gira su sé stessa, e che inquadra lentamente quello che sta succedendo.
Ci sono anche delle scene particolarmente divertenti, e questo, per Refn, è quasi inedito. Il paradosso è che sono quelle con la polizia e con gli affiliati del cartello messicano: gente che vuole solo stare al mondo, che si diverte, che è patetica per la sua semplicità. Ci sono assassini e mostri terribili, c’è la vendetta, c’è un’idea, quasi, di supereroismo, con il personaggio di Jena Malone che trova e identifica obiettivi, consigliata dagli “Esseri”. A seconda della puntata, “Too old to die young” diventa un western o una detective story pura. Per chi guarda serie tv, i riferimenti più immediati, proprio dal punto di vista dell’immagine, sono “Breaking Bad” e “True Detective”. Ma c’è anche il film “Il cattivo tenente”.
Refn è sempre sul limite, sul confine, tra prodotto altissimo e “B Movie” (e non che ci sia qualcosa di male, in questo). Sa che l’esagerazione è un’arma a doppio taglio, e sa come farla funzionare. La sua serie non è per tutti, e non lo è fin dal primo episodio, una lunghissima ora e mezza di tagli precisi, di silenzi, di battute snocciolate piano, pianissimo, come una goccia d’acqua che cade da una roccia inumidita.
La prima battuta che dice Miles Teller arriva dopo circa dodici minuti: e sono dodici minuti fatti di primi piani forzatissimi, di posizioni rigide, di un immobilismo da sfilata di moda. Ci sono due fazioni: gli americani – e quindi quelli innamorati della politica conquistatrice a stelle e strisce – e gli altri, gli ultimi, i messicani. Non ci sono buoni e cattivi, perché tutti sono sia buoni che cattivi.
Ma Refn si diverte a citare e a sfottere l’attualità. In “Too old to die young”, che ha scritto e creato insieme a Ed Brubaker, fumettista, c’è l’America di Trump con un personaggio uguale al Presidente, tanto arancione quant’è arancione lui, che muore ammazzato; e c’è l’America neonazista, d’ultradestra, che si arma e che chiama alle armi, perché oramai tutto sta andando allo sfacelo ed è compito dell’uomo – l’uomo bianco, l’uomo superiore, l’uomo scelto da Dio – salvare la situazione. C’è pure, con un cameo di Hideo Kojima, un richiamo ai gangster movie orientali.
È una serie potente, difficilissima e confusa. Una serie che s’apre, proprio alla fine, con una lunga sequenza in cui, teleguidata da una voce registrata, una donna si masturba, e che nella sua scena di massima azione diventa ancora più immobile, come in un teatro di posa. Refn ha riassunto e sintetizzato la sua visione e la sua cinematografia. Ha scelto dei vincitori – i messicani – e ha scelto di tentare e di raccontare qualunque cosa. Il sesso, la perversione (c’è il padre di lei, minorenne innamorata e fidanzata del personaggio di Miles Teller, interpretata da Nell Tiger Free, che è un mostro: William Baldwin, che gli presta faccia e volto, è contratto continuamente dal tic di tirare su col naso, per la troppa coca, ed è imbruttito dalla tintura, dalla voglia di restare giovane, di essere uno dei “cool kids”). E la violenza.
“Too old to die young” è la fotografia che Refn fa agli Stati Uniti, a questi Stati Uniti, ed è una fotografia quasi parodistica. E alla fine l’unica consolazione è che a trionfare saranno gli altri: quelli che vengono dall’altra parte del confine e le donne.
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